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December 21, 2022

Turning Pain into Power: a Merano Arte una mostra collettiva per superare le iniquità

Stefania Santoni

La violenza sulle donne è un fenomeno trasversale: colpisce tutte, senza distinzione alcuna. Non è una questione di tempo, spazio, classe sociale. È una piega sociale frutto di una visione che si fonda su presunte inferiorità biologiche, naturali e addirittura divine delle donne, su unʼidea di perfezione maschile a cui si oppone unʼinferiorità femminile. Questo modo di concepire la realtà, che affonda le sue origini in tempi antichissimi (si pensi al mito di Pandora, la prima donna ad abitare la terra e generata per punire lʼumanità o al pensiero di Aristotele, il filosofo che nel trattato dedicato alla Generazione degli animali descrive il corpo femminile come un ricettacolo utile solo ai fini della procreazione e privo di parte attiva nel concepimento), ha contribuito a radicare nella nostra cultura la misoginia, negando una parte di umanità. Considerate lʼalterità (e quindi il non essere), le donne sono (state) escluse dal principio di libertà e di autodeterminazione, dalla possibilità di affermare sé stesse ascoltando la propria vocazione e soggettività. A partire da queste premesse e dal bisogno urgente di attuare pratiche di trasformazione collettiva oltre le dicotomie di genere e ogni forma di discriminazione attraverso la cultura e quindi lʼarte, come ci spiega Judith Waldmann, curatrice della mostra TURNING PAIN INTO POWER che il Kunst Meran Merano Arte ospita fino al 29 gennaio 2023.

01 TURNING PAIN INTO POWER curated by Judith Waldmann_Monica Bonvicini. Foto Ivo CorràCome nasce questa mostra, Judith?

Il tempo in cui viviamo ci obbliga ad affrontare le recriminazioni e le ingiustizie della nostra società. Il numero di casi di violenza domestica (soprattutto contro le donne) rimane a un livello allarmante. Il razzismo e lʼomofobia sono attualmente in aumento, non solo in Italia ma in molti altri Paesi dʼEuropa e del mondo. Le immagini del nemico sono spesso strumentalizzate ed esacerbate dai politici per fomentare le paure e rafforzare la propria posizione di potere. La nostra società è profondamente divisa. I pregiudizi, la paura del contatto, le discriminazioni di ogni tipo non fanno altro che rendere più profondo il cuneo. Se vogliamo crescere insieme come società e rimanere in forma per il futuro, dobbiamo impegnarci per la coesione. Lʼidea di creare questa mostra si basa quindi sulla speranza che le opere esposte aprano a nuove prospettive e stimolino la discussione e lo scambio. Con questa mostra, Merano Arte vuole (non solo) inviare un chiaro segnale contro ogni tipo di discriminazione. 07 TURNING PAIN INTO POWER curated by Judith Waldmann_Silvia Giambrone. Foto Ivo Corrà

In che modo lʼarte può mettersi in dialogo con temi sociali?

La mostra è un buon esempio dei diversi modi in cui gli artisti e le artiste affrontano temi critici nei confronti della discriminazione e rilevanti dal punto di vista socio-politico. Racconta approcci incredibilmente creativi per far sentire la propria voce, così da non accettare silenziosamente e passivamente le ingiustizie. Ogni opera va per la sua strada e dà un contributo potente, a volte umoristico, a volte con toni pacati, a volte con toni forti e decisi, e comunque toccanti, al tema della discriminazione. Adrian Piper, ad esempio, ha iniziato la serie “My calling (Cards)” negli anni Ottanta. Qui i visitatori sono coinvolti attivamente, in quanto invitati a utilizzare lʼopera nella loro vita quotidiana. “Calling card” è inglese e sta per “biglietto da visita”. “To call someone out” è tradotto come “prendere a male parole qualcuno”. Entrambi i significati confluiscono in “My calling (Cards)” di Adrian Piper. Le carte, che si portano nel portafoglio – proprio come un biglietto da visita – possono essere distribuite alle persone presenti quando si presenta una situazione spiacevole e opprimente. Philipp Gufler adotta un approccio completamente diverso. Facendo ricorso a materiali dʼarchivio, la maggior parte dei quali provenienti dal “Forum Queeres Archiv München”, nel suo “Quilts” dà visibilità alla storia di personalità queer, tra le altre, che finora non hanno trovato spazio nella storiografia convenzionale ed eteronormativa.    

15 TURNING PAIN INTO POWER curated by Judith Waldmann_Regina José Galindo. Foto Ivo Corrà.jpgLo scorso mese si è ricordato, nel giorno de 25 novembre, lʼimportanza delle azioni di sensibilizzazione e prevenzione alla violenza sulle donne. In che termini viene narrata la violenza sulle donne e la lotta alle discriminazioni?

La violenza di genere gioca un ruolo importante nella mostra. Artisti come Regina Rosé Galindo, Silvia Giambrone, Giulia Iacolutti o Puppies Puppies (Jade Guanaro Kuriki-Olivo) affrontano questo ambito tematico in TURNING PAIN INTO POWER. Nellʼopera video “El dolor en un pañuelo” (1999) di Regina José Galindo, ad esempio, il suo corpo vulnerabile e nudo (femminile) diventa letteralmente uno schermo di proiezione: legato a un letto verticale, un proiettore di diapositive proietta sulla sua pelle nuda articoli di giornale che riportano gli innumerevoli casi di abusi contro le donne in Guatemala. Il corpo dellʼartista diventa una piattaforma che richiama alla coscienza dello spettatore i crimini commessi contro le donne e lo incoraggia a confrontarsi con essi. Silvia Giambrone affronta il tema nellʼopera “Security blanket” (2022), che può essere tradotto letteralmente come coperta di sicurezza ed è un termine consolidato per le coperte per bambini. Giambrone ha ricamato un testo sulle coperte rosa che rompe con la dolcezza delle coperte decorate con le fiabe e le trasforma in “coperte di sicurezza” di ragazze e donne adolescenti. Le coperte presentano stralci del manuale “Surviving” di Enzo Maolucci  e Alberto Salza, che, tra le altre cose, fornisce consigli pratici su come difendersi dalle aggressioni sessuali, soprattutto nei confronti delle donne. “Gridate al fuoco più forte che potete” è uno dei consigli che le “Coperte di sicurezza” di Giambrone danno al pubblico.10 TURNING PAIN INTO POWER curated by Judith Waldmann_Adrian Piper. Foto Ivo Corrà.jpg

Chi sono gli artisti e le artiste coinvolte?

La mostra mette in dialogo artisti rinomati come Monica Bonvicini o Adrian Piper con le richerche emergenti come quelle di Silvia Giambrone, Philipp Gufler, Giulia Iacolutti o Puppies Puppies (Jade Guanaro Kuriki-Olivo). Grandi nomi internazionali come Regina José Galindo o Paulo Nazareth si affiancano a voci altoatesine come quelle di Rosalyn D’Mello o Sven Sachsalber. Si tratta di una selezione eterogenea ed emozionante di artisti eccezionali che hanno in comune il fatto che le loro opere riescono ad affrontare temi impegnativi al più alto livello e a dare un contributo importante e prezioso per una maggiore tolleranza, accettazione e compassione.  

 

Foto Ivo Corrà

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