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December 10, 2022
L’arte della regia tra opera e teatro – Intervista ad Andrea Bernard
Maria Quinz
Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco.
Victor Hugo
Ci sono traiettorie umane che prima di comprendere quale sia “il luogo” dove esprimere la propria vocazione professionale e di vita, si trovano ad imboccare più strade e deviazioni e ci sono altre traiettorie più lineari – solo all’apparenza – dove una certa via sembra già tracciata fin dall’inizio e la meta visibile all’orizzonte – un po’ come un faro luminoso e ben piantato – seppur ancora da raggiungere.
Parlando con il giovane e talentuoso regista bolzanino Andrea Bernard mi è sembrato di cogliere fin da subito nelle sue parole – con una certa invidia – una fortissima determinazione, che da molto giovane lo ha condotto senza troppi vagabondaggi, diritto dentro il mondo del teatro, facendo del palcoscenico “il suo luogo dell’anima”: il centro gravitazionale in cui far convergere talenti, passioni, energie in una sola unione, con la possibilità quindi di esprimersi al proprio massimo potenziale.
Andrea si è fatto conoscere sulla scena internazionale grazie alla vittoria del prestigioso European Opera-directing Prize nel 2016 partecipando con il progetto de La Traviata, messa in scena al Festival Verdi di Parma nel 2017. Da allora non si è più fermato realizzando la regia di numerose opere liriche come Carmen, Lucrezia Borgia, Don Pasquale su importanti palchi italiani e europei, come anche spettacoli di prosa, ricreando sul palcoscenico una molteplicità di mondi e di storie, note e non, rivisitate e proposte al pubblico attraverso il filtro della sua immaginazione e creatività.
Andrea ti sei avvicinato presto al teatro, come hai mosso i tuoi primi passi a Bolzano?
La mia passione per il teatro e l’arte dello spettacolo, in generale, ha preso il via con la musica e i miei studi di pianoforte da bambino. Poi è sbocciata con le prime esperienze teatrali, frequentando durante il liceo il corso di teatro dell’Associazione Bricabrac a Bolzano, curato da Giuliana Lanzavecchia. Questa esperienza è stata decisiva: un’immersione a tutto tondo in un atelier creativo dove ho potuto lavorare non solo su gesto e parola ma anche sulla musica, il movimento e la ricerca figurativa di scenografie e costumi. Ho ricevuto tanti stimoli anche in famiglia, con la frequentazione di teatri fin da piccolo e anche grazie all’attività di mia madre che curava i costumi per eventi locali. Ho quindi iniziato presto a curare delle regie con compagnie giovanili a Bolzano ed è lì che ho deciso che questa poteva diventare la mia strada.
Andrea, come sei diventato regista, passando dal mondo amatoriale a quello professionale?
Quando era ragazzo, i professionisti con cui avevo l’occasione di parlare mi davano più o meno tutti le stesse indicazioni sui metodi per fare teatro: o ti iscrivi a un’accademia o fai l’assistente. Finito il liceo mi sono iscritto ad architettura a Ferrara perché mi interessavano anche le costruzioni e il design, scegliendo di non precludermi un’altra strada, forse più sicura, ma con la consapevolezza che volevo fare il regista. Parallelamente ho cercato lavoro in teatro e sono riuscito grazie a una serie di casi fortuiti – tra cui la mia conoscenza del tedesco – a fare da assistente a Pier Luigi Pizzi, regista con cui desideravo lavorare. Ho seguito poi altri registi in giro per l’Europa, tra cui Damiano Michieletto con cui collaboro anche oggi e che mi ha permesso di approfondire un altro tipo di teatro che amo molto: il teatro d’opera.
Fin da subito hai iniziato anche a sviluppare progetti tutti tuoi…
Sì, parallelamente avevo bisogno di esprimermi anche con dei lavori più personali e quindi ho partecipato a dei concorsi internazionali finche ho vinto l’European Opera directing Prize EOP nel 2016, un prestigioso premio che mi ha permesso di mettere in scena la Traviata al Festiva Verdi a Parma ed è da lì che posso dire che il mio percorso da regista è iniziato e per fortuna non è mai finito.
Hai un curriculum molto ricco e variegato: teatro di prosa, opere liriche ma anche curatele di mostre ed eventi…
Mi occupo volentieri anche di eventi e mostre, perché gli studi in architettura mi hanno aperto a più possibilità e conoscenze in altri ambiti e sono sempre stato stimolato da tutto ciò che poteva portare nuova linfa alla mia creatività. Ho quindi sempre accolto le nuove sfide che mi sono state proposte. Per esempio mi è stato chiesto di fare il direttore artistico di un grande evento all’Opening Cerimony del NOI Techpark di Bolzano, come anche di progettare allestimenti per mostre. Poi sempre a Bolzano, ho potuto debuttare presto nella regia del teatro di prosa al Teatro Stabile di Bolzano, con Brattaro mon amour, con una grande compagnia: è stata un’esperienza molto forte, un progetto contemporaneo. Da allora, il mio rapporto con lo Stabile di Bolzano non si è mai interrotto.
Andrea, hai un tuo team di collaboratori di riferimento per gli allestimenti?
Assolutamente sì: ho un team e ho bisogno di un team forte per sentirmi stimolato e tenere il dialogo e il confronto con loro sempre vivo. Lavoro con lo scenografo Alberto Beltrame, che è un caro amico e che ha studiato con me architettura. Alberto vive in Svizzera ma si muove molto come me. E lavoro anche continuativamente con la costumista Elena Beccaro, anche lei di Bolzano: una cara amica che è partita con me come attrice e poi si è specializzata a Milano come costumista. Siamo cresciuti insieme professionalmente, iniziando insieme; posso dire che il nostro è un bellissimo sodalizio.
Lavorare con le stesse persone a livello di scenografia e costumi, vi porta ad avere un tuo/vostro specifico “stile”?
Non so in realtà definire il mio o il nostro stile. Personalmente sono sempre alla ricerca di nuove visioni e immaginari. Per noi la ricerca estetica sulla scena è sicuramente fondamentale, perché parole, recitazione e musica sono importanti, ma anche le immagini non sono da meno per immergere lo spettatore nella finzione. Spesso nel contemporaneo si perde l’attenzione al dettaglio, mentre noi ci battiamo molto per la qualità estetica fino al più piccolo particolare. Ovviamente quel che ci prefiggiamo è narrare delle storie che facciano comprendere anche vicende apparentemente lontane (storicamente e culturalmente), ma che possano comunque avvicinarsi il più possibile al pubblico, con tratti di umanità universali. Questo non significa solo vestire le persone con jeans e maglietta, ma vuol dire portare una forma di freschezza e originalità nella regia.
Mi puoi fare qualche esempio?
Per esempio, nella messa in scena della Lucrezia Borgia di Donizetti, seppur in costume, abbiamo tentato di togliere il carattere polveroso/decorativo degli abiti e abbiamo creato una scenografia e un’illuminazione molto contemporanei. Altro esempio è La Cenerentola, che abbiamo ambientato in una lavanderia anni ‘50, dove i vestiti portati in pulitura diventavano i personaggi del sogno di Cenerentola, con il principe che usciva dalla lavatrice…Qui tutto era un sogno della protagonista. Ma se è vero che è difficile che la storia di Cenerentola esista, è vero anche che si possono avere desideri e sogni realizzabili. Alla fine della Cenerentola avveniva una sorta di assoluzione: il principe in realtà era il facchino che ogni giorno le portava i detersivi. Come a dire che a volte basta aprire gli occhi per scoprire accanto a sé la persona giusta o quello che si sta cercando.
Tra teatro di prosa e opera lirica quale è la dimensione in cui ti trovi più a tuo agio?
Credo di essere molto versatile e comunque sempre a mio agio in teatro. Ovviamente ci sono sfide diverse: passare dalla grandiosità dell’opera alla dimensione più intima della prosa – che non è meno complessa – richiede un cambio di passo. Qui l’attore è “nudo” con sé stesso e la sua voce e la regia diventa un lavoro di scavo in profondità nella recitazione, dove ci si sofferma su ogni singola parola, mentre il cantante ha la musica che lo sostiene e questo ovviamente aiuta molto. Dall’altra, l’opera è maestosa e articolata a livello organizzativo e coinvolge moltissime persone: i cori, l’orchestra ecc. Sono sfide molto diverse e mi stimolano entrambe. Per me è importante raccontare storie e ciò avviene nella prosa, come nell’opera. Certamente nell’opera quello che c’è in più è la musica. Amo molto la musica che mi dà sempre una forte emozione; è un linguaggio universale, che arriva al pubblico anche dove il canto è in una lingua diversa dalla propria. Questo aspetto della musica è molto bello per il mio lavoro, perché mi permette di viaggiare e lavorare ovunque, mentre il teatro di prosa necessità della traduzione per essere esportato all’estero. In prosa ho lavorato sempre in italiano e ho fatto e farò qualcosa in tedesco mentre con le opere liriche ho lavorato in diverse lingue. Non vedo l’ora di fare un’opera in russo, penso a Tchaikovsky in particolare.
Andrea, ritieni che ci sia un qualche aspetto del tuo modus operandi in teatro che ritorna negli allestimenti delle mostre che realizzi?
Direi di sì e mi chiamano anche per questo motivo – credo – perché in qualche modo ho una visione un po’ diversa rispetto a un allestimento tradizionale, perché cerco di creare anche in questi casi un racconto. Mi propongono mostre un po’ più complesse a livello di allestimento, dove io cerco di creare una sorta di drammaturgia che possa aiutare lo spettatore a godersi l’esposizione, entrando maggiormente nel tema. Attualmente sto lavorando al Museo Palladio di Vicenza a una mostra sul tema – Acqua, fuoco e terra: l’architettura industriale all’epoca di Palladio – è un tema complesso, magari non così popolare: speriamo di renderlo intrigante attraverso l’allestimento.
Hai altri progetti in corso o in programma?
A marzo debutterò alla Fenice di Venezia con l’Ernani di Verdi. Stiamo lavorando in modo intenso; si tratta di una coproduzione con il Palau de Les Arts Reina Sofia di Valencia e che porteremo in scena a Valencia a maggio. A giugno porterò il Don Pasquale di Donizetti al Carlo Felice di Genova, opera che ho già realizzato in passato, ma che riprenderemo con un cast completamente diverso. Debutterò poi a settembre in Svizzera a Bienna con un dittico Donizzetti e Adams, inaugurando la stagione, poi curerò un’altra mostra al Museo Palladio su Raffaello architetto…
Il tuo programma è fittissimo fino al 2024!
Funziona un po’ così in questo mondo. All’estero ti chiamano con anni di anticipo, per “blindarti” e darti la possibilità di lavorare al progetto. In Italia capita spesso, invece, che ti chiamino all’ultimo e il progetto non abbia così il tempo di maturare ed essere prodotto. Se invece ci sono un paio di anni o almeno uno a disposizione, si ha il tempo di riflettere con calma, discutere con il team, fare decantare le idee ecc.. Con i miei collaboratori cerchiamo sempre di lavorare su testi stimolanti dal punto di vista della drammaturgia, cosa che ci permette di definire un’estetica scenica e dei costumi che ci appassionino fin da subito, sapendo però che forse li modificheremo via via, in rapporto ai tempi storici, alle eventuali debolezze che riscontriamo e alle nuove idee.
Hai un qualche sogno nel cassetto o progetto che vorresti realizzare in particolare?
Il mio sogno è continuare a fare questo mestiere, calcando palchi importanti e lavorando su testi che mi stimolino e mi permettano di crescere ogni volta.
Credits: (foto 1) La Traviata, Luisa Tambaro, Violetta Valéry; (2,3) Don Pasquale , Michele Monasta (4) Brattaro mon amour, (5) Lucrezia Borgia, Rhota, (6) La Cenerentola, Slider (7) Andrea Bernard , Anna Cerrato.
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