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December 6, 2022

Prima c’erano le fate. Un progetto artistico
di Maria Chemello a LeGarageLab

Stefania Santoni

Prima cʼerano le fate è un progetto artistico curato da Maria Chemello, esperta in arti visive e performative che ha inaugurato domenica 4 dicembre presso LeGarageLab e che sarà visitabile fino al 14 gennaio. Si tratta di un lavoro frutto della sorellanza: un gruppo di donne (costituito da Maria Chemello, Angelica Stimpfl, Elina Christodoulaki, Annachiara Abram, Giulia Mantovani, Adriana Ghimp, Beatrice Commissari, Emma Rancan, Greta Moser, Silvia Marchi, Lucrezia Di Carne, Francesca Venezia, Eleonora Pedron, Michaela von der Heyde, Consuelo Donati, Sara Zanetti, Irene Leonardelli, Laura Valentinelli, Tessa Battisti, Sabrina Zotta) realizzato un grande patchwork dopo mesi di parole, scrittura, lettura, ninne nanne e incantesimi magici.

Come nasce questo progetto, Maria? E l’interesse specifico per le fate?

Questo progetto è nato da un desiderio. Il desiderio profondo di creare un gruppo, di donne, e di condividere con loro un tempo dedicato all’espressione del nostro essere più fatato, attraverso un percorso che si inoltrasse in narrazioni montane, leggende e mitologie, con delle modalità che intrecciassero pratiche artistiche e narrative. Il desiderio di vivere dei momenti insieme, slegati dal nostro esclusivo stare e vivere quotidiano, mi ha portata a provare a coinvolgere un gruppo di amiche (siamo in diciannove) e creare un appuntamento settimanale negli spazi di LeGarageLab. Ho chiamato queste donne fate, come creature meravigliose dotate di legami spirituali, a tratti sovrannaturali e magici, conoscitrici sensibili e oscure. Il nostro essere fate, che spesso facciamo fatica riconoscere e a esprimere, ha trovato un luogo sicuro in cui poter esistere. I temi che abbiamo trattato, le pratiche che abbiamo sperimentato, ci hanno permesso liberamente di radunarci, di creare il nostro cerchio e di creare una piccola nuova e potente visione, sospesa tra la nostra immaginazione e le nostre realtà.

Quale valore ha per te la narrazione? E che cosa significa costruire nuovi immaginari a partire dal mito, dalla leggenda e dal folklore del Trentino?

La narrazione in questo progetto è stata il mio (e nostro) punto di partenza, è stata il legame durante gli incontri e il filo che ci ha permesso di unirci collettivamente. Siamo partite da testi di credenze, leggende, mitologie della montagna, racconti (molti dei quali legati al Trentino) che ho raccolto specificamente per ognuna e che ho assegnato ad ognuna al primo incontro. Ci siamo conosciute a partire, e attraverso, quei testi. Li abbiamo condivisi e riscritti, ampliandoli e integrandoli di una propria visione individuale più legata al proprio sentire e al proprio essere. Ho proposto delle pratiche di scrittura e racconto per immaginare, inventare e reinterpretare, fondendo parole e testi di tutte. La narrazione ci ha descritte, ci ha rappresentate, ci ha permesso di reinventarci, di mescolarci, di unire e creare il gruppo. Il mito e il folklore sono stati una importante e interessante base, che ci ha sempre accompagnate, in un modo spesso nascosto, ma che abbiamo fin da subito trasformato in un nuovo, intimo e personale immaginario. Dal momento in cui è avvenuta l’assegnazione e l’interiorizzazione del testo si è avviato immediatamente un processo di conservazione dell’originalità del racconto insieme ad una sua spontanea mutazione, profonda e soggettiva, dal significato personale.

Che significa stare in un cerchio di donne? E praticare un’arte di matrice femminile?

Un cerchio di donne è già magia. Il cerchio ha creato un confine, una protezione, una appartenenza. Stare nel cerchio per noi ha significato unire i nostri corpi, i nostri sguardi e le nostre parole, spostando la nostra mente in luoghi lontani, tra fiumi, rocce, acque, cime…. All’interno abbiamo costruito una realtà che abbiamo immaginato insieme e che forse può esistere solo quando il cerchio si compone e poi svanisce e si ricrea. Il cerchio ha creato un patto segreto. E’ più facile in un cerchio di donne scrivere incantesimi, ninne nanne, esprimere desideri e oscurità. E’ più facile sentirci custodi di noi stesse, di quello che creiamo e di quello che raccontiamo. Nel cerchio si crea quell’oscura armonia, che appare nel nostro tessile: è nato come un canto, tra immagini e colori che, ignorando la ragione esatta del come e perché, mantiene la nostra singolarità ma si unisce alle altre in un forte legame. E’ stato un progetto artistico, un lavoro di cura, un percorso che seppur nella sua brevità ci ha fatto scoprire la bellezza della spontaneità, la purezza dei nostri pensieri e un gran desiderio di unione.

Che cosa è stato allestito?

Durante l’opening abbiamo aperto il nostro cerchio. In questi due mesi abbiamo conservato e protetto il nostro segreto, non abbiamo raccontato o mostrato quello che accadeva per poter coinvolgere le persone durante la serata di apertura, insieme a noi. Abbiamo mostrato il grande tessuto di immagini che abbiamo composto insieme, che racchiude i disegni di tutte noi. Abbiamo ascoltato insieme un testo che è diventato il nostro piccolo manifesto di fate.

Un’ultima domanda, Maria. Quale è la relazione tra il testo e l’allestimento?

La parola è sempre stata costante nei nostri incontri, abbiamo parlato molto e scritto quasi sempre. Il testo che leggeremo alle persone, e che consegneremo, è il testo che abbiamo ritualmente letto durante i nostri incontri serali. E’ il legame tra l’immagine e il pensiero, che abbiamo sempre cercato di esprimere tra di noi. Leggerlo e creare un momento di ascolto collettivo significa per noi riproporre pubblicamente un momento privato, che vivevamo nel cerchio. Può essere anche uno spunto di interpretazione per il grande racconto di immagini che si vede. Nel testo c’è ogni fata, siamo tutte noi, l’una legata all’altra. C’è il nostro raduno notturno.

Foto Roberta Segata

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