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November 17, 2022

Cosa ci insegnano le Alpi 10. Design, arte, cultura: Claudio Larcher

Emanuele Quinz
Il paesaggio delle Alpi è un ecosistema unico, un fragile e millenario equilibro tra natura e cultura. Cosa insegnano le Alpi – a chi le attraversa, a chi ci vive e lavora? Ma soprattutto, come influenza questo paesaggio, questo ecosistema, questa cultura il pensiero e la pratica degli artisti e dei designer?

Per il secondo episodio della seconda stagione della nostra serie, incontriamo Claudio Larcher, architetto e designer, di base a Milano, dove dirige l’Area Design di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna, fonda il suo studio a Milano, lavorando per marchi come Gianfranco Ferrè, Danese, Coccinelle, Bieffe, Konig, Muranodue. Ha insegnato in varie scuole e istituti, come la Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano, il Politecnico di Milano, lo IED, l’Elisava di Barcellona e l’Università Jaume I di Castellon. Ha partecipato e curato esposizioni in Italia, Spagna, Giappone, Francia, Inghilterra e Svezia. Dal 2017 è “Ambasciatore del Design Italiano” per Svizzera, Albania e Uruguay. È autore dei libri “Progettare un cucchiaio per cambiare la città” (ed Quodlibet) “Globetrotting designers” (ed. Compositori) e “Design, scuola e solidarietà” (ed. Fausto Lupetti). DesignFromTheAlps2019_2020Ph_AndreasMarini_KunstMeran_67

Qual è il tuo rapporto con le Alpi?  

Sono nato in pianura al centro di Milano ma ho origini trentine da parte di padre e queste origini si sono sempre fatte sentire molto nel rapporto con la montagna. Il bisnonno irredentista e Senatore del Regno fu uno dei presidenti della SAT (Società Alpinisti Tridentini) e a lui è intitolato un rifugio sul Cevedale. Nonno e padre, altrettanto alpini e alpinisti, fin da piccolo mi hanno insegnato la montagna, nelle sue mille sfaccettature. Quindi con storie della grande guerra sui monti raccontate in prima persona o di ascensioni di vette con scoperte di nuove vie ho sempre portato dentro il “senso delle Alpi” come parte del mio essere. 

Puoi raccontare una storia, un ricordo personale, una parabola, un aneddoto legato alle Alpi?  

La mia storia personale con le Alpi la vedo sempre legata ad un rifugio della Val di Fassa alle pendici dei Monti Monzoni, il rifugio Taramelli. Posto incantevole a più di 2000 metri di altezza, non troppo inflazionato dal turismo di massa, ha una storia legata alla gestione volontaria degli studenti universitari. Fin dalle sue origini era base per studi geologici della zona e per decenni è stato centro di incontri di giovani alpinisti, intellettuali e studiosi. Ho una prima foto al rifugio a soli 2 anni con tenuta tipicamente Sudtirolese perché già i miei genitori fin dall’università prendevano parte attiva alla gestione. Ho quindi proseguito la tradizione di famiglia come gestore (alcune settimane in estate) durante i miei studi portando con me amici cittadini e di pianura. Ancora nel 2019 ho raggruppato alcuni designer in questo rifugio (8 per l’esattezza) per isolarli alcuni giorni e discutere sul mondo contemporaneo del progetto. Da questo “ritiro in altezza tra le Alpi” è nato poi un libro di design intitolato “Disegnare un cucchiaio per cambiare la città”. Per tutte queste tappe sono veramente orgoglioso che il rifugio Taramelli sia rimasto il punto di riferimento della mia storia personale e di altri giovani.sarner ski

Cosa ti hanno insegnato le Alpi? 

 Ho un ricordo molto lucido quando da ragazzino assistetti ad una presentazione dei racconti di Reinhold Messner sulle sue imprese di alpinismo. Oltre ad essere rimasto affascinato dai racconti ero anche rimasto turbato dall’elenco delle disgrazie legate ai pericoli della montagna. Forse questo è un buon insegnamento che ci lasciano le Alpi, quello di non dare niente per scontato, essere preparati a qualsiasi cambiamento lungo il nostro cammino. Quando si parte per una cima o per un’escursione bisogna sempre tener presente, e in un certo senso temere, la montagna. Nell’affrontare le Alpi, anche come nella vita le nostre aspirazioni e i nostri progetti spesso non sono quelli che ci prefissiamo all’inizio del cammino e dobbiamo essere pronti alle rinunce o ai cambiamenti improvvisi.

 Cosa ci insegnano le Alpi? 

In una parola direi la “bellezza”, così come ognuno vuole intenderla personalmente.

Nel 2019-2020 hai curato un’importante mostra, al Kunstmeran/Merano Arte, su Design from the Alps – seguita da un imponente catalogo. Come è nato il progetto? e che definizione del design si lega al contesto alpino?  

La mostra e il catalogo sono stati un bellissimo progetto partito dal Kunst Meran e dal mio amico di avventura Massimo Martignoni. L’idea era di scovare tutto (o almeno una parte) quello che la zona Alpina Trentino/Alto Adige/Tirolo avesse prodotto di interessante durante il secolo 1920-2020. Un territorio molto particolare quello delle Alpi, diverso dal resto d’Italia e con tradizioni peculiari che poi si sono tradotte in artefatti di artigianato ma anche prodotti industriali. Abbiamo diviso la mostra secondo la conformazione del territorio e quello che poteva rappresentare: una zona di valle che corrisponde al settore produttivo industriale, una zona di mezza costa con le sue produzioni artigianali e l’ultima di alta montagna con tutti i prodotti legati allo sport e alla sicurezza della montagna stessa. Caratteristiche peculiari della zona delle Alpi sono sicuramente la qualità dei prodotti e della lavorazione, l’uso di materiali che rispettano la natura come il legno (forse influenzati dalla bellezza dei territori) e quindi da sempre un atteggiamento sostenibile nella progettazione, ma anche la qualità del design. In quest’ultimo caso basti pensare ad aziende come Flos (fondata a Merano) o Plank che hanno fatto del design di qualità la loro fortuna sviluppando importanti collaborazioni con designer di fama mondiale da Castiglioni a Kostantin Gricic. fortunato depero

Puoi farci qualche esempio di design specificamente alpino? 

Nella mostra abbiamo portato espressioni del mondo industriale come la famosa roulotte “serie Blu” Laverda, unica nel suo design (e nel colore, visto che era azzurra) con una ricerca di soluzioni formali e funzionali di grande ricerca ed avanguardia.

Un altro esempio a cui sono legato è sicuramente la bellissima moto “Capriolo” prodotta dalla Caproni, azienda di aeronautica. Oppure il lavoro dei maestri come Ettore Sottssas o Fortunato Depero, espressione nel design di questa zona alpina per origini di nascita, famiglia o vita. 

Per finire direi che mi affascinano molto alcuni prodotti per la montagna come i bellissimi e fortissimi sci Kneissl (protagonisti di grandi vittorie) e i meno conosciuti ma altrettanto interessanti sci Sarner, con colori ed estetica molto ricercata e legata alle mode degli anni’70.Capriolo01

Anche nei progetti che realizzi come designer, il riferimento alle Alpi è ricorrente – dalla lampada murale Dolomite (Prandina, 2020) fino agli specchi in granito delle Alpi Svizzere (Clique editions 2018). Cosa ti interessa mettere in rilievo, in riferimento alle Alpi, con queste produzioni? 

Resto sempre affascinato dalle Dolomiti, dalla loro conformazione e forma e questo inconsciamente condiziona anche il mio lavoro da designer. Quando si cerca una forma per un prodotto alcune “sensibilità” restano nel nostro immaginario visivo e si traducono nelle forme stesse. Quando ho disegnato la lampada per Prandina e ho dovuto darle un nome ho scoperto come le sue linee mi ricordavano le Dolomiti e il nome “Dolomite” è arrivato da solo.

Anche la pietra come materiale ha il suo fascino e per anni ho lavorato a progetti con il marmo (materiale difficile ma affascinante) e anche con il granito. Progettare con questi materiali da un’idea al progetto (oltre che di sostenibilità) di essere eterno, di valere per tanto tempo in un mondo in cui tutto cambia velocemente.caravan laverda

Il libro Disegnare un cucchiaio per cambiare la città, diretto con Valentina Dalla Costa (Quodlibet, 2020) parte da un’escursione, con meta il rifugio Taramelli, a 2046 metri, nel cuore delle Dolomiti. Come è nata l’idea di questo progetto? 

Come ricordavo all’inizio, il rifugio Taramelli è parte della mia vita, come riferimento fisso di un luogo immerso nella natura e con poco turismo, un’icona per me.

Il libro “Disegnare un cucchiaio per cambiare la città” è un lavoro corale, un dialogo tra progettisti che parlano di progetto, fanno il punto sull’oggi e immaginano il domani. Per fare queste riflessioni ho immaginato di isolare designers in un posto magico lontano da tutto, da tutti e dalle mille distrazioni di tutti i giorni, ecco il rifugio è stato l’ideale per tutto questo (anche per i designers che non avevano familiarità con la montagna).

 

Foto: 1 Design From The Alps 2019_2020, Ph Andreas Marini, KunstMeran; 2 Sarner Ski; 3 Sala Trentina, progetto Fortunato Depero alla I Internazionale di Monza, 1923; Moto Capriolo, Aero Caproni, Trento; Caravan Laverda.

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