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October 15, 2022

Energia e creatività tra board sport e montagne
Intervista a Davide Costanzo

Maria Quinz

Amo le montagne intatte. C’è così tanto spazio per la creatività. Non c’è un modo giusto o sbagliato per scendere e non importa quanto snowboard tu abbia fatto, puoi sempre farlo meglio.

Jeremy Jones, snowboarder statunitense

 

Davide Costanzo si definisce un classico bolzanino: nato e cresciuto a Bolzano, in una città piccola e di confine ma circondata dall’immensità delle montagne che per lui – come per molti altri di noi – hanno sempre significato una straordinaria fonte di ispirazione, oltre che un richiamo per vivere esperienze di sport e di crescita personale e umana, a contato con la potenza millenaria della natura.

 Parlare con Davide è molto piacevole, nella nostra conversazione ritorna spesso la parola “energia” e l’energia traspare anche dalla sua voce e dalle sue parole: precise e meditate, “equilibrate” ma anche divertite e dalla carica vitale contagiosa. Risulta naturale, conversando con lui, immaginarlo mentre nel suo attuale ruolo di Marketing Communications Manager di Samsung Electronics, convince e entusiasma i suoi partner nel realizzare progetti ed eventi di comunicazione coraggiosi, sorprendenti e visionari. Davide mi racconta quanto il suo essere radicato al mondo degli sport, non solo quelli di montagna, ma in particolare ai board sport delle tavole, come lo skateboard, il surf e soprattutto lo snowboard, lo abbia fortemente indirizzato verso la sua carriera nel mondo del digital, del brand communications e del marketing aziendale.

 Davide, in che modo gli sport con le tavole hanno guidato le tue scelte professionali e di vita?

 C’ è una frase nella cultura del board sport, delle tavole, che dice un po’ così: “snowboard save my life”: perché si tratta di una cultura che riesce ad arrivare in modo inaspettato in luoghi remoti, come le montagne, apparentemente disconnessa dalle grandi città, ma che è piena di valori più che mai attuali, giovani e anche urbani. Quindi quello che mi è successo, da ragazzo è stato che la cultura di snowboard, surf e skate mi hanno affascinato enormemente, perché sono fatte non solo di sport ma anche di fotografia, di contaminazione con l’arte, con sottoculture che si portano dietro un bagaglio molto interessante del mondo visivo e del mondo dello storytelling. Tutto ciò ha “cliccato” nelle mie potenziali passioni dell’epoca e ho iniziato a giocare con macchine fotografiche, videocamere e un po’ di realtà a Bolzano se ne sono accorte e ho iniziato a fare dei piccoli lavori, come qualche shooting. Poi con l’università mi sono buttato a capofitto in un corso di laurea che si chiamava Comunicazione Audiovisiva multimediale a Ferrara.

 All’epoca si parlava di multimediale, mentre il termine che si usa oggi è invece “digital”. In quegli anni di studi ferraresi ho approfondito in modo accademico tutta la sociologia della comunicazione, le teorie e tecniche dei linguaggi, dal cinema al teatro, sempre portandomi dietro le mie passioni sportive, continuando a fotografare e continuando a essere forte dei miei valori. Dopo questa laurea, che – devo dire – è stata entusiasmante e dopo qualche stage, tra cui uno anche a Bolzano per lo studio Zem, che era uno studio di registrazione musicale e di comunicazione digitale, sono entrato in contatto con Diesel, a Bassano, che mi ha fatto entrare nel suo team di comunicazione, tra il 2005 e il 2006.campagna Diesel 2007

 Come è stata l’esperienza con Diesel?

 È stata travolgente perché credevo che le mie passioni, tutto quanto mi attirava nella comunicazione fosse qualcosa di mio, un caso isolato e invece mi sono ritrovato in un’azienda potentissima in sinergia con la mia visione, completamente guidata dalla comunicazione più che dal prodotto. Abbiamo fatto campagne di comunicazione pazze e indimenticabili, in un momento in cui il digital pre-social era fatto da siti con caricamenti da quindici minuti e animazione stupende. Da Diesel l’esperienza è stata una rivelazione: lì ho capito che la professione della comunicazione era una cosa vera, reale e il mio potenziale di creatività avrebbe potuto trovare il modo di esprimersi. Poi è stato molto arricchente lavorare con i giapponesi, gli inglesi, persone da tutto il mondo. Li ho deciso che quello sarebbe stato il mio percorso, la mia direzione lavorativa. Se porti un pezzetto di te nelle cose che fai, le aziende riconoscono questa energia e la apprezzano quando la porti in ogni loro progetto.

 Davide, come sei passato poi a Nike?

 Dopo qualche anno che lavoravo nel mondo del marketing e della comunicazione di Diesel, una manager di Nike, che aveva lavorato in Diesel mi ha detto: “sei la persona che fa al caso nostro perché hai tanta energia. Fai un sacco di sport e soprattutto, capisci il digital che era una cosa che, nel 2008, non era ancora riconosciuta da tutti, c’era sempre chi preferiva puntare su campagne tradizionali: sulle affissioni, una bella pagina su La Gazzetta dello Sport ecc. Nike Italia aveva bisogno di qualcuno che facesse un po’ da portavoce del digital e mi hanno selezionato come esperto nel dipartimento di Brand Comunications di Nike Italia. Con Nike, che prima era Bologna e poi si è spostata a Milano, ho fatto veramente delle cose pazzesche: delle campagne di comunicazione con Oliviero Toscani, con i calciatori più forti dei campionati europei, dei mondiali di calcio; ho creato campagne di comunicazione sulla base di spot internazionali di Nike fatte dall’agenzia top Widen + Kennedy di Portland e che poi ci chiedevano di adattarle per l’Italia. Ho creato un format tv sull’allora DJ-TV  sulla storia di tutti i ragazzi che facevano action sport in Italia: gli emergenti dello skate, del surf della BMX.

 Ho rilanciato il running perché allora, nel 2010/2012 era uno sport – passami il termine – un po’ da “sfigati”, mentre oggi è esploso: i ragazzi corrono, oggi c’ è molta più coolness nel running. E quindi mi sono messo a cercare runner giovani, pieni di energia a cui ispirarsi e sono riuscito a fare dei bellissimi progetti e delle campagne di comunicazione in Italia che celebravano il running. I progetti sono stati davvero tanti, per esempio durante le Olimpiadi ho cercato degli atleti, quelli più interessanti, con delle storie da raccontare, a cui creavo le pagine social e cercavo di comunicare la loro energia e le loro storie attraverso le campagne, facendo sì che chi inciampava su una pubblicità della Nike, si portava a casa un’ispirazione, dell’entusiasmo e il pensiero: “quindi posso anch’io iniziare a correre in modo cool; posso giocare a calcio in un modo diverso”.Nike campagna running

 Quale era esattamente il tuo ruolo in Nike?

 Il mio ruolo era di direttore della comunicazione – Brand communications, che esprimeva i messaggi che l’azienda voleva comunicare, per cui l’anello della catena che stava tra l’obiettivo dell’azienda e l’esecuzione: che dava vita al brand e a un certo messaggio tramite molteplici strumenti comunicativi tra cui anche gli eventi. Gli eventi in Nike sono stati sempre presenti, sempre incredibili. Una volta al Foro Italico a Roma abbiamo costruito uno skate park di plexiglass trasparente, un’altra volta per il running abbiamo organizzato una staffetta di runner che da Milano andava a vari festival intorno alla città, a Villa Arconati, al Magnolia, all’Idroscalo, per cui chiedevamo ai runner di correre passandosi il testimone per arrivare ai festival e godersi i concerti. Abbiamo fatto concerti stupendi con i N.E.R.D, i Casino Royale ecc.; tante, tantissime cose molto belle.

 Poi sei tornato all’ovile, a Bolzano, per qualche tempo e hai lavorato per il Gruppo Oberalp – Salewa…

 Sì, è successo che OberAap Group aveva appena acquisito per l’Italia il brand di sport Under Armour e aveva bisogno di lanciarlo nel nostro paese. All’epoca il brand era estremamente in crescita e quindi ho accettato volentieri l’incarico decidendo di tornare alla base, a Bolzano, con la volontà di fare ancora più sport e snowboard e vivere più intensamente la mia passione per la montagna e la natura. Ho fatto diverse campagne di comunicazione appassionanti per spiegare i valori del brand in Italia. Under Armour è un brand che propone prodotti da preparazione sportiva per qualsiasi sport si desideri fare. E quindi è un brand con un messaggio incredibile, fortissimo, innovativo: che tu sia uno sciatore, un nuotatore, un giocatore di basket, il brand Under Armour, vuole sostenerti, con gusto e la giusta mentalità, nel diventare un campione. Per cui, a differenza di Nike che fa la scarpa da calcio e ti dice gioca a calcio, Under Armour vuole darti il meglio nella fase di allenamento e preparazione, il messaggio del brand è un po’ questo: “ mentre ti alleni dai il massimo, poi quando sarai in gara farai la differenza”. Under Armor

 Certamente rispetto all’enorme multinazionale Nike – che ha la possibilità di sponsorizzare il Barcellona e con cui, per esempio, ho fatto shooting con sportivi come Cristiano Ronaldo, Under Armour è un brand molto più piccolo, avevamo budget più limitati, ma devo dire che anche con il gruppo di lavoro di Oberalp ho avuto tante occasioni di dare vita a eventi spettacolari e shooting creativamente stimolanti per poter veicolare il messaggio aziendale. Quelli sono stati anche anni di viaggi. Ogni vacanza andavo a New York, in Giappone per conoscere altre culture dall’altra parte del mondo.

 Infine è arrivato il tuo ultimo incarico per Samsung a Milano, dove attualmente lavori…

 Esattamente. Devo dire che la chiamata di Samsung a fare il direttore della comunicazione è stata  irresistibile… Sono stato felice di tornare a Milano, agli stimoli della grande città, in un’azienda che mi ha dato un ruolo altissimo di direttore della comunicazione, per cui tutte le campagne che vedi in tv della Samsung Mobile con gli smartphone pieghevole e gli auricolari super potenti le seguo io – non mi occupo quindi di televisori ed elettrodomestici, ma solo di telefonia. Ho la possibilità di fare eventi incredibili; per esempio, dieci giorni fa abbiamo lanciato una nuova partnership con Toilet Paper Magazine con l’artista Cattelan, che ci ha firmato degli accessori stupendi per gli smartphone pieghevoli. Ho fatto degli eventi bellissimi con Club to Club, un Festival di Torino molto importante, per cui con lo scenografo dei palchi dei Radiohead abbiamo realizzato un’installazione di luce straordinaria per presentare un nuovo smartphone che realizza foto al buio di livello altissimo. 

 Sono contento di essere tornato nella grande azienda e nel mio ruolo di direttore della comunicazione cerco di identificare le opportunità di espressione del marchio Samsung Mobile nel modo più efficiente possibile, ma anche imprevedibile: pieno di di soluzioni nuove e sorprendenti. Questo è un po’, il mio lavoro oggi.campagna affissione Samsung

 Non ti occupi più di marchi sportivi sul lavoro, ma quanto sport c’è, oggi, nella tua vita?

 Lo sport impronta la mia vita, oggi come sempre. Non mi sono mai fermato. Per esempio, sono atterrato ieri notte da un viaggio per fare surf nel nord della Spagna e della Francia, continuo a girare le montagne in mountain bike, corro con la bici da corsa e sono un runner accanito.  Personalmente lo sport cerco di viverlo in un modo molto diverso da quello della cultura tradizionale per cui ti alleni per andare a correre una mezza maratona o una gara di bici di gran fondo ecc.. Posso dire che la cultura dei board sport – tra skate, surf e snowboard – mi ha plasmato profondamente per cui non è tanto la competizione o la performance la cosa più interessante per me, ma è l’esperienza che vai a creare: un’esperienza di sport individuale ma anche collettiva e umana di condivisione con i tuoi amici, con la tua piccola community, che ti porta un grande arricchimento.

 Mi spieghi un po’ meglio questa tua “filosofia” di vita e di sport?

 Io sono vegano da sempre non consumo plastica usa e getta in nessun modo. Sono molto attivista dal punto di vista della sostenibilità ambientale, per cui mi butto in battaglie di ogni sorta e anche nelle aziende sento molto la corporate responsability, per cui cerco di trovare sempre le occasioni di sostenibilità nei progetti. Per cui in ogni evento impongo il catering vegano, impongo l’assenza di plastica usa e getta e il riciclo dei materiali. Non voglio – per esempio – che le installazioni di un evento vadano al macero ecc.. Mi propongo quindi di creare sempre un’economia circolare in tutto quello che l’azienda fa. E poi cerco di portare dei messaggi fortissimi di empowerment del femminismo, delle cause sulle minoranze, per cui in ogni mio lavoro cerco di proporre un pezzetto dei miei valori che l’azienda possa coltivare, così come faccio nel mio piccolo. Tutto quello che faccio vuole essere – dove possibile – sostenibile al massimo, anche nello sport.

 Come vivi la sostenibilità nel praticare sport? 

 In tanti modi. Per esempio, a volte parto da Bolzano, con il mio snowboard legato alla bicicletta, arrivo alla base della montagna e faccio sci alpinismo con le pelli di foca fino alla cima e quindi cerco di creare un’esperienza, che implichi la stessa fatica di una maratona ma con impatto zero. Io non pratico sport per avere il pettorale con il numero o la medaglia: anzi, la mia medaglia è l’esperienza. Nel mio gruppo di amici, nello sport sono un po’ visto come una fonte di ispirazione per cui sono quello che con una nevicata di un centimetro dico “ragazzi, è possibile andare a fare una discesa anche con questa neve”, oppure organizzo viaggi di bikepacking attraverso l’Italia, portandosi dietro l’essenziale, godendo della lentezza e della sostenibilità. Da poco abbiamo fatto un viaggio con un furgone e un fornelletto per cucinare e cercavamo ogni giorno le spiagge dove fare surf: è stata un’esperienza molto bella. Nello sport io voglio ispirare, dire che c’è un modo diverso di fare le cose con lentezza e sostenibilità: un modo alternativo rispetto a comprare un pettorale e gareggiare in diecimila persone, tutte uguali. Cerco di dire che ci può essere molto altro.

 Se dovessi dare un consiglio a un giovane che volesse intraprendere una professione simile alla tua, cosa gli diresti? 

 Gli direi di non adagiarsi sulla cultura della normalità, di coltivare ogni proprio tratto di diversità e di differenza e di celebrarlo, di prendere la parola “strano” come un complimento e la parola “diverso” come un incoraggiamento a seguire la propria direzione. Perché essere forti in qualcosa che differenzia dall’uniformità è il valore più grande che si possa spendere nel mondo della creatività. L’individualismo è il valore più grande che possiamo dare: cercare di non conformarsi è una miniera d’oro per chi ha qualcosa da dare. 

Credits: (1) Cover Toilet Paper per Samsung (2) Campagna Diesel 2007 (3) Campagna Running Nike  2010 (4) Campetto da basket donato da Under Armour a Milano (5) Campagna Samsung S22 (6) Davide Costanzo

Davide Costanzo

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