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June 3, 2022

Lingua madre – Intervista alla scrittrice Maddalena Fingerle

Maria Quinz

Ho letto Lingua madre già due volte e anche ora che l’ho ripreso in mano, approcciando la sua prosa densissima e stratificata, mi ritrovo a perdermici: a lasciarmi stordire dalla sua scrittura.
Mi riferisco al romanzo “opera prima” di Maddalena Fingerle e vincitore della XXXIII edizione del Premio Italo Calvino, del Premio Comisso e del Premio Flaiano per gli under 35 (2021). Il libro, edito da Italo Svevo Edizioni (2021) è stato pubblicato recentemente anche in tedesco da Folio Verlag, con la traduzione di Maria E. Brunner (2022) e il titolo Muttersprache.

Le pagine “intonse” del romanzo le ho separate io stessa con un tagliacarte, una per una, via via che procedevo nella lettura, quasi come se il libro, nella sua essenza più materiale e tattile, mi invitasse a prendere tempo, a una fruizione lenta e meditata, oltre che partecipe e consapevole, della sua prosa vorticosa e incalzante. Del resto non è stato difficile per me sentirmi coinvolta dalla scrittura ironica e a tratti stordente di Maddalena Fingerle – giovane autrice bolzanina trapiantata a Monaco – e dalla parabola umana, maniacale e distruttiva del suo protagonista Paolo Prescher e questo per una molteplicità di aspetti; non da ultimo, per l’ambientazione del romanzo “in quel di Bolzano”, raccontata con finezza e rara ironia in tante sue contraddizioni, peculiarità e ossessioni – culturali, linguistiche, sociali, generazionali, identitarie – che, per chi ci è nato e cresciuto, come nel mio caso, non potevano che risultare decisamente familiari, oltre che a tratti, sottilmente divertenti e malinconiche.

Paolo Prescher odia le “parole sporche”, quelle parole che non dicono quello che dovrebbero dire, così come le persone che le usano e la sua città, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria: la città natale è il luogo da cui fuggire, alla ricerca ossessiva di parole pulite, incontaminate, scevre da ipocrisie e lordure. Le parole infatti non sono quasi mai neutre: si portano addosso l’odore delle cose che rappresentano, lo spregio di chi le usa per colpire gli altri, lo sconforto per chi non sa come usarle e le usa male… Su questo filo si dipana la trama amara del racconto che condurrà il giovane protagonista in un viaggio sulla rotta Bolzano-Berlino e ritorno, in fuga dal conformismo, dal mondo degli adulti e dalle etichettature preconfezionate, dove Berlino si rivelerà come un rifugio, luogo dell’amore e anche della rinascita in vista di un possibile ritorno a casa e che, tuttavia, non sfocerà in nuovo inizio per il protagonista, ma nella riproposizione claustrofobica e tragica del punto di partenza.

Della Bolzano di Paolo Prescher – e non solo – sono felice di parlare qui, con Maddalena Fingerle.

Maddalena ci potresti raccontare qualcosa sulla genesi di “Lingua madre? Come è iniziata questa tua avventura letteraria che ti ha portato a vincere il Premio Calvino?
L’immagine alla base dell’idea di Lingua madre è nata durante una serata con carissim* amic* di Milano. Eravamo a Monaco, leggermente brill*, il mio amico e io abbiamo litigato (non per la prima volta) sul numero di docce da considerarsi sano durante una giornata. Secondo me non esiste un numero ma dipende dalla modalità in cui ci si lava, ma di fatto c’erano due fazioni: una volta al giorno è d’obbligo, una volta al giorno non è necessario. Quella sera, prima di addormentarmi, avevo l’immagine di un uomo davanti agli occhi: si faceva la doccia in maniera ossessiva compulsiva sfregandosi la pelle con una spugna, senza però riuscire a sentirsi pulito. Non sapevo che cosa lo sporcasse, fino a quando, la mattina dopo, mi venne l’idea della parola, doveva essere il linguaggio a sporcarlo. Lì pensai al nome Paolo Prescher, anagramma di parole sporche e solo dopo iniziai a costruire le schede dei personaggi e infine la trama.

La “lingua” è protagonista del libro – a partire già dal titolo – tanto da condizionare lo “stare al mondo” del bolzanino Paolo Prescher, il personaggio principale del racconto, ossessionato dalle parole: ci puoi raccontare cosa significa per lui (e per te) la necessità di “ripulire le parole”?

Per lui pulire le parole significa trovare un linguaggio (e quindi un mondo) privo di falsità, ipocrisia, violenza, cattiveria, un mondo in cui può essere sempre sé stesso senza giudizio. È un’illusione e in quanto tale è dolorosa per Paolo, che ci crede. Per me pulire le parole non ha questo significato. La prima volta che pensai la frase fu quando al liceo incontrai Giorgio Vasta, che per me era “pulito” e “parlava pulito”, cioè mi sembrava comunicasse senza che ci fossero corpi tra le parole.

Bolzano è lo sfondo su cui si muovono i personaggi, nella prima e nella terza parte del libro – con un intermezzo berlinese – è una città opprimente da cui fuggire, ma anche un luogo dove ritornare alla ricerca di un futuro (in)possibile. Maddalena, qual’è la tua Bolzano, in contrapposizione a quella del romanzo?

Il mio rapporto con Bolzano non è sofferto come quello di Paolo; è vero però che non mi sento a casa, in città, né provo alcun tipo di appartenenza. Le montagne le sento pure io opprimenti: preferisco il mare. E anche linguisticamente parlando mi sento a mio agio da Roma in giù, ma pure da Bolzano in su, a dire il vero. A Bolzano il libro è stato letto e apprezzato, c’è stata forse una polemica, ma niente di fondato dal punto di vista letterario. Soprattutto ho avuto l’opportunità di conoscere il mondo di lingua tedesca di Bolzano e mi sono sentita molto accolta.lingua madre

Di recente “Lingua madre” è stato pubblicato in tedesco per Folio Verlag, con la traduzione di Maria E. Brunner. Che tipo di esperienza è stata per te questa collaborazione?

Maria E. Brunner è riuscita ad azzeccare la voce di Paolo, che ora parla anche in tedesco. È riconoscibile, e questa è la cosa più importante, per me. Sentire che parla la stessa lingua di Chris (mio marito) è emozionante – per questo volevo a tutti i costi Folio: perché sapevo che sarebbero riuscit* in questa operazione tanto delicata. Poi certo: ho dovuto imparare a lasciare il controllo. Certe scelte (come per esempio l’uso dell’articolo davanti al nome Giuliana, dopo che Paolo dice di odiare chi usa l’articolo davanti ai nomi propri) non le condivid(ev)o, ma non è più un mio testo e non volevo intromettermi o impuntarmi troppo: ho detto la mia e ho lasciato alla traduttrice (alla quale sono estremamente grata) sempre l’ultima parola.

La Maddalena lettrice e la Maddalena scrittrice: cosa le caratterizza e le appassiona maggiormente?

Oddio, non mi definirei scrittrice. Ma a parte questo: direi che in entrambi i casi, sia se leggo sia se scrivo, ciò che mi affascina di più è il linguaggio.

Di cosa ti stai occupando al momento? Hai qualche nuovo libro in cantiere o particolari progetti per il futuro che ti piacerebbe raccontarci?

Ho consegnato il manoscritto del libro nato a partire dalla mia tesi di dottorato per l’SFB 1369 Vigilanzkulturen, che uscirà per DeGruyter e in cui mi occupo di Tasso e Marino a partire dalle premesse teoriche sviluppate all’interno progetto di ricerca. A partire dalla domanda “quali tattiche evasive possono sviluppare scrittric* che sono soggett* alla censura?” indago l’utilizzo dell’allegoria paratestuale, il travestimento, il gioco. Poi c’è un altro libro che non vedo l’ora di mettermi a scrivere. L’idea è nata insieme a Dario De Cristofaro, direttore editoriale della collana INCURSIONI di Italo Svevo, nella quale è uscito Lingua madre. Era da un po’ che tartassavo diverse persone con il tormentone “devi leggere Marino” e così non saranno più parole vuote, ma cercherò di far capire perché secondo me ne vale la pena. E quale luogo migliore della Italo Svevo per sviluppare questa idea, questa mia passione?

Foto Julia Mayer

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