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March 17, 2022

HABITAT 03: una stanza per riflettere, sperimentare, condividere

Maria Quinz

Può il museo proporsi come nuovo “HABITAT” naturale per l’essere umano, inteso come ambiente in cui si svolge la vita, si definiscono le identità, si intrecciano le relazioni tra gli esseri viventi e le cose, con un suo specifico ruolo nella società contemporanea?

Intorno a questa domanda riflette il progetto HABITAT - Reflections on ways of inhabiting museum spaces, organizzato dalla Fondazione Antonio Dalle Nogare, in collaborazione con noi di franzLAB: una serie di conversazioni online guidate da  Emanuele Quinz con Emanuele CocciaDomitilla Dardi FormaFantasm.

UNA STANZA PER RIFLETTERE

Il museo come HABITAT può essere raccontato e vissuto come un luogo “domestico”, articolato in una serie di stanze e ambienti in cui il percorso esplorativo dell’opera d’arte arriva ad apparentarsi ad azioni del quotidiano – come quella del praticare yoga, vedere un film e fare una merenda – esperienze in cui mente e corpo trovano occasione di nutrimento e arricchimento della propria sfera esperienziale e conoscitiva.

Per approfondire questi temi abbiamo coinvolto alcun* altr* espert* dell’universo museale e dell’abitare, cercando di immaginare questo spazio virtuale – le pagine di franzmagazine – come fossero anch’esse un habitat in cui immergersi e in cui sperimentare pensieri e attività.

Preparandoci al terzo appuntamento conclusivo in Fondazione – il 22 marzo 2022 alle ore 19.00 – che vedrà il dialogo tra Emanuele Quinz e i Formafantasma e che sarà aperto da una merenda dalle ore 18.00 negli spazi della Fondazione,abbiamo provato a creare una nostra stanza per riflettere, sperimentare, condividere. E l’abbiamo fatto coinvolgendo Antonio Lampis, direttore del Dipartimento cultura, ambiente ed energia della Provincia Autonoma di Bolzano ed ex direttore generale musei mibact – che ha condiviso con noi alcuni estratti di sue recenti pubblicazioni – e Petra Tarantello, interior designer.

antonio lampisUna stanza per sperimentare
Con Antonio Lampis 

Considerata la sua approfondita esperienza delle realtà museali italiane (e non solo), come si è evoluto oggi l’“habitat” degli spazi espositivi? 

Il museo è un’istituzione permanente, che negli ultimi anni è reputata sempre più cruciale per lo sviluppo culturale e che più di altre forme del “fare cultura” ha recentemente evidenziato un impegno planetario rivolto all’adattamento ai rapidi mutamenti della società contemporanea. Il teatro, i concerti, il cinema, la lirica, gli archivi in gran parte le biblioteche hanno mantenuto le loro connotazioni e caratteristiche del secolo passato, i musei invece hanno posto in essere una costante tendenza al cambiamento, accompagnata con convinzione nella pratica dell’agire quotidiano, spostando, in estrema sintesi, le attenzioni del museo dalle cose alle persone.

(…) Dalla fine degli anni Novanta ogni avveduto operatore culturale ha vissuto o ha contribuito a realizzare il progressivo avverarsi degli auspici ignorati per lunghi anni, auspici rivolti a una partecipazione culturale più ampia e non più confinata tra le fasce sociali con maggiore tasso di scolarità, maggiore reddito ed età avanzata (con marcata prevalenza femminile). Anche in tale processo i musei sono stati assoluti protagonisti e la loro missione si è improvvisamente arricchita oltre la custodia del contenitore ottocentesco e, senza tralasciare tutela e ricerca, ha accolto l’idea di lavorare anche fuori dal museo, di essere punto d’incontro, nuovo campanile o nuove agorai, riferimento per i territori e ambienti sociali e produttivi circostanti, spazi polifonici per il dialogo critico, centro di complesse reti relazionali, casa dei sogni, luogo dei dilemmi, di produzione di nuove memorie in relazione con il visitatore, spazio in tempo reale per la fuga magica. Cresce il potenziale mediatico e il carattere identitario nazionale, diventano emblemi al punto di divenire anche e tristemente bersagli di attacchi terroristici.

La vertiginosa crescita del desiderio di conoscenza, non più confinata tra ristrette schiere di privilegiati, ha fatto sì che i visitatori, sempre più spesso, cerchino nei musei non solo la conoscenza del passato, ma la possibilità di intravedere scenari futuri aderenti alle proprie intime speranze di sviluppo umano. Il ruolo sociale viene misurato molto meglio dalla conta delle relazioni e degli impatti sulla comunità che dalla sola conta degli ingressi. Detta consapevolezza ha fatto nascere la tendenza a collegare la promozione della cultura alle politiche sociali e recenti norme di legge riconoscono l’accesso alla cultura quale diritto fondamentale.

Estratto da Treccani, Atlante, il portale del sapere

Gli ambiti legati all’esperienza artistica stanno diventando, via via, sempre più coinvolgenti e diversificati. In questa prospettiva, come vede il museo di domani?

Quale sarà il futuro dei musei è una domanda che ha già alcune risposte nei rapidi mutamenti che i musei hanno vissuto in Italia negli ultimi tre anni.

Se solo all’inizio degli anni 2000 per alcuni qualificati osservatori i musei italiani potevano essere definiti “musei invisibili”, ora sono musei presi d’assalto, con un trend di crescita unico in Europa e un ruolo determinante per l’occupazione e il PIL della nazione, ma soprattutto sono ora istituzioni culturali molto più presenti nel percorso quotidiano della vita delle famiglie, certamente tra i maggiori protagonisti di quello “sviluppo della cultura”, essenza dell’articolo 9 della Costituzione italiana.

L’Italia oggi forse l’unico paese in Europa dove una parte sorprendente dell’opinione pubblica e degli operatori nei media conosce il nome dei direttori dei musei. La figura del direttore di museo in poco tempo assunto ruolo importante tra le figure di leadership nella cultura italiana. La rete dei musei costituir  invece uno dei più saldi collanti tra lo Stato centrale, le Regioni e le altre autonomie territoriali.

Possiamo dire che il tratto proiettato nel futuro dei musei di oggi è quello dei musei messi in rete,   quello che vede i musei guadagnarsi un ruolo sociale che prima non avevano, un ruolo sociale che si rafforza soprattutto lontano dalle metropoli, nelle periferie territoriali ed urbane. Il museo del futuro è sempre di più un nuovo campanile, un centro di sviluppo culturale, punto riferimento per lo sviluppo spirituale delle popolazioni, con particolare riguardo alla popolazione scolastica, per tematiche che molto spesso vanno oltre il collegamento con le collezioni che i musei stessi custodiscono. I musei futuri già oggi agiscono in misura assai rilevante fuori dai musei, ad esempio usando in modo sorprendente i social media e altri ambienti digitali. 

Estratto da IL MUSEO DEL FUTURO, Pubblicato in Finestre sull’Arte, arte antica e contemporanea, dicembre 2019,4, pp. 39-40.

petra_2Una stanza per condividere
Con Petra Tarantello

 La progettazione degli spazi dell’abitare è in continua evoluzione, in linea con il progressivo mutare degli stili di vita. Cosa sta cambiando in questo senso nella progettazione della casa contemporanea?

Sicuramente c’è un desiderio sempre più diffuso di unicità e personalizzazione: i clienti chiedono che le loro case siano realizzata su misura, “a loro immagine e somiglianza”, rispecchiando le abitudini e gli stili di vita, così come la storia personale e familiare dei futuri abitanti di quegli ambienti. Fino a non molto tempo fa, i clienti preferivano che le loro case, così come i luoghi ricettivi – per esempio hotel, ristoranti e negozi – portassero la firma di un certo architetto o designer di grido e che quindi il carattere dei luoghi fosse il più possibile riconoscibile e riconducibile in tutto e per tutto all’artefice. Oggi non è più così: nella pratica di progettazione del proprio “nido” il cliente desidera essere parte attiva in primo piano. 

Il lavoro con i committenti diventa di conseguenza più intimo, richiedendo uno scambio ravvicinato e approfondito, andando a implicare ambiti di analisi più profondi, addirittura di natura psicologica, da parte dell’arredatore/progettista per la definizione degli obiettivi da raggiungere. Anche sfogliando le riviste di settore, si vede come la tendenza più diffusa oggi sia quella di coinvolgere designer di nicchia, che creino mobili e ambienti “customizzati” e dove gli oggetti prendano vita in stretta sinergia con i luoghi e le persone. La casa così diventa più ricca e calda.

Di contro, la tendenza minimal esiste ancora, ma con il rischio di diventare obsoleta, anonima, a meno che non si disponga di spazi immensi, tagliati in modo inusuale. Penso, per esempio, ad alcuni hotel altoatesini, con grandi cubi interni e esterni, di vetro e non: in casi come questi, è certamente possibile e interessante ridimensionare il decoro interno a favore della valorizzazione delle forme architettoniche. Quando si entra in una casa dalla struttura più tradizionale, invece, se si vuole “scaldare il focolare domestico”, è fondamentale che il bravo arredatore si renda quasi invisibile, presente ma nascosto, nonostante il grandissimo lavoro di ricerca alla base: deve lavorare dietro le quinte, in sinergia con un cliente che vuole “recitare da protagonista”.

Petra, quanto contano oggi gli spazi progettati per la condivisione, nei luoghi domestici, così come in quelli votati alla cultura, come per esempio i musei?

Di questi tempi, a seguito dell’epidemia di Covid, la dimensione della socialità e la ricerca di spazi di condivisione sono aspetti sempre più importante nella progettazione degli ambienti domestici e non. La gente ha sperimentato nuove paure e solitudine in questi anni e il desiderio di convivialità e incontro è sempre più forte e radicato. Per questo ritengo interessanti e al passo con i tempi, quegli spazi della cultura, come i musei, che offrono una maggiore dimensione di comfort, di domesticità e occasioni di condivisione e scambi culturali per pubblici differenti, adulti – addetti ai lavoro e non – ma anche bambini, anziani, studenti. 

Sedersi su un divano, appoggiare la borsa sul tavolino, camminare su un tappeto, incontrare l’artista attorno a un tavolo per farsi raccontare l’opera… sono tutti elementi che potrebbero rendere la fruizione museale più coinvolgente, empatica, rilassante. Il museo dovrebbe diventare sempre più un luogo dove “mettersi comodi” e trascorrere del tempo di qualità in compagnia, stabilendo nuove relazioni e arricchendosi intellettualmente ed emotivamente. Per avvicinare l’arte alle persone e viceversa, credo che casa e museo dovrebbero parlare, sempre più, la stessa lingua. 

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