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February 12, 2022

L’essenza viva del legno. Intervista ad Andreas Mayr Kondrak

Maria Quinz

Il mondo intero soffia in un seme e ne fa un albero.” ha scritto Paul Valery. 

Una breve frase che racchiude in sé l’essenza degli alberi con la loro preziosa materia vivente: il legno, in equilibrio perfetto tra tempo, luce e forma. Gli alberi si ergono in altezza, si schiudono, conquistando i loro cambiamenti giorno dopo giorno; emettono il loro canto naturale e si dispiegano in mille e più forme, alzandosi nell’aria. Si affidano ai capricci delle intemperie e dello scorrere del tempo, rimanendo radicati alla terra, nonostante l’ascesa e ritornano così in sé, nelle proprie profondità, quasi a dirci che l’aperto e il nascosto sono congiunti, che quel seme è sempre lì, seppur mutato, a raccontare la sua storia. La forma è tutta data: presente a sé stessa e al mondo, anche quando nasconde al suo interno la sostanza che la nutre e la radice che la sostiene, tra origine e divenire, passato e presente…

Bello parlare di questo e altro con Andreas Mayr Kondrak, in una ventosa mattina di febbraio, mentre mi racconta la sua storia professionale e le “radici” e  “diramazioni” del suo lavoro da artigiano. Andreas plasma il legno, ma anche altri materiali, come alluminio, acciaio e resina, realizzando tavoli e oggetti d’arredo di grande impatto visivo per case private, come anche realtà ricettive e progetti artistici, lavorando – con quattro collaboratori (e amici) – negli ampi spazi della sua officina di Ortisei, che divide con un altro caro amico, l’artista Aron Demetz. _MG_4073

Andreas, come hai scelto di diventare artigiano?

Mi sono formato con la musica e posso dire che proprio questa passione e “l’aria” che ho respirato fin da giovanissimo, suonando in Italia e anche all’estero con la mia band, i Noluntas, mi ha spinto in questa direzione, permettendomi di entrare in contatto con una scena più alternativa e con uno stile di vita molto più stimolante, rispetto alla quotidianità vissuta dai ragazzi della mia valle – la Val Gardena – incentrata principalmente sullo sport. Le conoscenze fatte e anche il confronto con tutto ciò che ruota attorno alla musica, dalla creazione della copertina del disco alle scelte estetiche legate all’immaginario che volevamo comunicare, mi hanno sicuramente forgiato in questo mio desiderio di esprimermi, in qualche modo, attraverso mie creazioni. Ho capito poi che volevo lavorare “con le mani” e ho scelto la vita del cantiere, facendo esperienze come muratore ed elettricista. Quando abbiamo smesso di suonare con il gruppo è arrivata la crisi e mi sono reso conto che, da solo, il lavoro non mi faceva stare bene; ed è così che sono nati i miei primi tavolini._MG_4071

Dal garage di casa a uno spazio di lavoro di 1000 m²: come ci sei arrivato?

Non è stato facile, gli inizi sono stati duri. Certamente il contesto della Val Gardena mi ha aiutato, sia per la buona riuscita del passaparola in una realtà piccola dove ci si conosce tutti – cosa che mi ha permesso di vendere i miei primi pezzi – sia perché qui non manca la cultura del legno, oltre a un turismo internazionale d’élite, con persone dotate di una certa disponibilità economica per arredare i loro ambienti, che si tratti di case o alberghi. I miei lavori richiedono ore e ore per per essere realizzati e quindi devono costare in un certo modo… Mi ritengo estremamente fortunato a poter vivere di un’attività che mi appassiona così tanto, lavorando oltretutto con i miei migliori amici, quei ragazzi che suonavano con me nei Noluntas e con cui stiamo portando avanti quest’avventura professionale. Stiamo crescendo insieme, di fatto, un po’ come prima, quando realizzavamo i nostri pezzi musicali: partendo da piccole idee, oggi creiamo oggetti sempre diversi che forgiamo con le nostre mani. Siamo felici di ottenere degli arredi unici, diversi l’uno dall’altro: l’unicità, secondo me, è ciò che oggi conta di più nel mondo artigianale; è il pezzo unico che fa la differenza. _MG_4085

Andreas, come ti relazioni ai clienti e ai luoghi che riempirai con i tuoi pezzi?

Ogni spazio da riempire (o da svuotare) ha a che fare con i “sentimenti”, secondo me. Io credo che ogni oggetto che ci circondi abbia un’aurea e un’energia, veicolando emozioni.

Che poi siano positive o negative, alla fine, è irrilevante, anche perché saranno diverse per ognuno. Per quanto riguarda il nostro lavoro – oltre all’aspetto artigianale – la differenza sta nel fatto che noi creiamo qualcosa in sinergia con il futuro proprietario; per questo è importante, per me, che i clienti entrino nel mio laboratorio e vedano come lavoriamo, sentendo l’atmosfera e il calore che si respira. 

Il nostro compito è dare un valore inaspettato a elementi del quotidiano, riempire gli spazi con oggetti portatori di una storia e di una loro dimensione temporale: il tempo che vi abbiamo dedicato in laboratorio per realizzarli e renderli speciali, il tempo di vita del legno e dell’albero prima, il tempo che verrà, con le persone che li vivranno e così via…_MG_4094

Quale “storia” raccontano i tronchi che lavorate e trasformate? 

Noi lavoriamo con tronchi molto grandi, che hanno 400/500 anni di vita, ed è emozionante perché viene da pensare a quante ore di sole hanno vissuto, da quante ore di pioggia e vento sono stati battuti ecc.… sono tutti fattori che i materiali plastici e tecnologici non hanno e che si imprimono nella storia di ogni pezzo. Noi scegliamo con cura i materiali, che al 99 % sono altoatesini. All’inizio, nei miei primi lavori, recuperavo i legni rivolgendomi direttamente ai contadini, andando a cercare i tronchi qua e là, cosa che mi ha portato a conoscere tanti racconti di vita, arrivando a scoprire addirittura la storia dal seme da cui l’albero si è generato, piantato da qualche lontano avo del contadino. Questo oggi mi capita ancora, ma più di rado, dal momento che il mio lavoro è più conosciuto e ricevo direttamente le proposte di acquisto, soprattutto quando i venditori di legnami hanno a disposizione tronchi molto grandi. _MG_4080

Sono tantissime le stratificazioni di storie che un oggetto in legno può raccontare…

Assolutamente sì. Dalla storia che ogni tronco porta con sé, al lavoro di trasformazione in oggetto d’arredo sono tantissimi i racconti possibili; a volte c’è anche dell’altro: mi piace inserire all’interno di alcuni dei miei pezzi, come i cubi – che hanno una parte interna vuota – degli elementi “speciali” come un foglietto di carta con una poesia, una lettera o un pensiero e che, per essere ritrovati, è necessario che l’oggetto venga distrutto. Spesso moltissimi clienti non sono a conoscenza di questo pezzo di carta nascosto ed è bello immaginare che un giorno, in un futuro più o meno lontano, questo pensiero affidato al legno, verrà ritrovato da qualcuno; è un piccolo “gioco” che mi concedo e che mi diverte.  _MG_4076

Che idea c’è alla base dei tuoi tavolini-cubi?

Il tutto è iniziato con il cubo grande missmandi-a e poi sono arrivati i tilmuna e daudalegur, dove il legno si fonde con delle colature di alluminio. Il cubo è una forma affascinante; nella storia dell’arte ed è il simbolo per eccellenza del solido. Ho voluto quindi lavorare su questa forma così carica di significati e non essendo artista e non potendo vendere un oggetto come arte, ho dovuto definirne una funzione che è quella del tavolino. Io sono in tutto e per tutto un artigiano ma ho anche la grandissima fortuna di avere un grande artista, Aron Demetz, come carissimo amico e vicino di laboratorio. Aron è stato ed è tuttora la persona più importante in questo mio tragitto, che spero duri moltissimi anni ancora. Con Aron ci confrontiamo quotidianamente, sfornando nuove idee e progetti, alcuni condivisi, e questa per me è una fortuna indescrivibile, che mi porta a un livello più profondo e più alto nel mio lavoro.daudalegur walnut 2021 (Personalizzato)

Questi tavolini-scultura fanno un po’ pensare a dei “totem contemporanei”…

Sì, è vero, c’è un po’ l’idea del totem, in quanto oggetto semplice, “primordiale” ma portatore di simboli, terreni e non e diversi per ognuno, a seconda di quello che si va ricercando. Questi tavolini, ovviamente, richiedono un certo tipo di committenza, mentre altri miei lavori, come i grandi tavoli, realizzati con tronchi unici sono di più facile lettura e funzionalità. I daudalegur sono realizzati seguendo le misure dei numeri primi, numeri speciali che rimandano all’idea di inizio e fine, ma anche all’infinito. Come dicevo prima, la riflessione sullo scorrere del tempo torna sempre nei miei lavori. Il nome daudalegur deriva da un palindromo, che in italiano suona un po’ come “morto in piedi”, in un’accezione positiva della morte, come parte di un flusso vitale che si rinnova. In questa seconda vita del tronco, noi lo vediamo da tutti i lati tranne che in quello più esterno; cosa che noi “umani” non facciamo, mostrando sempre il lato più esterno al mondo. Chissà che un giorno, in una nostra seconda vita, avremo anche noi modo di mostrare il nostro lato più nascosto.

Credo molto nella sincerità delle persone, ma credo anche che una persona onesta al cento per cento con sé stessa e con gli altri, per quanto ci provi, non esista. Così come è impossibile una forma di felicità e soddisfazione duratura, mentre esistono attimi di pienezza che sembrano bloccare il tempo e ci spronano ad andare avanti. La musica, in questo mi ha sempre ispirato e sostenuto, nella vita come anche nel mio lavoro di artigiano.

Andreas, come scegli i nomi, così particolari, delle tue creazioni?

I nomi vengono tutti dall’islandese, lingua che non conosco ma che ascolto nei brani di un gruppo che seguo da sempre, i Sigur Rós. Mi piace il fatto di non capire i testi e di concentrarmi così soltanto sulle melodie, sulla loro energia e sulle parole in islandese, dal suono così particolare. Ascoltando la loro musica mentre lavoro mi vengono in mente delle parole tedesche che traduco in islandese e poi se mi “suonano bene”, scelgo anche delle lettere, con un sistema matematico, che aggiungo per andare a creare i nomi. I nomi dei miei oggetti, nella loro brevità, sono una sorta di piccola “canzone”.  

þrír bóndi olive-alu 2021 (Personalizzato)Andreas, per concludere, hai qualche sogno futuro da raccontarci?

Il mio sogno più grande è continuare a vivere in questo mio mondo ancora per tanto tempo, con la stessa energia che ho oggi e che spero di trasmettere agli oggetti che creo e alle persone che li sceglieranno e vivranno. 

 

Foto 1-7 Martina Ferraretto
Foto 8-9 (c) Andreas Kondrak

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