Nepente: per un design onesto. Intervista a Matias Sagaria

Un’esplosione immaginativa che dà sfogo all’espressione più libera e personale di un progettista, ma anche una collezione di mobili dal design quasi utopico, che fonde passato e futuro in un presente a-temporale dove gli oggetti d’arredo diventano portatori di storie nascoste l’una dentro l’altra, stratificate a molteplici livelli. Una “family of forniture” che invita i fruitori a “incontri ravvicinati” con oggetti dall’aura misteriosa e che li spinge a contatti sensoriali ed esplorativi per capirne il funzionamento, a toccare con mano la grana e la rarità dei materiali impiegati e giustapposti in modo sorprendente. A tutto ciò si aggiunge lo spirito irriverente e divertito, curioso e schietto del suo artefice, novello “Dottor Frankenstein” e demiurgo che ama osservare le proprie realizzazioni quasi fossero creature arcane, dotate di vita propria.
Sto parlando di “Nepente” la collezione di arredi di design progettata da Matias Sagaria e presentata a settembre all’ultimo Salone del Mobile (2021) all’interno del progetto “honesta”, sviluppato dall’architetto bolzanino assieme a Davide Gelmini, titolare di Rawood – bottega del Falegname, eccellenza del Made in Italy, con sede vicino a Parma.
Con Matias Sagaria ci sentiamo al telefono. Avevo già avuto il piacere di intervistarlo un po’ di tempo fa, in occasione dell’inaugurazione della Rostery Reserve Starbucks di Milano. Era il 2018, il colosso americano sbarcava in Italia e Matias, in quanto Director of Concept Design di quel progetto aveva condiviso con me e i lettori di franzmagazine, l’affascinante storia di questo “tempio del caffè” realizzato all’interno di un edificio iconico come il palazzo centrale delle Poste di Milano: luogo unico nel suo genere – meta che non sbaglierei a definire turistica – e che oggi continua a conquistare i visitatori oltre agli amanti del caffè, unendo il fascino dei bar milanesi di una volta con la ricercatezza di un concept progettuale ultra-contemporaneo.
Durante la nostra chiacchierata mi faccio subito raccontare da Matias la genesi di Nepente, mentre sul computer scorrono le immagini delle 17 “creature” progettate e realizzate con Rawood. Mi sembra di riconoscere alcuni tratti del suo stile che avevo osservato nei precedenti lavori: l’attenzione ai materiali preziosi e ricercati, frutto del migliore artigianato nostrano, combinati tra loro in modo sorprendente; una certa grandiosità, da una parte, e la cura dei dettagli infinitesimali, dall’altra; le radici fortemente italiane contaminate dalle influenze newyorkesi, legate all’ esperienza professionale e di vita oltreoceano di Matias, iniziata nel 2008, e che lo ha condotto ad aprire, nel 2016, Studio Sagaría, con sede a NYC, oltre che a Milano.
Matias, come nasce questo progetto?
Il progetto è partito un po’ per caso: io e Davide Gelmini eravamo impegnati insieme in altri lavori di tipo residenziale, quando Davide mi ha chiesto dei consigli per un mobiletto che voleva realizzare per il Salone del Mobile di settembre 2021. Era giugno e nonostante i tempi strettissimi, abbiamo concepito l’idea “folle” di fare qualcosa in più per il Salone. In poco tempo abbiano dato vita alla collezione Nepente: tutto è stato ideato, progettato e realizzato in 2 mesi a tempi record. Allora non avevo ancora realizzato oggetti di design puro. Ho sempre ideato pezzi d’arredo ad hoc per opere più ampie, dalle attività commerciali ai progetti residenziali: non poteva non affascinarmi questa nuova sfida! Con Davide siamo entrati subito in sintonia, anche per una rara coincidenza di eventi che ha messo insieme necessità e aspirazioni di entrambi: posso dire di aver avuto la fortuna di essere nel luogo giusto al momento giusto!
Qual è l’origine del nome del brand “Honesta”?
“Honesta” nasce da una mia precedente riflessione: dal fatto che ritengo che nel mondo del mobile manchi, oggi, un concetto diffuso di onestà produttiva, economica e creativa. La volontà del brand, di cui io firmo la prima collezione, è quella di unire alto artigianato, capacità industriali e design con pezzi unici dagli standard qualitativi e innovativi alti, che, al tempo stesso, evidenzino la “sincerità” che li caratterizza, in particolare nell’uso dei materiali e delle lavorazioni, che li hanno generati. Un oggetto “onesto” per me è un oggetto di cuore, sincero, che mette a nudo la propria storia creativa e produttiva.
Qual è la “storia” che ci racconta questa collezione?
Diciamo che il mio sogno – utopico e forse un po’ arrogante, ma non privo di autoironia – era quello di creare degli arredi che non fossero collocabile nel tempo e nello spazio. “Sono del 1965 o del 2043?” Mi piaceva l’idea di innescare simili domande, creando dei pezzi non facilmente databili e che le persone potessero chiedersi con curiosità da quale pianeta fossero “sbarcati sulla terra”, senza trovarvi una rapida risposta. Dal punto di vista creativo è stata un’immersione totale nel progetto: sono stati 2/3 mesi di lavoro intenso che mi hanno impegnato giorno e notte. Mi sono di fatto trasferito a Parma, perché per realizzare arredi tanto complessi bisognava seguirli passo passo. Credo anche che quel “quid” in più che li ha resi tanto particolari, derivi anche dal fatto di non aver avuto il tempo di “auto-censurarmi”, facendo un lavoro di limatura, cosa che dona istintività ai pezzi e che fa sì che emergano “onestamente”, senza filtri autoimposti, sia le radici italiane che gli influssi americani, legati alle mie città d’adozione, Milano e New York.
Qual è stata la risposta al Salone?
La risposta è stata ottima, inaspettatamente, anche perché abbiamo avuto poco tempo per comunicare il progetto. La mia fortuna è stata anche quella di poter realizzare l’intero showroom per il Salone di Milano, creando così un ambiente ad hoc: un piccolo mondo dove entrare e lasciarsi avviluppare, facendosi poi trasportare altrove. Lo spazio si trovava all’interno di una galleria di 150 m² a Santa Marta, completamente nudo, bianco e spoglio, e che ho riempito con pannelli e luci: tutto era studiato dalla A alla Z, con la mia tipica ossessione per il lavoro!
Cosa intendi quando dici che i pezzi vanno raccontati?
Perché hanno tutti una doppia natura e più livelli di lettura. Per esempio, la madia in vetro Nemesi #1 – che è anche il primo pezzo che abbiamo realizzato – presenta delle mensole che sembrano sospese: paiono fluttuare quasi per magia, cosa che spinge chi osserva il mobile ad avvicinarsi, a piegarsi, a sbirciare attraverso il vetro cannettato, ad aprire le ante e a scoprirne il funzionamento interno, scorgendo i pali nascosti che rendono le mensole aeree.
Mi piace che ci sia questa componente fortemente tattile che spinge a esplorare i mobili – ognuno diversamente dall’altro – in un percorso che porta prima a scorgere gli elementi più lampanti, poi a scoprire i dettagli e i “segreti” nascosti che si rivelano via via, uno dopo l’altro.
E per quanto riguarda i materiali impiegati e i colori, come li hai selezionati?
I materiali sono tutti di gran pregio (legno e radica di noce, legno cocobolo, marmi rari, peltro e vetro cannettato, paglia di Vienna ecc.) e sono tutti customizzabili, ma soltanto secondo un criterio che io chiamo a “libertà controllata”: il cliente può quindi scegliere i materiali o i colori che preferisce in catalogo, ma unicamente secondo abbinamenti predefiniti, così che le relazioni tra le parti – per esempio l’alternanza tra legno e laccato – rimangano quelle che ho progettato. I colori sono tutti desaturati; sono colori che amo particolarmente e che io chiamo “sconfitti”: vengono dai miei lavori precedenti con l’artista Alessandro Del Pero e sono colori che portano con sé le loro “cicatrici” cosa che non trovo assolutamente degradante.
Matias, mi incuriosiscono molto i nomi dei pezzi. Come nascono?
Avendo lavorato in modo così intenso e con tempistiche strettissime, mi sono accollato molteplici aspetti del lavoro, tra cui anche la parte grafica, la progettazione dei cataloghi e delle cartoline e il lavoro di copywriting e naming: i nomi li ho ideati personalmente, dal primo all’ultimo. Nepente – che dà il nome alla collezione – è il contrario del veleno: è una bevanda miracolosa che, secondo i Greci, leniva tutti i mali. Mi piaceva l’idea di trovare un nome propositivo e salvifico: l’idea che la bellezza possa essere la cura che ci salverà tutti. Devo dire, poi, che mi sono divertito molto nella scelta dei nomi dei singoli pezzi: in questo caso mi sono sentito libero di pescare nel mio vissuto personale, attingendo ad immagini e ricordi che mi facessero stare bene, senza mai lasciare da parte una certa ironia e iconicità. Degli esempi? Nemesi viene da Nemesio, il nome di mio nonno, mentre Facondo e Tanghero erano due epiteti affettuosi con cui mi chiamavano sempre i miei nonni, da bambino, e così via…
E Culaccino?
Il “culaccino” è quel tondo che vedi sulla tovaglia, quando appoggi il bicchiere di vino sul tavolo: è un segno schietto e “onesto”… Culaccino è forse il pezzo più forte, secondo me, oltre che il più iconico: incarna al meglio il tema dell’a-temporalità che volevo ricreare, quasi fosse l’opera di un alieno che ha rimescolato mondi lontanissimi tra loro, tra passato, presente e futuro…
E allora “Benvenuti su Nepente” mi verrebbe da dire!
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