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December 3, 2021

Bellott e SOLOMOSTRY a Cellar Contemporary di Trento: smontare e rimontare l’arte

Francesca Fattinger

Linee, punti, colori, elementi primari e fondamentali della pittura e del processo artistico dialogano all’interno dei due spazi di Cellar Contemporary in via san Martino a Trento. 

Appena ci si affaccia alla vetrina della prima sede di Cellar al civico 52 si entra in punta di piedi nell’arte di Brian Bellott, artista americano di grande fama, nato nel New Jersey nel 1973 e residente a New York, che per la seconda volta è presentato a Trento, dopo la mostra collettiva “Spaghetti and Beachballs” curata da Davide Raffaelli nel 2009 allo Studio d’Arte Raffaelli. 

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“The Reassembler” è il titolo della mostra attuale: un titolo evocativo ed esplicativo della sua pratica, nonché della filosofia su cui si basa. Per la realizzazione delle opere esposte l’artista si è servito della tecnica del collage, riscoperta proprio durante la pandemia. Ce lo spiega in medias res Ross Simonini nel testo del catalogo della mostra: un testo che vi invito a leggere perché nella tecnica stessa della stesura, ristesura e ri-assemblaggio del testo mima la pratica di Bellott rispecchiando la presa di coscienza dell’artista che “la situazione esistenziale dell’uomo contemporaneo, fatta di quotidianità tritata, perde i propri confini e la propria integrità, e nonostante i tentativi di riassemblarla, non potrà mai essere come prima”. Ed ecco così che i suoi collage si trasformano ai nostri occhi in paesaggi emotivi “surgelati”: un congelamento spaziale ma non temporale, come spiega l’artista stesso, poiché richiedono una “refrigerazione costante”, un’espansione nel tempo che porta a una continua revisione, risignificazione, ripensamento, così come richiede la vita mai statica, ma in continuo movimento e trasformazione.

Brian Belott_The Reassembler_2020-21_collage on paper_53 x 43 cm

Linee orizzontali, anche se segmentate dal gesto irregolare dello strappo, guidano l’occhio nei suoi collage, quelle stesse linee che lo psicologo ed educatore Rhoda Kellog sosteneva essere tra i primi segni a cui tutti i bambini arrivano alla stessa età e che dimostra il loro essere artisti.

Questo elemento primario dell’arte, così come del nostro immaginario e della nostra esperienza di essa, è in parte nascosto dal materiale di riciclo usato, dal suo essere scarto e dalla lacerazione stessa della carta strappata che prepotentemente parlano della società contemporanea e della sua storia: dal primo tritacarte usato per distruggere documenti anti-nazisti alle carte lacerate usate come lettiere per animali.

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Bellott ci porta anche a riflettere sul paragone della pittura all’ipnosi, la pittura dunque come “un orologio tascabile che gira piano all’indietro” o come “la luce tremolante e costantemente cangiante dell’acqua in movimento”. L’esperienza dei suoi quadri è intimamente meditativa: cerchi quasi ipnotici nella loro sequenza regolare e irregolare al contempo, materica e creatrice di diversi livelli di profondità in cui l’occhio affonda e la mente aggrappata alla griglia e al segno corporeo si placa.  

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Un atteggiamento irriverente e ludico il suo, ma anche riflessivo, emotivo e poetico: in fin dei conti forse la sfida non sta proprio nel trovare il modo per rendere questi due livelli fortemente collegati? 

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Così accade che, uscendo dallo spazio del civico 52 e dirigendosi al nuovo spazio espositivo di Cellar Contemporary al civico 53, la narrazione fatta di linee, colori, punti si faccia nuova trovando ulteriori appigli e strade originali: si veste dell’occhio, del gesto e della pratica di SOLOMOSTRY, artista nato a Milano nel 1988. “Immaginarium” è nata dalla collaborazione con Lunetta 11per il progetto di interscambio artistico “UFO” dando vita a “una mostra il cui protagonista è l’inconfondibile segno grafico dell’artista, tracciato come un solco a unire dimensioni passate e presenti, umane e dis-umane, figurative e astratte”.  SOLOMOSTRY è un nome d’arte che si riferisce all’infanzia dell’artista milanese che dipingeva solo mostri, queste presenze sono poi ritornate nella sua pratica artistica trasformandosi in suoi alter ego: una crew di mostri che ha cominciato a creare sulle pareti dei locali in occasione di serate techno popolandone gli spazi. È da questa esperienza del 2007/8 che nasce SOLOMOSTRY che trova nella raffigurazione di questi mostri notturni il suo principale soggetto, personaggi mostruosi ma anche presenze-guida dei suoi osservatori che accompagna dalla notte all’alba. 

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I suoi segni sono incisivi, netti e gocciolanti, riconoscibili nelle sue forme come firme o continui autoritratti, un richiamo a un’arte primitiva: maschere che sembrano voler ripescare radici quasi totemiche del nostro immaginario immergendole e sporcandole poi della contemporaneità.

Per la prima volta in mostra anche opere in ceramica, vasi e piatti sui cui l’artista trasferisce questo stesso segno grafico e che rappresentano una sua evoluzione: partito dal design e arricchitosi dall’esperienza della street art sembra voler in questo modo ritornare al mondo del design trasformato però dall’esperienza aperta e libera della strada, così da diffondere i suoi mostri e il suo immaginario attraverso nuovi media e nuove dimensioni. 

Solomostry_Silver_2021_tecnica mista su tela_100 x 80 cm

Vi ricordo che le due mostre sono visitabili dal mercoledì al venerdì dalle 15:30 alle 19:00 e il sabato dalle 11 alle 18:30 negli spazi di Cellar Contemporary in via san Martino, ai numeri civici 52 e 53, se non le avete già viste affrettatevi e immergetevi nei mondi colorati di questi due artisti!

Foto courtesy of Cellar Contemporary

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