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October 14, 2021

La via dellʼoro a Calliano: sulle tracce del laboratorio di Aurora Eccher

Stefania Santoni

Aurora Eccher è unʼorafa trentina. È una donna imprenditrice che dopo numerosi anni dedicati allo studio, alla formazione e alla sperimentazione ha avuto il coraggio di realizzare il proprio sogno: un laboratorio di oreficeria tutto suo. 

Lʼaltro giorno ho avuto il privilegio di farle visita e di scambiare quattro chiacchiere con lei. 

Aurora, raccontami di questo spazio. Si respira unʼaria familiare tra queste mura…

Sì, è proprio così. Il mio laboratorio nasce dallʼex panificio della mia famiglia. Qui ci lavoravano i miei genitori fino agli anni ’90. Essendo un magazzino in disuso, ho pensato di chiedere a mio nonno di poterlo utilizzare come mio spazio creativo e di produzione: questo avveniva ormai dieci anni fa. Ecco spiegato il motivo di questʼaria familiare. Per me, fare lʼartigiana qui assume un valore affettivo: è come se questo spazio non avesse mai smesso di vedere le mani della mia famiglia al lavoro. 

Quali sono stati i tuoi studi? 

Tutto è partito dallʼIstituto dʼArte di Trento, dove mi sono subito avvicinata sia al mondo del design del prodotto che ai laboratori di oreficeria. Ma la scintilla che mi hai spinta scegliere questa strada per il mio futuro è stato uno studio sui gioielli nellʼArt Nouveau che avevo elaborato per la tesi finale della scuola: è in tale circostanza che ho progettato tre paia di orecchini, uno in rame, uno con degli smalti e un altro ancora in legno. Dalla creazione di questi primi gioielli è nato lʼamore per René Lalique, raffinato orafo francese nato nel 1860 che lavorò per Cartier e disegnò alcuni gioielli per lʼattrice Sarah Bernhardt. Finita la scuola di Trento, mi sono formata allo IED di Milano dove ho acquisito lʼaspetto un poʼ più teorico del design del gioiello (penso ad esempio a tutti i corsi di semiotica frequentati, fondamentali per unʼindagine analitica sul senso della materia e delle forme), per poi dirigermi verso la Scuola di Oreficeria di Valenza, in Piemonte, dove ho imparato a mettere le mani in pasta. Qui la formazione è stata decisamente esperienziale perché questa cittadina rappresenta un vero e proprio distretto di oreficeria e sono tutti orafi, come ad Arezzo per intenderci. A seguire, mi sono indirizzata verso unʼaltra scuola di Vicenza dove ho avuto modo di fare molta pratica e imparare diverse tecniche come la fusione a cera persa (che permette allʼorafa di produrre cose più scultoree e organiche) o lʼincastonatura, per concludere infine con uno stage a Verona, da quello che io considero il mio maestro. Ed è proprio quando lui mi ha detto «Aurora sei pronta, sei unʼorafa a tutti gli effetti» che ho fatto rientro in Trentino, a Calliano. 

Che cosa produci nel tuo laboratorio? E che cosa ti chiedono di fare i tuoi clienti?

Il 90% del mio lavoro è su ordinazione del cliente: quindi tutti i gioielli (che vanno da bracciali, ciondoli, orecchini, anelli e molto altro) sono realizzati ad hoc. Il cliente mi dice che cosa desidera a parole e io cerco di interpretare il suo pensiero attraverso disegni e modelli di gioielli. Diciamo che i colloqui con i clienti è come se fossero delle esperienze immersive volte alla scoperta di gusti, desideri, memorie. Sono camminate nel profondo che svelano le parti più intime di noi. Questo perché ogni gioiello personalizzato è un dono speciale, è la narrazione di una storia: di quella storia che il cliente mi racconta e che vuole vedere trasformata in un oggetto prezioso. Un monile creato su misura diviene in tal senso la ri-lettura materica di un simbolo, un concetto, unʼemozione o un sentimento. Penso ad esempio a quando una coppia di neo-genitori mi chiese di realizzare un dono per la loro figlia: desideravano un oggetto prezioso, una sorta di emblema della loro neonata. Chiamandosi Olivia, subito ho pensato a un anello in oro giallo e dʼargento con olivina. Si tratta di una pietra verde il cui nome deriva dal colore verde oliva.  

aurora eccher 1Hai delle pietre e dei materiali che prediligi?

Sicuramente amo lʼoro che ha caratteristiche fisiche che mi permettono di sbizzarrirmi nelle creazioni e di spingermi oltre gli immaginari tradizionali. Diciamo che rispetto allʼargento, decisamente troppo morbido e faticoso nella lucidatura, lʼoro non ti limita nella produzione! Con le pietre ho un rapporto di amore e odio, perché lʼincastonatura è una tecnica faticosa che richiede pazienza e calma, come una sorta di disciplina zen. Quando devo incastonare, non voglio vedere nessuno, sentire alcun tipo di rumore (spengo tutti gli attrezzi del laboratorio per ricreare un ambiente rilassato che mi permetta la massima concentrazione). Le pietre sono bellissime, ma veramente delicate. Amo i diamanti, ma anche i materiali meno noti. Ti faccio un esempio. Quando si parla di verde (molte persone mi commissionano gioielli ispirandosi a colori), si pensa solo allo smeraldo, ma esistono molte altre sfumature, spesso più interessanti come ad esempio lʼolivina di cui ti parlavo prima, ma anche la tormalina, la tsavorite (un granato verde). Unʼorafa deve avere una visione dʼinsieme, che sappia spaziare oltre il convenzionale: solo in questo modo si possono dare più opportunità al cliente evitando le pietre più tradizionali, come rubino o zaffiro. 

Hai un gioiello che preferisci realizzare? 

Sì, amo realizzare gli anelli. Credo che siano il gioiello-sigillo per eccellenza. 

Unʼultima domanda. Che cosa ispira la tua creatività, Aurora?

Le prime ispirazioni sono nate dallo studio di alcuni affreschi dellʼarte greca e romana: come sai, fin dai tempi antichi, il gioiello assume un significato decorativo rilevante nella vita di donne e uomini. Penso ad esempio a le boulle (si tratta di particolari orecchini) o allʼuso dei granati e delle perle (a riguardo mi viene in mente il celebre mosaico di Teodora, lʼimperatrice bizantina). Altra suggestione mi è arrivata da una ricerca sul gioiello nella cultura materiale del Trentino: essendo una terra di contadini e molto povera, storicamente nella nostra zona non si prediligeva lʼuso di pietre pregiate, ma piuttosto del granato (materia prima decisamente presente nelle Dolomiti) che con il suo colore rosso ricordava il sangue – e quindi la guerra – ma anche la nascita e la sessualità. Le mie ultime due collezioni (Tokio e Atakama) nascono invece da suggestioni di luoghi lontani. Lʼanello e gli orecchini di Tokio vogliono essere la narrazione di un paese dʼoriente, dal fascino straordinario. Nel realizzarli ho cercato di riprodurre le foreste di bambù giapponesi e il loro movimento sinuoso. Atakama si ispira al racconto di un viaggio di mia sorella in Cile: i gioielli di questa collezione sono un omaggio alla materia, alla sabbia del deserto di Atakama, uno dei più secchi al mondo. La loro texture ricorda le crepe e i granelli di sabbia del deserto. Indossando i miei gioielli diviene possibile viaggiare nello spazio e nel tempo: fare oreficeria significa per me regalare lʼopportunità di unʼesperienza che ci invita a riconnetterci a ciò che più di prezioso si desideriamo. 

Foto: Aurora Eccher

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