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September 6, 2021

“Terre Alte” di Steve McCurry: un viaggio
ai confini dell’umanità

Francesca Fattinger

La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza si imprime sul volto di una persona. […] Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità.
Steve McCurry

È una giornata molto calma, non c’è troppa gente in città, una sorta di sussurro che l’estate sta finendo e che la vita freme per ricominciare. È in questi momenti che sento la necessità di muovermi, di scoprire altro da me. Mi prendo la mattina libera e mi incammino verso il quartiere delle Albere di Trento. Fin da piccola sono stata affascinata dal Palazzo delle Albere, dimora cinquecentesca realizzata per volontà della famiglia Madruzzo, che dà il nome al quartiere, e dal lungo viale che lo collega all’Arco dei Tre portoni, a pochi passi da Piazza Fiera: ogni volta che lo percorro mi sento catapultata in un’altra epoca. Passo dopo passo ci si avvicina al palazzo che ormai non è più solo: accanto a lui si erge dal 2013 il MUSE in tutta la sua grandezza. Per anni questa vicinanza non è stata né considerata né tantomeno sfruttata come risorsa, ma è arrivato il momento per una doppia rinascita. Palazzo delle Albere, che non va dimenticato essere stata la prima sede del Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, rinasce dopo la triste stagione delle chiusure e rinasce con una mostra in collaborazione con il MUSE – Museo delle Scienze. Per questo nuovo inizio c’era bisogno di trovare un progetto espositivo che combinasse quelle che sono le anime dei due diversi musei ed ecco che l’opera di Steve McCurry, “come fotografia geografica e teatro della memoria” è sembrata a Vittorio Sgarbi, presidente del Mart, a cui, insieme a Gabriele Accornero, si deve l’idea della mostra (fino al 19 settembre), perfetta per questa occasione.

2. Steve McCurry, AfghanPakistan Border, 1981
Sono sicura che anche solo a nominare Steve McCurry, che è tra i fotografi contemporanei più famosi e amati, in ognuno di noi si forma nella retina l’immagine della ragazza afghana, trovata dal fotografo in un campo di profughi vicino a Peshawar, in Pakistan: i suoi occhi verdi infilati nei nostri, la sua forza e la sua determinatezza mostrata da uno scatto che l’ha resa talmente viva da diventare immortale. Mi vengono i brividi ogni volta che la vedo, ancora più oggi che la situazione afghana rischia la catastrofe umanitaria; sento un urlo soffocato nel petto che devo in qualche modo gestire: l’unico modo è assistere alla forza e alla dignità che i suoi scatti raccontano.

1. Steve McCurry, Logar Province, Afghanistan, 1984

Uno degli aspetti più particolari delle sue fotografie è che, pur essendo spesso scattate in situazioni di emergenza e pericolo, tensione e guerra, non è questo ciò che emerge con maggiore forza, ma invece vengono esaltate la vita quotidiana e la condizione umana: così popoli, individui, animali restituiscono fierezza e orgoglio e i suoi paesaggi sono assoluti e incontaminati. 

La mostra si sviluppa su due piani, nella stupenda cornice rinascimentale di Palazzo delle Albere. La selezione delle 130 immagini, in parte inedite e scattate per progetti molto recenti, è stata curata da Biba Giacchetti, fondatrice di Sudest57, e Denis Isaia, curatore del Mart, e descrive il fascino della montagna, la fierezza dei suoi popoli, la struggente bellezza dei suoi paesaggi, l’incanto dei suoi silenzi. Le fotografie sono state selezionate per ripercorrere le tappe delle altitudini più incredibili raggiunte da McCurry attraverso i più remoti paesi della terra. La mostra è quindi un viaggio immaginario attraverso le “terre alte”del mondo: un mescolarsi continuo di popoli, storie e paesi: dalla prima missione in Afghanistan, ai temi del Tibet buddista, ai recenti viaggi in Mongolia e in Artico, fino al Giappone, al Brasile e alla Birmania, per non dimenticare le Filippine, il Marocco e lo Yemen. La curatrice, attraverso questa mostra, vuole affermare la tesi che “paesaggi sconfinati e popolazioni delle montagne pur a latitudini diverse, e con situazioni sociali e storiche tanto difformi, sono accomunati da un fattore antropologico che dalla montagna stessa è strettamente influenzato. (…) la forza del carattere, la fermezza e la dignità e un senso di positivo rispetto per la natura che circonda e domina, forgiano una sorta di medesima identità.”

7. Steve McCurry, Nepal, 1983

Per me è innanzitutto il fotografo degli occhi. Sono stata diversi minuti davanti agli occhi azzurri magnetici di un uomo afghano immortalato a Kabul nel 2002 e lo stesso mi è capitato di fronte a una foto di un paesaggio sconfinato scattata in Mongolia del 2018: è sempre una questione di occhi, occhi che raccontano storie e te le raccontano infilandole dritte nei tuoi o un’attenzione costante alle linee che i nostri occhi andranno a seguire, come binari di un racconto di cui lui ci dà la mappa.
Steve McCurry infatti ama definirsi uno storyteller: ogni sua fotografia ha la forza di una narrazione indipendente, ma se messe insieme diventano un racconto a più voci, che racconta l’umanità e la sua bellezza. 

6. Steve McCurry, Mongolia, 2018In questa sua urgenza per la narrazione non manca mai uno spirito politico, così come un profondo impegno umanitario, ecologista e pacifista, quella che Vittorio Sgarbi ha definito come “l’ansia di documentare la meraviglia del mondo prima che sparisca”.

La mostra snodata in diverse sale termina con la I”cons Room”, una stanza in cui si ripercorre sinteticamente la carriera di Steve McCurry attraverso undici fra le più note opere fotografiche. Tra queste anche il celebre ritratto della “ragazza afgana” citato sopra.

3. Steve McCurry, Inle Lake. Burma, 2011

Foto ©Steve McCurry 
Steve McCurry, Wadi Rum, Jordan, 2019
Steve McCurry, AfghanPakistan Border, 1981
Steve McCurry, Logar Province, Afghanistan, 1984
Steve McCurry, Nepal, 1983
Steve McCurry, Mongolia, 2018
Steve McCurry, Inle Lake. Burma, 2011

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