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June 23, 2021

franz opens to Fies openings #2.
Live Works Summit

Stefania Santoni

Dal 9 al 13 giugno Centrale Fies si è tenuto Live Works Summit, una programmazione immersiva di perfomance, film, esposizioni artistiche. Curato da Barbara Boninsegna e Simone Frangi, Live Works Summit ha visto i fellows dell’edizione 2021-2021 unirsi con i nuovi selezionati per la nona edizione 2021-2022: Sergi Casero Nieto, Gabriele Rendina Cattani, Selin Davasse, Joannie Baumgärtner, Ivan Cheng, Ada M. Patterson & Clementine Edwards; a loro si aggiunge Silvia Rosi, selezionata per la prima edizione dell’Agitu Ideo Gudeta Fellowship. 

È in questi giorni che è stata presentata la prima mostra personale di Madison Bycroft (classe 1987) a cura di Barbara Boninsegna, Simone Frangi e con la curatela esecutiva di Maria Chemello Uncommitted Barnacle.OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Simone, come nasce e di che cosa si fa portavoce questa la mostra? 

La mostra site-specific di Madison Bycroft a Centrale Fies nasce stravolgendo l’architettura della Galleria Trasformatori. Bycroft crea una versione alterata e disorientante di uno spazio di 180 mq, sala iconica della Centrale, nella quale trovano combinazione inediti elementi architettonici, opere già facenti parte della sua produzione e oggetti pensati, de-costruiti e ricostruiti ad hoc, inaugurando una nuova e inafferrabile natura ed esperienza di immersione e attraversamento della Galleria.

Lavorando nel campo della performance, del video e della scultura, Bycroft esplora le nozioni di attività, passività, e dove questa dicotomia si rompe interessandosi a forme negative di espressione come una tattica di rifiuto o di deviazione. L’eccesso e la proliferazione sono visti allo stesso modo come guardie di sicurezza contro la cattura e la delineazione – come rumore e tremori che confonde la figura e il campo.

Uncommitted Barnacle è la nuova performance di Madison Bycroft, che dà anche il titolo all’intero progetto espositivo, pensata a partire da una metodologia di galleggiamento e cerca di comprendere i pregiudizi che legano, orientano e in ultima analisi limitano i nostri corpi, i nostri desideri e le nostre storie, e come, sulla base di questo, essi possano essere portati alla deriva. OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Accanto a Bycroft, Josèfa Ntjam e Joar Nango hanno creato un percorso espositivo inedito nella Sala Comando di Centrale Fies. Quali sono i nuovi immaginari e le narrazioni che vengono a crearsi con i lavori di Josèfa Ntjam e Joar Nango nella sala comando di Fies, Simone?

In Sala Comando Josèfa Ntjam e Joar Nango danno vita ad una doppia personale unica fondendo le rispettive pratiche tra di loro.

Josèfa Ntjam è un* artista, performer e scrittorə che lavora con film, fotomontaggio, scultura, installazione e suono. Parte di una generazione di artist3 che attingono i loro materiali primari dalla rete, Ntjam utilizza il collage – di immagini, parole, suoni e storie – come metodo per decostruire le grandi narrazioni strutturando discorsi egemonici sull’autenticità, l’origine, l’identità e la razza. Il suo lavoro intreccia molteplici narrazioni tratte da indagini su eventi storici, scoperte scientifiche o concetti filosofici, a cui si confronta con riferimenti alla mitologia africana, rituali ancestrali e storie di fantascienza. La fusione di discorsi e iconografie a priori eterogenei consente all’artista di reclamare la Storia speculando su tempi spaziali non ancora determinati – mondi interstiziali, dove si possono immaginare forme inedite di esseri, identità e collettivi. Da lì, Ntjam compone cartografie utopiche e finzioni ontologiche in cui fantasia tecnologica, viaggi intergalattici e ipotetiche civiltà subacquee diventano la matrice di una pratica di emancipazione che promuove l’emergere di inclusivo, comunità processuali e resilienti.

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Joar Nango è un artista Sàmi nato ad Alta nel 1979, vive e lavora a Tromsø, Norway. Si è formato come architetto e nella sua pratica diversificata affronta questioni come l’identità indigena e la decolonializzazione, spesso alla base delle contraddizioni osservate nell’architettura contemporanea. La sua pratica artistica comprende installazioni site-specific, scultura, fotografia, strutture architettoniche, progetti sociali, abbigliamento, pubblicazioni e ricerca teorica. Le sue opere esplorano spesso i confini tra design, architettura, filosofia e arte visiva.

Nell’exhibit, Nango presenta un’installazione site specific e inedita, prodotta a distanza a causa dell’impossibilità dell’artista di raggiungere Centrale Fies. L’installazione è composta da materiali ed elementi sottratti all’ambiente circostante alla Centrale e schermi composti in una struttura organizzata assecondando un senso di instabilità e precarietà.

La serie video si intitola Post-Capitalist Architecture TV. Il film è un viaggio attraverso i paesaggi del nord in una Mercedes Sprinter convertita, che funge sia da bivacco che da studio televisivo. Nel film una serie di incontri personali, interviste e conversazioni che avvengono in viaggio con amici, esperti, accademici, attivisti e artisti su vari temi che riguardano le popolazioni indigene dell’Artico e l’interazione tra natura e umanità.

Nella serie, Joar Nango e il regista Ken-Are Bongo viaggiano attraverso paesaggi innevati con uno studio televisivo mobile nel loro Sprinter rosso e in motoslitta. Lungo la strada, incontrano vari ospiti davanti a una tazza di caffè da campo: ricercatori accademici, artigiani e attivisti. In questi dialoghi, analizzano le tecniche di costruzione popolari che esprimono forme di potere politico su larga scala e che costituiscono la base della struttura sociale nel nord.Self Portrait as my Father

Un’ultima domanda, Barbara. Silvia Rosi è stata selezionata per la prima edizione dell’Agitu Ideo Gudeta Fellowship. In che cosa consiste la sua ricerca?

La ricerca che sta sviluppando Silvia Rosi si fonda sulla sua volontà di creare un archivio trans-familiare delle presenze afrodiscendenti nello spazio sociale italiano a partire da fotografie intime e private e colmare l’assenza visuale di queste soggettività nelle narrazioni politiche e mediatiche. Questa volontà incontra sotto diversi punti di vista la missione della Fellowship. 

Oltre a riaffermare una ricerca artistica già intrapresa individualmente in questa direzione, il progetto presentato da Silvia Rosi fornisce la possibilità di attivare un network di cittadine e cittadini afrodiscendenti al di là del contesto dell’arte, mettendo in campo un percorso di community building estremamente generativo. Encounter di Silvia Rosi è una rappresentazione fittizia del suo album di famiglia. Ispirata da un’immagine ritraente la sua giovane madre come venditrice di mercato a Lomé, Rosi ha ripercorso il viaggio di migrazione dei suoi genitori dal Togo all’Italia.

Con sua madre come fonte e ispirazione, Rosi interpreta la sua narrativa familiare, ricreando storie sia visive che orali attraverso la combinazione di fotografia, testo e video. Fa riferimento all’estetica dei ritratti in studio dell’Africa occidentale attraverso l’uso di fondali e oggetti di scena. L’atto di trasportare oggetti sulla testa, tradizionalmente tramandata di madre in figlia, è centrale nel lavoro ed è appreso ed eseguito da Rosi nel tentativo di recuperare una tradizione che è andata persa a causa della migrazione.

 

Crediti foto:
1. Madison Bycroft – Uncommitted barnacle – ph Alessandro Sala courtesy Centrale Fies
2. Madison Bycroft – Uncommitted barnacle – ph Alessandro Sala courtesy Centrale Fies
3. Josèfa Ntjam + Joar Nango – exhibition – ph Alessandro Sala courtesy Centrale Fies
4. Josèfa Ntjam + Joar Nango – exhibition – ph Alessandro Sala courtesy Centrale Fies3
5. Silvia Rosi, self portrait father – encounter 2019

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