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May 3, 2021

L’utilità dell’inutile #11: essere ribelli e rivoluzionari

Michil Costa

Due rockettari, ribelli e rivoluzionari. Leggo Dante e mi viene in mente Jimi Hendrix: entrambi vivono intensamente nella fisicità di un’esperienza, fino in fondo. Il Sommo vive una peregrinazione reale, fatta di atrocità, peccato ed estasi, immerso tragicamente nella sua commedia, in un viaggio tutto suo. Hendrix quella sua chitarra non la accarezza, la picchia, la violenta, la suona con i denti. 

Dante è un profeta che parla al popolo, con tutta la violenza verbale possibile, in un’invettiva politica senza pari deve cercare di convincere il bestiario, il popolo di dura cervice. Lo avrei visto bene sul palco a Woodstock, non a raccontare favole, nulla vi è in lui di allegorico, ma a gridare la disperazione. A dare in mano a chi crede, sognando in un mondo migliore, gli strumenti per una necessaria trasformazione. 

Hendrix con i riff della sua chitarra raggiunge apici inauditi, Dante al posto della chitarra ha la poesia. Nell’antichità i poeti parlavano per dono divino, ma la differenza è che in Dante la potenza del mezzo poetico è incomparabile, non esisteva prima di lui la poesia come linguaggio della profezia. È la poesia che fa accadere. La meraviglia della poesia che dà struttura e forma alle cose, alle vicende degli esseri umani. Poesis, fare. Hendrix fa cose poetiche che nessuno ha mai fatto con la sua Fender Stratocaster. A Monterey nel 1967 conclude la performance dando fuoco sul palco alla sua chitarra, e a Woodstock due anni dopo, reinterpreta l’inno nazionale statunitense con tanto di bombardamenti sul popolo vietnamita strappati dalle corde arroventate. Mai sentita una cosa simile. E anche esprimere in versi le cose somme era inaudito.  

Lo fanno entrambi in modo chiaro, lucido, attraverso ispirazioni divine comprensibilissime. Perché dirette, immediate. Non può amare la poetica di Dante chi pensa che la poesia sia fatta solo di rime, e che le avventure in cui ci trascina e coinvolge siano solo fantasie. Non si può amare Hendrix se si pensa che una chitarra non possa vivere di visionarie bordate sonore. 

Due rockettari che sono stati amati, e che continuano a essere amati tuttora, che parlano alle nuove classi, ai giovani che tifano per loro. Due precursori: uno per le future evoluzioni della musica rock attraverso un’inedita fusione di blues, rhythm and blues/soul, hard rock e psichedelia. L’altro, altrettanto originale, con un inedito sguardo sul mondo comunicando non in volgare illustre, tantomeno in latino, ma in dialetto fiorentino con termini popolari, gergali, osceni. Hendrix dio riconosciuto della chitarra e del sesso, in una stagione dove per i ragazzi troppo non era mai abbastanza. Nel rock e nella vita. Entrambi profeti. Né preti né sacerdoti. Profeti che non fingono, che non mascherano, e il loro realismo profetico è in grado di elevarsi a sapienza divina. Ritengono seriamente che la missione sia fare della terra un paradiso. La realizzazione di un impero terreno, Terrestre appunto.

Due profeti che viaggiano da cristiani in carne ed ossa con un’immensa coscienza di sé. La coscienza di un poeta che scende all’inferno e che letteralmente risale in paradiso, ma non ci rimane. L’altro, Hendrix, che vive anche lui l’anabasi e la catabasi, ma laggiù non ci rimarrà:

Lasciate ogni speranza c’è scritto in quell’entrata. 

No, non finisce in gloria la commedia, il compito di Dante non si risolve con il Paradiso. E non finisce in gloria la vita terrena di Hendrix. Il loro messaggio è chiarissimo: vi abbiamo ispirato, ora siate rivoluzionari, combattete per la libertà. Mettete in pratica, siate originali e profeti se il Paradiso volete raggiungerlo. 

 

Foto Jordi Koalitic

 

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