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April 29, 2021

Georgia Kaufmann: romanziera iperbolica, lettrice promiscua

Allegra Baggio Corradi

Alle elementari raccontava ai compagni di essere nata su un treno che di notte attraversava l’Europa e che dunque non aveva una sola nazionalità, ma molteplici. D’estate camminava alla ricerca di funghi, more e latte di mucca appena munto tra Renon e la Venosta. Durante un pranzo in un ristorante coreano di Londra, sua madre inciampò cadendo sul grembo di Gilbert seduto vicino a George. Prima di un viaggio di lavoro in Brasile convinse il suo capo che fare una lampada abbronzante fosse una necessità per integrarsi come antropologa demografica. Per trovare l’ispirazione per la sua tesi di laurea non faceva lunghe passeggiate come i suoi compagni, ma passava l’aspirapolvere. Mentre le sue figlie erano a scuola scrisse quello che sarebbe diventato La Sarta di Parigi, il suo romanzo d’esordio. Lei è Georgia Kaufmann, scrittrice inglese, nata e cresciuta a Londra da madre altoatesina e padre ebreo. Romanziera iperbolica, lettrice promiscua, ascoltiamo la sua storia… 

Ciao Georgia, quale è il tuo legame con l’Alto Adige?
Sono nata e cresciuta a Londra, ma mia madre è altoatesina. I miei nonni avevano un albergo a Maia Alta chiamato Bavaria. Ho trascorso sei settimane ogni estate da bambina a Merano. Allora parlavo tedesco con i miei nonni, tanto che il mio livello di comprensione attuale è ancora quello di una bambina. Ancora un po’ lo parlo, ma sono in grado di leggere il Dolomiten, non certo il Frankfurter Allgemeine. Espressioni come ‘Komm mal her!’ le ricordo molto bene, mentre con il vocabolario più tecnico fatico. 

 Ad ogni modo, in occasione di anniversari di famiglia ci riuniamo tutti sull’Alpe di Siusi. Sono occasioni particolari perché un intero hotel è preso d’assalto da un gruppo molto variegato e caotico di britannici indiani, britannici africani ed ebrei. Sono sicura che non siano troppo contenti i proprietari quando ci vedono arrivare…Blowing flowers

Raccontaci del tuo romanzo La sarta di Parigi. Quando è sorta l’idea e come si è sviluppata?
Nel 1995 mi trovavo ad Harvard dove frequentavo un corso di scrittura creativa serale. Camminavo ogni giorno dall’università alla mia stanza quando ho iniziato a sentire la voce di Rosa. Come se qualcuno mi stesse dettando, ho cominciato, in modo totalmente naturale, a gettare le basi per quello che sarebbe poi diventato il mio primo romanzo…

Quella di Rosa Kusstatscher è la storia di una sarta originaria della Falstall, una valle immaginaria liberamente ispirata a Solda e allo Stelvio. Sullo sfondo delle vicende legate all’occupazione nazista, la vita di Rosa si snoda tra la fuga in Svizzera, la ritrovata serenità a Parigi, l’ambizione e la perdita a Rio de Janeiro e il successo a New York. L’avventura di Rosa si sviluppa sullo sfondo degli eventi salienti di almeno cinquanta anni di storia del Novecento trasformando in romanzo alcune esperienze vissute da mia madre, mia nonna e me.

La tua formazione in antropologia può in qualche modo spiegare la tua attenzione per la matericità e gli oggetti ne La sarta di Parigi? Le tue descrizioni sono sempre così dettagliate e puntuali…
Ho una visione dell’antropologia che è più simile a quello che chiamerei gossip intellettuale, ma è vero che gli oggetti sono molto importanti nei miei racconti perché danno profondità alla storia. Ci tengo a che le descrizioni siano precise e puntuali perché, e qui è l’antropologa che parla, non mi piace quando i fatti non sono accurati. 

Da scrittrice, invece, sono più attenta alla costruzione dei personaggi che all’intreccio in sé ovvero investo le mie energie nello sviluppo psicologico piuttosto che nella trama del racconto. Sin da adolescente, mi affascinavano i meccanismi interiori delle persone, la loro dimensione esistenziale, ed è intorno a questa sfera che sviluppo i miei romanzi.

Am Wald

Il tuo flusso di scrittura che linea segue?
Semplicemente non segue. Quando facevo il mio dottorato a Oxford c’erano tantissime persone che andavano a fare delle passeggiate lunghissime per trarre ispirazione per la scrittura dei capitoli della loro tesi. Io preferivo passare l’aspirapolvere. Non sono matta, non sento voci, ma l’ispirazione per le mie storie viene da molto in profondità e mi guida sino alla fine, quindi, non seguo una linea precisa.

Per costruire la storia di Rosa hai condotto ricerca oppure ti sei basata sui tuoi ricordi e la tua conoscenza pregressa?
Il villaggio dal quale proviene Rosa si trova vicino alla Venosta e proprio in quella valle ho trascorso molto tempo da bambina, quindi, a livello di ambientazione e di alcune scene in particolare, non ho fatto alcuna ricerca, ma ho semplicemente raccontato quello che sapevo; ad esempio, quando Rosa cammina per il cimitero, proprio come quando mio nonno mi guidava tra le tombe per raccontarmi la storia delle famiglie del luogo e del loro passato.

Quello su cui ho dovuto fare ricerca è stato il contesto storico legato al conflitto mondiale. Ho uno zio che fece parte dell’esercito tedesco e finì prigioniero in un campo in Canada. Mio padre è ebreo mentre mia madre è cattolica. Sin da bambina c’era molto silenzio intorno a questo argomento. Mi ricordo un episodio a questo proposito…mio padre era architetto e un’estate, dopo aver dipinto, siamo entrati in un Gasthaus quando un uomo gli chiese se fosse lui ad avere sposato la “Lorenz Lisi”. Erano già passati dieci anni dalla mia nascita eppure era ancora scandaloso. Accadde anche che in un albergo della zona facessimo presente di non mangiare carne di maiale, e poi ce la servivano apposta comunque. Da bambina non facevo caso a questi particolari, ma nel tempo ho capito il loro peso e quando ho iniziato a lavorare al romanzo ho approfondito e ho integrato molto del mio vissuto, anche inconsapevole, nella storia. È stato affascinante fare ricerca a riguardo perché in inglese non esistono libri sull’argomento.

 Totalmente disconnesso da questo, c’è un episodio molto simpatico che vorrei condividere.  Circa una ventina di anni fa, frequentavo un ristorante coreano vicino a Highbury Corner a Londra, dove spesso andavano anche Gilbert & George. Loro sono molto metodici, quindi, mangiano alla stessa ora e negli stessi posti. Un giorno ci trovavamo lì quando c’erano anche loro. Mia madre si alzò dal tavolo per andare in bagno e cadde letteralmente tra le braccia di George. Lei non aveva idea di chi fosse, ma per un momento due sudtirolesi si sono trovati tra le braccia l’uno dell’altra in un ristorante di Londra…Church in

Che ricezione ha avuto La sarta di Parigi all’estero?
Potrai confermarmelo anche tu, ma al di fuori del Regno Unito, il romanzo non è stato pubblicizzato come ‘letteratura femminile commerciale’ in cui i protagonisti non fanno altro che ‘sussultare’, ‘gemere’ e ‘sospirare’. Interessante è stata la scelta delle copertine nelle diverse versioni del romanzo. Quella australiana mostra una donna davanti ad un drappo in velluto mentre in Italia si è scelta un’immagine d’archivio in bianco e nero che dà un tono completamente diverso alla pubblicazione. È comprovato che se un libro include il termine ‘Parigi’ nel titolo le vendite aumentano del 30%, in più se si aggiunge anche la fallocentrica Tour Eiffel, il gioco è fatto. Date queste premesse, ho ricevuto moltissime osservazioni sulla qualità della scrittura che per molti era inaspettatamente e nettamente diversa rispetto ai tipici romanzi in cui i protagonisti sussultano, gemono e sospirano…

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Quindi un romanziere non ha molto controllo sul suo lavoro all’estero?
Il solo controllo che si può esercitare è nella scelta della casa editrice. Dall’Italia ho ricevuto due offerte, una delle quali molto più generosa dell’altra. Alla fine, ho optato per la più generosa, ma è stata la mia agente a convincermi…

E con i traduttori che tipo di rapporti intercorrono?
Non ho mai avuto nessun contatto con i traduttori se non dopo che i libri erano già stati pubblicati in lingua straniera. Ci tenevo particolarmente a discutere con la traduttrice tedesca a causa del vocabolario specifico legato al dialetto sudtirolese, ma non c’è stato un vero e proprio confronto, anche se ho preso io i contatti iniziali. La traduttrice italiana mi ha contattata via Instagram per ringraziarmi, ma nulla di più. Mi rendo conto che con i ritmi di produttività che sono loro richiesti, i traduttori non hanno probabilmente tempo di leggere i libri prima di tradurli, tuttavia, resto stupita.

Sapevi che scrivere è solo una minima parte dell’essere un autore prima di pubblicare La sarta di Parigi?
Ero molto impreparata. Qualche anno fa ho autopubblicato un romanzo distopico che è essenzialmente un manifesto politico  anti-Brexit con una casa editrice che ho aperto appositamente per l’occasione. Ho imparato sulla mia pelle che scrivere è solo una delle moltissime attività editoriali necessarie per la costruzione e l’esistenza di un libro nel mondo. La mia casa editrice inglese ha impiegato un anno e mezzo per costruire un mercato per La sarta di Parigi mentre io ho avuto solo sei mesi per riuscire ad organizzare ogni singolo aspetto della fase post-stampa del mio volume autopubblicato. È un’industria e tutto quello che serve è un prodotto, quindi, ci sono regole precise e processi ben definiti.

Che tipo di lettrice sei?
Promiscua, nel senso che non sono assolutamente fedele, ma passo da una cosa all’altra, dalla letteratura fantascientifica al romanzo storico. L’unico genere che non mi attrae è il giallo perché, come dicevo prima, sono portata al voler conoscere il perché i personaggi fanno certe cose piuttosto che allo scoprire ciò che fanno tout court. 

Georgia in Dirndl

Cosa cerchi nella finzione?
L’immersione totale. La migliore recensione che ho ricevuto per La sarta di Parigi era legata alla capacità della storia di essere immersiva. Credo che per scrivere racconti di finzione non si debba conoscere la realtà, ma saperne immaginare di alternative. Ho una tendenza naturale, oltre che a fantasticare sin da quando ero bambina, ad esagerare. Se qualcuno mi chiedesse quante persone ci sono a una determinata festa, non direi mai venti, ma duecento!

Infine, cosa troveremmo sul tuo scaffale immaginario?
Un vasetto di burro d’arachidi croccante chiuso in una scatola di vetro così da vederlo, ma non poterlo mai mangiare; una bottiglia di profumo; una conchiglia brasiliana; il sonaglio di una mucca altoatesina; e il ciclo di Earthsea di Ursula Le Guin, l’unico che ho letto cinque volte.

Photo Credits @ Georgia Kaufmann

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