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April 19, 2021

Maurizio Scudiero: la storia dell’arte
non è una cassettiera

Allegra Baggio Corradi

Nato nei pressi della casa di Fortunato Depero, nipote di una delle donne che del futurista cuciva gli arazzi, alunno dell’esteta dei processi artistici Dino Formaggio e del riscopritore di poeti e artisti ai margini Mario De Micheli, studente di architetti professori milanesi negli anni ’80 che predicavano bene e razzolavano condomini formichieri nonché rabdomante di tesori periferici, Maurizio Scudiero è uno storico dell’arte. Ritiene sia errato considerare la storia dell’arte come una cassettiera perché sono troppi i tarli che rendono porosi i suoi compartimenti per niente stagni. Amante della trasversalità, non si genuflette alla politica preferendo curare mostre oltre confine, scrivere cataloghi e impaginarseli da solo per proteggersi dalla satanica stirpe dei grafici, rimanendo all’estero possibilmente più di duecento giorni l’anno per passare la dogana mostrando il curriculum piuttosto che la tessera elettorale. Lungi dal mercato, prossimo all’arte nella vita, ecco a voi Maurizio Scudiero. 

Ciao Maurizio, raccontaci della tua formazione come storico dell’arte.

Ho studiato architettura a Milano, ed ho trascorso del tempo all’estero, Londra, New York, Los Angeles. Il primo anno di architettura fu un disastro: studenti che quando uno aveva finito un esame lanciavano i loro libretti e prendevano il voto pure loro… professori ex-sessantottini che si incattivivano sempre di più. I miei insegnanti dell’epoca predicavano bene e razzolavano male. Quando giravo per Milano e vedevo un nuovo edificio… terribile… mi chiedevo chi fosse il progettista e quasi sempre si trattava di uno dei miei professori. Deluso, ho deciso di laurearmi anziché come progettista in Storia dell’Architettura e dell’Arte dando esami come quello di estetica e scrivendo una tesi sull’architettura come forma simbolica. Sin da subito ho collaborato alla realizzazione di mostre, e un po’ alla volta ho anche iniziato a pubblicare.

La tua pagina Wikipedia sostiene che morto Enrico Crispolti, sei lo storico di riferimento per il Futurismo. È così?

Mi hanno detto che di recente la pagina è stata aggiornata e qualcuno ha scritto questo. Ad ogni modo, mi sono specializzato in Futurismo perché ho notato un vuoto di ricerca e poco interesse tra l’arte di fine Ottocento e il periodo postbellico. C’è, però, anche un legame biografico dato che mia zia cuciva gli arazzi di Depero, e qualche volta da bambino mi portava da lui perché la sua casa si trovava molto vicina alla mia. L’autoritratto “Diabolicus” appeso sulle scale d’ingresso, che mi spaventava,  era sicuramente una premonizione di ciò che sarebbe stato…
Comunque, si, ora sono tra i più esperti di Futurismo a livello internazionale. Forse, come dicono, il più esperto. Ho tenuto conferenze al Pompidou e consulenze alla Yale University, fra le tante.

1987_con Vitt Marinetti e Osv Peruzzi

Indugiamo per un attimo sugli arazzi per capire meglio il tuo interesse per le arti applicate… 

Gli arazzi di Depero sono mosaici di stoffe. Inizialmente erano molto descrittivi e narrativi e poi sono diventati più optical. Depero fu a New York dal 1928 al 1930, e ne vendette molti, per cui non è escluso che quando Warhol, che negli anni ’50 a New York disegnava copertine di dischi jazz, ne abbia visto qualcuno ed abbia tratto ispirazione da per i suoi design Pop. 
I Futuristi della prima generazione erano prevalentemente pittori e scultori, invece quelli venuti dopo, dal 1915 in poi,  prediligevano fortemente le arti applicate perché erano mossi dalla volontà di portare l’arte dentro la vita. Sosteneva Depero che con la pubblicità la strada sarebbe divenuta una galleria. Per questo motivo, mobili, soprammobili e arazzi facevano parte di un progetto di “ricostruzione futurista dell’universo”, e  proprio così si intitolava il manifesto di Balla e Depero pubblicato nel 1915 – che inoltre intendeva ricostruire l’universo ma rallegrando.
Questo approccio così democratico legato alla produzione delle arti applicate mi ha fatto capire sin da subito che il Futurismo non era il movimento affiliato al fascismo che veniva descritto, perciò, ho voluto dimostrare come la tensione laica e antimonarchica perseguita dai Futuristi della prim’ora sottendesse delle relazioni più complesse di quelle generalmente associate all’avanguardia. In un articolo intitolato “Toh! Tra i futuristi spunta un manipolo di comunisti” ho illustrato come la posizione filogovernativa di Marinetti e la sua vicinanza a Mussolini fosse mossa dal desiderio di fornire lavoro e committenze agli artisti a lui vicini mentre molti altri Futuristi non condividevano per nulla il suo pensiero, ed anzi erano di sinistra. Le due anime dell’avanguardia – filogovernativa e interventista – si frastagliavano tra zenitisti, futuristi comunisti torinesi, attivisti napoletani e molte altre correnti. Quando nel 1929 Marinetti si rese conto che la posizione di Mussolini era divenuta troppo forte, rinnovò il sodalizio in nome di una continuità lavorativa. L’ironia sta nel fatto che venne nominato accademico d’Italia, proprio lui ! che voleva bruciare accademie e musei…

2003_New York_Mostra sulla portaerei Intrepid per mostra Aeropittura

Oltre a ‘sbalordire il borghese’ come voleva Marinetti e portare l’arte nella vita, i Futuristi amavano anche il gioco…

Secondo i futuristi anche l’adulto doveva essere ricondotto alla fanciullezza. Essendo l’arte percettiva, acquisì particolare importanza, soprattutto per Depero, il teatro. Depero, nel 1915/16, ideò due spettacoli che passarono inosservati perché tecnicamente irrealizzabili, ovvero “Colori” e “Mimismagia”. Sia la costruzione di macchie astratte per “Colori” che i costumi modificabili di “Mimismagia”, che Depero aveva ideato, erano praticamente impossibili da realizzare concretamente all’epoca  perciò le idee rimasero sulla carta. Un giorno, nel 1917, arrivò Picasso che chiese aiuto a Depero per realizzare i costumi plastici di “Parade”. Depero in quel momento era al lavoro per l’allestimento scenico de “Il canto dell’usignolo”, per i Balletti russi, con musica di Stravinsky. Per aiutare Picasso non finì il suo lavoro e quindi gli subentrò poi Matisse. Infine, nel 1918, utilizzando delle marionette in legno da lui create, portò in scena uno spettacolo d’avanguardia (I Balli Plastici), non in un  teatro normale, ma al Teatro dei Piccoli di Roma.

L’enfasi sulla teatralità fa pensare ad un collegamento con il Bauhaus…

È indubbio che ci siano dei collegamenti tra dei fenomeni che stavano prendendo piede in Europa negli stessi anni. Sicuramente la convergenza tra il Bauhaus e Depero sta nell’intenzione di portare l’arte fuori dall’atelier e dentro la vita. Non vorrei sembrare teosofico, ma credo che certe idee aleggino nell’aria e, a un certo punto, qualcuno è in grado di formalizzarle dando loro un nome, rendendole visibili ed esperibili. Questo ha fatto Depero.

Ne segue che non ha alcun senso scindere la pittura dalla scultura dalla ceramica dalla poesia dalle altre arti qualsiasi esse siano. Si tratta di trasversalità?

Qui sfondi una porta aperta. Sto scrivendo proprio ora un libro intitolato “La parola trasversale”. I miei colleghi pensano che la storia dell’arte sia una cassettiera con in ogni cassetto un’avanguardia, un differente “ismo”, però non rendendosi conto che ci sono dei tarli che hanno creato dei passaggi da cassetto a cassetto, rendendo i cassetti porosi e sicuramente non dei compartimenti stagni. Quando visitiamo i musei, le opere sui muri sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno complesso e stratificato che è la creatività artistica, perché quello che sta sotto la superficie, e che non si vede, è il “pensiero forte” che ha prodotto quelle opere.
L’arte è come una ruota con tanti raggi e più si va verso la periferia più si perde la bussola. E questo fenomeno, che rappresenta perfettamente l’arte contemporanea, è quello che il filosofo Hans Sedlmayr, ha definito a suo tempo (1944) la “perdita del centro”.
Le avanguardie, ad esempio, sono al di là del contemporaneo perché, come indica l’origine militare del termine, strappano in avanti lasciando indietro tutti gli altri. Tra uno strappo e l’altro c’è un periodo di assestamento. Ma dopo l’ultima guerra, invece, si amplifica l’allontanamento ed è allora che, come oggigiorno, molti artisti producono, passami il termine, ‘minchiate’ ovvero scandali architettati tanto per farsi notare, continuando a strappare in avanti non sapendo più chi si è, e pensando pure di fare… arte.

1990_con Einaudi e Fortini

E da qui il tuo interesse per le periferie…

Su Il Giornale tenevo la rubrica L’arte delle periferie. Viaggiavo per scovare artisti lontano dai centri del commercio e lo smercio dell’arte che operassero non per affermarsi, ma perché animati da una necessità creativa. È un problema oggi uscire dalla gabbia imposta dal mercato perché questo ha bisogno di continuità e di coerenza e un artista non può esserlo, almeno non sempre. Se non sei su artprice, ad esempio, non esisti e questo è davvero aberrante. 
Tra gli artisti periferici ai quali ho dedicato le mie ricerche ricordo con particolare passione, Silvio Tomasoni, Alberto Forchini, Marina Battistella, Sonia Passoni, Nora Lux, e tanti altri
Nel contesto altoatesino, ho redatto il volume La collezione della regione Trentino-Alto Adige, per il quale ho catalogato le opere di proprietà della provincia conservate in uffici non accessibili al pubblico. Ho così sviluppato un interesse per Hans Ebensberger, Alois Kuperion, Karl Moser, Gottfried Moroder, Egon Rusina, Emily Schmalz, Billy Walier, Martin Paul, Adolf Vallazza, Max Radicioni ed altri ancora.

Secondo te qualcuno legge ancora i cataloghi delle mostre?

Alle volte mi capita di ricevere delle osservazioni da parte di qualcuno che dissente rispetto a quanto ho scritto in un catalogo, quindi evidentemente qualcuno ancora questi cataloghi li legge, ma non sono mai i ricercatori e gli esperti del settore perché sono proprio loro a leggere di meno per mancanza di tempo.

Infine, dato il tuo interesse per le arti grafiche filtrato da Depero, se un libro va letto piuttosto che contemplato, come procedere con l’impaginazione?

Personalmente, mi impagino i libri per ripararmi dai grafici. Un tempo consegnavo loro i menabò e quando controllavo cambiavano le proporzioni di tutte le immagini perché sostenevano che “graficamente questo quadro è migliore dell’altro. Per questo, invece di continuare ad arrabbiarmi, faccio tutto da solo. L’arte è già un contenitore vuoto riempito solo di soldi, quindi, se anche i libri d’arte riflettessero questa “vacuità” sarebbe davvero tragico. In più, in quanto storico dell’arte mi occupo principalmente di cadaveri, cioè artisti ormai ‘passati’ al creatore, perciò, raccolgo, schedo e interpreto il loro lavoro in maniera opposta a quanto fanno tanti critici, ovvero senza che togliendo il titolo da in cima al testo, il contenuto possa essere adeguato a qualsiasi artista…Quindi, per rispondere, l’impaginazione deve concorrere a far “correre il rischio” di capire qualcosa a chi guarda il catalogo, e questo non con testi solo all’inizio e poi immagini, ma con un’integrazione tra testo e immagini.

Photo Credits @ Maurizio Scudiero: (1) Maurizio Scudiero a Zagabria in occasione di una mostra sul Futurismo, 2018; (2) Maurizio Scudiero in compagnia di Osvaldo Peruzzi e Vittoria Marinetti, figlia del fondatore del Futurismo, 1987; (3) Maurizio Scudiero sul ponte della portaerei Intrepid a New York in occasione di una mostra sull’Aeropittura, 2003; (4) Maurizio Scudiero in compagnia di Giulio Einaudi e Franco Fortini, 1990.

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