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April 13, 2021

Bart van der Heide: Museion, casa
in costruzione

Allegra Baggio Corradi

Inaugura il 26 marzo 2021 la mostra “Here to Stay. Nuove opere per la collezione” presso Museion. Costituita da nuove donazioni, prestiti a lungo termine e promesse di prestiti da parte di collezionisti privati, l’esposizione presenta oltre ottanta opere a testimonianza del percorso di ampliamento e ricerca inaugurato dal direttore Bart van der Heide sin dall’inizio del suo incarico a giugno dello scorso anno. In seguito alle sue pregresse esperienze curatoriali presso la galleria Witte de With di Rotterdam, la Cubitt Gallery di Londra, il Kunstverein di Monaco di Baviera e lo Stedelijk Museum di Amsterdam, van der Heide è giunto a Bolzano con l’obiettivo di accrescere la reputazione internazionale di Museion plasmando l’istituzione intorno ad una rafforzata politica di acquisizione e all’interno di un’economia sociale fondata sulla ricerca e la trasparenza. A testimonianza del perseguimento di tali obiettivi, “Here to Stay” presenta Museion come una casa in costruzione; un cantiere in fieri che va sempre più popolandosi degli utensili utili alla creazione di una comunità che è qui per restare.

Ciao Bart, quale il contenuto della mostra “Here to Stay”?

“Here to Stay” si configura come un duplice percorso di installazioni, sculture e opere d’arte mediale. Da una parte ci sono le opere prodotte tra il 2000 e il 2010 da una generazione internazionale di artisti e artiste e dall’altra angoli focus su esponenti dei movimenti concettuali italiani della seconda metà del Novecento.

Le due anime della mostra riflettono le aree della collezione di Museion che sono al momento al centro di un percorso di rafforzamento. Gli angoli focus, ad esempio, sono il risultato delle donazioni dell’artista Berty Skuber e dell’Archivio di Nuova Scrittura di Paolo Della Grazia.

La mostra evidenzia i legami intergenerazionali che intercorrono tra gli artisti degli anni Sessanta e quelli attivi in tempi più recenti. L’enfasi è sul legame che intercorre tra i processi di critica istituzionale portati alla luce dalle opere in mostra e questioni sistematiche di produzione e autenticità dell’arte al di là dell’esperienza estetica. L’allestimento, la mediazione, l’acquisizione, la distribuzione e gli equilibri economici tra pubblico e privato sono enfatizzati all’interno della mostra al fine di rivelare al pubblico la stratificazione delle politiche e delle pratiche solitamente più elusive inerenti al funzionamento di un’istituzione d’arte. 

Operata da artisti concettuali degli anni ’70 quali i già nominati Berty Skuber e Franco Vaccari, questa cesura portò ad una ridefinizione dell’oggetto artistico tale da sdoganare il ‘non finito’ e da ricalibrare l’assetto espositivo sul piano dei ‘lavori in corso’; entrambe gli aspetti sono rilevabili nelle opere di Paweł Althamer, Jimmie Durham, Pierre Huyghe, Goshka Macuga, David Maljkovic, Walid Raad, Sven Sachsalber, Anri Sala, Sean Snyder, Paul Thek, Wolfgang Tillmans, Nanni Balestrini, Paul De Vree e Stelio Maria Martini, tra gli altri. A sublimare questo percorso, è stato riservato in mostra uno spazio destinato alle donazioni e ai prestiti dei Museion Private Founders con opere di Keren Cytter, Verena Dengler e Diego Perrone.

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Oltre al percorso espositivo, “Here to Stay” si compone anche di uno spazio sperimentale al quarto piano.

Sì, si tratta di un “open mic”, un podio accessibile agli operatori e le istituzioni dell’Alto Adige che vogliano performare all’interno delle mura del museo temporaneamente chiuso. Al momento, la proposta è molto variegata e va dai dipinti di unicorni all’orchestra Haydn. I contributi verranno proiettati al termine dell’iniziativa che terminerà il 9 maggio. È un’operazione potenzialmente rischiosa perché non sappiamo dove ci porterà, ma mi incuriosisce l’idea che per una volta non sia il museo ad essere in controllo dei suoi spazi.

Muovendo dai contenuti ai concetti, “Here to Stay” è spia di quali cambiamenti curatoriali e civici avvenuti a Museion dall’inizio della tua carica?

Dal giugno del 2020, ma, in effetti, già dal mio precedente periodo milanese, ho mappato il territorio in maniera intensa. Ho notato che molti musei di arte contemporanea non possiedono opere d’arte se non in prestito. Credo che per essere sostenibile, una casa – ovvero il museo – debba possedere la propria collezione perché questo consente all’istituzione di essere radicata sul territorio a livello locale tanto quanto nazionale. La proposta di scenari alternativi da parte di Museion è un obiettivo che mi sono posto sin dall’inizio. Ho cominciato a studiare la nostra collezione capendo di dover proporre ai collezionisti privati di donare piuttosto che di prestare soltanto e l’invito è stato accolto. La donazione è molto importante per assicurare la stabilità della nostra casa. 

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A livello curatoriale, “Here to Stay” testimonia la volontà di stabilire collegamenti intergenerazionali tra gli artisti rappresentati dalla nostra collezione e, di conseguenza, la volontà di rafforzare l’organicità interna al corpo artistico che ospitiamo. Per me l’Archivio di Nuova Scrittura è stato una scoperta; prima di venire in Italia non lo conoscevo. Ho capito studiando che il loro lavoro ha aperto la strada a quello delle generazioni successive. In particolare, dato il mio interesse per la produzione artistica degli anni Novanta e Duemila, ho potuto ricostruire una genealogia della critica istituzionale, ho compreso ancora meglio il concetto di ‘non finito’, ho approfondito l’idea di mostra come ‘work in progress’ e quella di museo come casa in costruzione.

A livello civico, “Here to Stay” apre al dialogo con il pubblico ammettendo l’incapacità di un’istituzione come la nostra di continuare ad operare in solitaria all’interno di un territorio popolato da così tante risorse, ma che si sta progressivamente svuotando e dunque deprofessionalizzando a causa della fuga dei cervelli. La trasparenza del voler mettere in mostra i processi di produzione artistica e di tutti quegli aspetti considerati minori o meno rilevanti come l’educazione, la distribuzione ecc., testimoniano il tentativo di Museion di voler rendere noti i cambiamenti che sta subendo, soprattutto in questo momento di difficoltà legato alla pandemia. Inoltre, è chiaro che anche se esposta all’interno di un ‘white cube’, l’arte non è mai neutrale, perciò, le nostre mostre vogliono mettere in luce i conflitti di potere e di classe che sottendono al discorso artistico al quale inevitabilmente ci rifacciamo, ma al quale vogliamo guardare con occhio critico e sotto lo sguardo del pubblico per definire il ruolo di Museion come socialmente reattivo e rilevante.

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Come misuri la rilevanza dell’arte?

È una domanda interessante perché ci sono potenzialmente infinite risposte. Trovo stimolante una mostra quando riesce a farmi riflettere sulla mia vita. Quando la matericità di un’opera mi costringe a confrontarmi con me stesso, cosa che difficilmente mi accade in un contesto virtuale o astratto, sono costretto a fare un passo indietro per capire se ciò che sto osservando sia reale o semplicemente mi piaccia. Le fondamenta umanistiche di un museo presuppongono che le sue opere siano in qualche modo materiali e che, quindi, siano fatte per pensare ed essere pensate. Il mondo è più vasto dell’io e l’arte offre numerosi strumenti per affrontare questo passaggio dall’individuale all’universale; è così perché essa è fisicamente presente davanti a noi. L’arte è rilevante quando mi fa rendere conto dell’impatto umano nel mondo, ovvero quando mi aiuta a comprendere quanto spazio occupiamo e quanto ne sottraiamo da altrove per poterlo ricavare. La matericità delle opere presuppone anche legami economici, culturali, sociali e storici che definiscono in maniera esatta la sua posizione all’interno del panorama sociale e civico nel quale vengono ad essere e nel quale continuano a vivere, ad esempio nella nostra casa. 

Hai più volte chiamato Museion una casa…

Certo, il museo è una comunità, quindi, un podio per un gruppo esteso di individui che operano, vivono e fanno cose insieme. Non mi considero un curatore. Curo mostre ma sono prima di tutto un operatore del mondo dell’arte e in questa veste, considero le esposizioni non come un punto di arrivo, ma come uno strumento. Museion non è una biennale né una Kunsthalle, perciò, non può non rivestire un ruolo sociale. Il museo non può farcela da solo e questo è il motivo per il quale è importante per me mostrare quello che facciamo con trasparenza, proprio come si farebbe all’interno di una casa. 

Dalle case, però, le persone entrano ed escono. Come si può stabilire un patto sociale tra il pubblico e il museo se il meccanismo che spinge il pubblico ad andarci si basa sul distaccamento piuttosto che sull’attaccamento? Ovvero, se nel visitare una mostra una persona cerca volontariamente la passività, la rimozione del sé dal quotidiano, l’evasione, l’escapismo persino, come può un museo diventare, caso limite, più di un aeroporto, luogo di transito al quale non si è legati?

Credo che il fatto che le persone visitino i musei per distaccarsi, ognuno da qualcosa di diverso, sia magnifico. Questo è il vero senso dell’esperienza estetica. I musei di arte contemporanea sono già noti per essere in grado di offrire quest’opportunità. Se ci riescono o meno, questo è un altro discorso, ma sicuramente si votano a questa causa. Quello che sto cercando di fare a Museion è andare oltre a questo, ovvero superare il mero lato espositivo dell’istituzione per rafforzarne l’impatto e il ruolo sociali. Il museo è molto più che un luogo in cui si fanno mostre; c’è un negozio, c’è un passaggio pubblico, c’è un ristorante, c’è un centro di ricerca, c’è una collezione. Voglio costruire un museo stratificato che oltre alle mostre sia in grado di rispondere alle esigenze della società all’interno del quale è posizionato. Ci sono molti modi in cui intendo fare questo, uno su tutti trasformare Passage in un’esposizione permanente della nostra collezione che risponda in maniera pertinente e reattiva ai giubilei, agli anniversari, alle date importanti, come sta avvenendo con Hans Knapp e la sua pubblicazione; sono tutti modi per rinnovare la rilevanza di cui abbiamo parlato prima. Il Bulletin offre un’ulteriore piattaforma di comunicazione perché consente ad autori che non siamo noi di fornire testimonianze di esperienze vissute. Stiamo lavorando ad una serie di iniziative che rendano la nostra casa più reattiva e comunicativa.

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Quale credi sia il tuo ruolo in questo processo di trasformazione?

Accrescere il ruolo del museo su scala internazionale e rendere la nostra casa civicamente impegnata e socialmente reattiva perché rilevante. 

Dunque, il locale e l’internazionale insieme. Come si porta il mondo in mostra a Bolzano in maniera stimolante dato il già fitto rapporto degli artisti locali con l’estero e come fare il contrario senza diventare didascalici?

Questa è una domanda stratificata perché ci sono dei livelli di beneficio differenti in base all’agente specifico della comunità che si prende in considerazione. 

In relazione agli artisti locali, è mia intenzione fomentare lo scambio e il confronto con realtà internazionali all’interno dei percorsi espositivi, giustapponendo e facendo dialogare le opere tra di loro. Accadrà questo per la prima volta nella mostra che inaugureremo a fine anno. Gli artisti locali sono già ben connessi al di fuori della regione, perciò, il compito del museo lo immagino più come quello di un agente che rafforzi il dialogo e la rete tramite strumenti come il Bulletin. Il museo non è il detentore assoluto di conoscenza, perciò, è importante saper lasciare spazio a chi possiede un’esperienza diretta della realtà e del mondo dell’arte insieme, proprio come è avvenuto con Lungomare nell’ultimo Bulletin

In relazione alla comunità in senso più generale, credo che l’internazionalizzazione della proposta culturale nel suo complesso attirerà la fiducia del pubblico, convincendolo a restare.

 

 

Here to Stay. Nuove opere per la collezione
26.03.2021- 08.08.2021
A cura di: Bart van der Heide in collaborazione con Elena Bini e Andreas Hapkemeyer
Design dell’allestimento: Pietro Vincenzo Ambrosini
Museion
P.zza Piero Siena 1
39100 Bolzano

 

Photo credits
1. Sven Sachsalber, HANDS, 2015-2016, collezione privata. Foto Luca Meneghel
2. Here to Stay, exhibition view, Museion 2021. In primo piano: Jimmie Durham, 1940, Washington (AR, USA) Ghost in the Machine, 2005, collezione privata. Foto Luca Meneghel
3. Natascha Sadr Haghighian, Solo Show Robbie Williams, 2008, Museion 2021, collezione privata. Foto Luca Meneghel
4. Berty Skuber, Eres, 2004-2014, collezione privata. Foto Luca Menghel
5. Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale n.21, Bar Code-Code Bar, XLV Biennale di Venezia, 1993, collezione Museion – Archivio di Nuova Scrittura. Foto Luca Meneghel

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