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April 7, 2021

(design)professors made in BZ_Simone Simonelli

Claudia Gelati

Negli scorsi mesi abbiamo incontrato (virtualmente) alcuni dei designers che hanno frequentato e si sono laureati presso la Facoltà di Design e Arti e che oggi lavorano nei più disparati settori, sparpagliati per tutta Europa. Abbiamo conosciuto illustratori, designer del prodotto, grafici, social designer, fotografi e chi più ne ha ne metta; ma con questa seconda serie vogliamo concentrarci sull’altra faccia della moneta, ovvero tutti quei docenti e ricercatori che arrivano da ogni parte d’Italia (ma non solo, anzi) esplicitamente per insegnare nella nostra piccola, ma grande, facoltà

Simone Simonelli è stato uno dei primi docenti che ho conosciuto in facoltà durante il WUP, il temibile Warm Up Semester. Del design allora sapevo molto poco o niente, per cui se un tuo professore ti chiede di progettare delle gelatine colorate in grado di ballare a tempo di musica, tu cosa fai? Progetti, sbagli e riprogetti di nuovo. Io scelsi un pezzo di Chuck Berry (ma va?). Lo scorso Ottobre ho incontrato di nuovo Simone Simonelli in una veste nuova e diversa alla Facoltà di Economia di Unibz.Qui ci racconta anche di come il design, oggi più che mai, vada ben oltre alla grafica e al prodotto…  

Andiamo con ordine: chi è Simone Simonelli, da dove viene e cosa fa nella vita per portare in tavola la famosa pagnotta? 
Sulla carta d’identitá c’è scritto designer; sicuramente in qualche modo é vero, anche se oggi sono più un imprenditore. Sono vice Amministratore Delegato di una societá italiana che vende progetti di customer experience (Lato srl Società Benefit ). Un 30% del mio tempo lo dedico all’insegnamento universitario, presso unibz e Politecnico di Milano.

Come nasce il tuo interesse per il design e quali sono i tuoi/la tua formazione?
Credo che l’interesse per il progetto –in azienda dicono che é la parola che uso di più– nasce dalla curiositá per il futuro e dalla convinzione che un buon progetto puó risolvere qualsiasi problema, anche quelli più complicati. 
Per quanto riguarda la mia formazione, quelli bravi direbbero che il mio é un profilo a T (t-shape person): ho una formazione da industrial designer classico, poi ho allargato verso le nuove tecnologie, sia produttive che integrate, e poi di nuovo ho “ri-allargato” verso il design strategico e il design thinking.

Dopo la laurea sapevi già cosa avresti voluto fare? 
Devo dire che non ho mai vissuto lo stacco pre e post laurea, sono stato fortunato. L’ambiente del Politecnico di Milano è molto dinamico e già un paio d’anni prima della laurea (la vecchia 5 anni) ho iniziato a lavorare. Il giorno della laurea stessa, non lo dimenticherò mai: un attimo dopo la presentazione, la mia Professoressa di allora mi offrì di partire per il Cile per 3 mesi per un progetto di ricerca. Quindi diciamo che non ci ho mai pensato veramente e ho sempre seguito l’istinto e i vari mentors che ho avuto la fortuna di incontrare durante la mia carriera.

osservazione 2
(1) Un nostro progetto inizia sempre con un’osservazione sul campo. Cerchiamo di capire bisogni e desideri nascosti degli utenti finali. In questa foto una ricognizione presso una delle filiali del 4 gruppo bancario italiano, per cui abbiamo riprogettato l’esperienza d’accesso di tutte le 900 filiali sul territorio.

Da designer a docente: come sei arrivato ad insegnare alla Facoltà di Design e Arti di Bolzano e qual’è stata la tua esperienza in facoltà? 
Con una telefonata. Era il 2009, al Salone del Mobile vidi questa mostra bellissima che si chiamava Fucina (da Rossana Orlandi) e pensai “che figata! questi fanno sul serio”. Venivo da un’esperienza come tutor presso Domus Academy ed ero un po’ stanco di progetti virtuali, molte presentazioni e pochi prototipi. Quella mostra era bellissima, ti conquistava attraverso la forza dei prototipi. Poi ho chiamato Kuno Prey (allora preside) e da cosa nasce cosa, coincidenze, un po’ di fortuna e ho iniziato ad insegnare Bolzano. Sono stato docente della Facoltà di Design e Arti dal 2009 al 2015, un’esperienza fantastica per me molto formativa, anche se dall’altro lato della cattedra. Sicuramente l’insegnamento che mi porto dietro dal lavoro in Facoltà è la forza dei prototipi, l’arma segreta di tutti i designers.

Dalla Facoltà di Design sei passato a quella di economia con il Master in Imprenditorialità e Innovazione, dove insegni Design Thinking and Prototyping. Come è avvenuto questo passaggio e quali principali differenza che hai avuto modo di riscontrare tra le due realtà, anche confrontando l’approccio e/o l’orientamento professionale futuro dei tuoi studenti? Raccontaci la tua esperienza. 
Il passaggio dalla Facoltà di Design a quella di Economia è avvenuto in modo graduale e seguendo lo sviluppo della mia carriera. Sono arrivato alla Facoltà di Design posizionato esclusivamente nel mondo dell’industrial design, e proprio il lavoro di ricerca all’interno della facoltà (2009-2015) mi ha permesso di aprirmi a nuove competenze e di esplorare nuove territori, soprattutto tecnologici. La tecnologia è stato per me un driver di sviluppo e di contaminazione che mi ha permesso di collaborare con quasi tutte le altre Facoltà, da Computer Science ad Economia. Proprio un progetto “tecnologico” (lo sviluppo di Bitz – fablab di unibz) mi ha permesso di rafforzare la collaborazione con Alessandro Narduzzo e con il Master di Innovation & Entrepreneurship. 
Differenze sostanziali tra gli studenti non ne vedo, se non forse che quelli di design sono più abituati ad abbracciare l’ambiguità dei processi, cioè non avere fretta di passare da uno step all’altro nello sviluppo di un progetto. Devo dire però che il corso presso la facoltà di economia mi ha dato grandi soddisfazioni, perché mi ha confermato che la creatività non è già nel nostro DNA –ce l’hai o non ce l’hai– come molti sostengono, ma va allenata. E vedere degli studenti che ad inizio corso si dichiarano non creativi ma poi acquisiscono ‘confidence’ nello sviluppo di progetti è per me una grande ‘reward’.

Situazione Covid-19: Quale ruolo può assumere il design, da intendersi anche come progettazione di servizi e non solo di prodotti, in una situazione di emergenza (sanitaria e non) come quella che ci troviamo a fronteggiare ancora oggi?
Posso risponderti con degli esempi concreti. La nostra agenzia, Lato srl sb, è nata a fine 2019 con degli obiettivi ma già ad inizio 2020 abbiamo dovuto correggere direzione. Facendolo ci siamo accorti che stavamo costruendo soluzioni d’emergenza ai problemi della crisi Covid-19. Quindi abbiamo usato il design per risolvere problemi ‘wicked’ in poco tempo. Per esempio abbiamo risolto l’accesso, stravolto dai nuovi regolamenti covid, alle  900 filiali del quarto gruppo bancario italiano. Oppure abbiamo permesso ad un gruppo di aziende di uno dei più grandi distretti meccatronici italiani di riuscire a rimanere in contatto, nonostante il fatto di non poter viaggiare, con i propri clienti stranieri attraverso un’esperienza di vendita completamente in digitale.

Il tuo corso alla facoltà di Economia prevede anche una parte pratica di prototipazione, anche lavorando in gruppo. Didattica a distanza: come è stata la tua personale esperienza? Pro/ contro e scenari possibili per i prossimi mesi? 
Il mio corso, Design Thinking & Prototyping, è un corso project based. Tutta la parte di prototipazione diventa parte fondamentale, tanto che il corso in anni normale si tiene al 50% in un fablab.
Quest’anno abbiamo ovviamente shiftato verso il digitale anche sulle pratiche di prototipi, devo dire che ci sono oggi tanti modi per riuscire a collaborare allo stesso output contemporaneamente. Questo é un aspetto interessante della crisi, il fatto che team completamente in remoto o ibridi non abbiano mai smesso di collaborare ma hanno inventato N modi nuovi per farlo. Sicuramente è un terreno nuovo da esplorare, ma per farti un esempio ¼ dei progetti sviluppati dagli studenti del master erano relativi al tema del online learning. Evidentemente c’è molto da fare in merito … 

sintesidati

(2) il cuore di ogni progetto é la capacità di dedurre intuizioni rilevanti dalle informazioni raccolte sul campo. Qui un esempio di un tipico file pieno di info.

Immaginare il futuro, avere delle visioni, consapevolezza, sostenibilità. Domanda delle domande: in quale direzione sta andando il design ora? In un momento –possiamo forse dire– di saturazione del prodotto, come ci si reinventa designer di esperienze e servizi?
Perché – Meaning – Purpose. 
Sono sicuramente le 3 parole più cercate abbinate alla parola design nell’ultimo periodo. E ci sta.
Mai come in questo momento c’é bisogno più di direzioni chiare, piuttosto che di nuove idee. Se ci pensi, siamo nel momento storico dell’accessibilitá, dove ognuno di noi può avere un idea, fare un prototipo (abbastanza in fretta e con poca spesa) e addirittura cercare fondi online. Ma questo vuol dire anche che siamo in un momento dove solo l’eccellenza ha davvero delle opportunitá. E per me eccellenza vuol dire riuscire a rispondere a dei perché veri, sia che si tratti di un prodotto, un servizio o un’esperienza. Anche perché ormai non c’è più differenza: la tecnologia ha reso i confini tra queste tre categorie molto più liquidi.

In relazione anche alla situazione pandemica e alla didattica a distanza, quali consigli ti senti di dare a un giovane che si appresta a scegliere un percorso universitario o a discipline – passami il termine- creative?
Oggi chi si occupa di creatività, diciamo che vende progetti per vivere, quindi non può prescindere da conoscenze specifiche di business. Perchè se i designer vogliono e possono oggi sedersi a tavoli sempre più strategici, devono sapere come relazionarsi, partendo banalmente anche dal linguaggio dei  C-levels. Quindi consiglio fortemente un percorso con una radice creativa (ad esempio, una laurea in design) ma poi allargare verso un approfondimento (master o executive) business oriented. Come detto all’inizio della chiacchierata, oggi le aziende cercano sempre di più i cosiddetti profii a T (t-shape people), che siano verticali su un argomento ma in grado di connettersi ad altre discipline. La tendenza è proprio quella di rompere i silos all’interno delle organizzazioni.

Cosa consiglieresti oggi, con il tuo bagaglio di esperienze, al Simone Simonelli ventenne?
Una esperienza deep come designer in-house. Sono “invidioso” dei giovani designer di oggi, perché si trovano nel momento storico, insieme agli anni ’80 forse, in cui le aziende sono più alla ricerca di designers. Basta mettere un alert su linkedin (tag ux o design thinking o service designer) e scoprirai quante aziende “non convenzionali” cercano designers.

journey

 (3)spesso l’output dei nostri progetti é un customer journey. Cioe´ il percorso utente ideale per poter vivere un’esperienza di servizio senza frizioni e in linea con le aspettative delle persone. Qui un esempio di un journey di digital selling per un gruppo di aziende del comparto mecactronico Trentino.

Torniamo al tuo lavoro oltre la facoltà: raccontaci un progetto (o più) di cui sei particolarmente orgoglioso o al quale ti senti particolarmente legato. 
Credo che il progetto a cui sono più legato in questo momento è l’azienda per cui lavoro che ho contribuito a fondare, Lato srl Società Benefit, perchè nonostante Lato “venda” progetti è essa stessa un progetto. Siamo al secondo anno di vita, abbiamo messo insieme 10 teste diverse e abbiamo un’azienda madre (Proxima spa). Riuscire a tenere tutti incollati verso la stessa direzione non è semplice. Facilita il fatto che tutti all’interno, nonostante ci siano solo 2 designers, siamo convinti che il design possa dare un contributo positivo a people, profit, planet.

Ti lasciamo tornare al tuo lavoro, alla pausa caffè o, perché no, ad annaffiare le piante, ma prima diccci un po’…
 Quel libro che non può mancare secondo te nella libreria di un designer o di un creativo  
Un libro che ha cambiato la percezione del design spostandolo verso l’orizzonte dell’innovazione é “Change by design” di Tim Brown, che é un libro del 2009. Un pó in contrapposizione a questo sicuramente “Overcrowded: Designing Meaningful Products in a World Awash With Ideas” di Roberto Verganti (2016)

Almeno due strumenti, attrezzi o cose che non mancano mai nella tua borsa o zaino 
Sicuramente lo zaino stesso, e poi Ipad con penna é stato un game changer per prendere appunti e condividere idee con piú facilitá

Tre account instagram assolutamente must-follow
Ok ma non sono legati al mondo del design…, o forse in quache modo anche loro si occupano di progetto…

– Bruno Compagnet, fondatore di Black Crows ski, sciatore ribelle e indipendete che intorno all’idea di libertà ha costruito un brand

– The outdoor manifesto, che cerca una via allo sci più sostenibile e che abbia un impatto positivo sulle comunità di montagna

– Ari Tricomi (corvara, bz) 3 volte campionessa del mondo di freeride che ultimamente ha avuto una svolta social  e usa il proprio ig per costrurire consapevolezza verso i giovani sui rischi di sciare in campo libero.

 

Photo credits: Simone Simonelli

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