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March 1, 2021

Cosa ci insegnano le Alpi. Design, arte, cultura 02: Kuno Prey

Emanuele Quinz
Il paesaggio delle Alpi è un ecosistema unico, un fragile e millenario equilibro tra natura e cultura. Cosa insegnano le Alpi – a chi le attraversa, a chi ci vive e lavora? Ma soprattutto, come influenza questo paesaggio, questo ecosistema, questa cultura il pensiero e la pratica degli artisti e dei designer?

Per il secondo episodio della nostra serie, incontriamo questa volta Kuno Prey, Designer e professore universitario. Nato a San Candido, dal 1978 collabora con aziende come Danese, Nava e Alessi, disegnando prodotti acclamati a livello internazionale e insigniti di numerosi premi. I suoi progetti sono caratterizzati da una ricerca approfondita sui materiali e le tecnologie. Nel 1993 contribuisce al lancio della Fakultät Gestaltung – Bauhaus-Universität Weimar e nel 2002 fonda la Facoltà di Design e Arti alla Libera Università di Bolzano.

Qual è il tuo rapporto con le Alpi?

Ci sono nato, quindi sono parte integrante della mia cultura. Al contrario di molte persone che, se circondate dalle montagne le percepiscono come una chiusura, a me trasmettono sicurezza e, paradossalmente, la certezza che dietro le montagne c’è qualcosa da scoprire. Il sapere che oltre le montagne continua il mondo mi da veramente molti stimoli.

kennst du deine berge 2Puoi raccontare una storia, un ricordo personale, una parabola, un aneddoto legato alle Alpi?

Molti anni fa, stavo facendo un’arrampicata su una delle vie classiche delle Cinque torri di Cortina d’Ampezzo. Ero da solo e regnava una bellissima quiete attorno a me. Ed un tratto, sento un tonfo, come di un sacco di patate che cade e impatta sul ghiaione. Sulla via accanto alla mia, alla distanza di poche decina di metri era precipitato un ragazzo olandese, studente di teologia con la passione per le foto di montagna, che avevo appena conosciuto al rifugio. 

Cosa ti hanno insegnato le Alpi?

Timore reverenziale e rispetto per la natura. Una passeggiata in alta montagna mi è sufficiente per ridimensionare stati d’animo o sentimenti negativi, perché mi fa sentire quanto siamo piccoli. Non va dimenticato però che le montagne oltre ad essere maestose, imponenti e talvolta insidiose sono anche molto fragili e quindi vanno avvicinate e trattate con attenzione.

Cosa ci insegnano le Alpi?

Purtroppo molti abitanti e frequentatori non le hanno ancora capite… pensano che le montagne siano indistruttibili e quindi da sfruttare senza limiti. Mi ricordo negli anni 90 di quando il DAV (il CAI in Germania) aveva pubblicato una mappa indicando i valichi alpini a rischio valanghe e frane e quindi non più percorribili; il tutto prognosticato per il 2000… Beh, ovvio, non sono futurologi, ma negli ultimi anni troppe frane, troppe slavine hanno condizionato paesi e valli intere. E sono molte, troppe, le montagne che negli ultimi anni hanno perso qualche pezzo…

drei zinnen kuno preyNel 2019, hai realizzato per l’Associazione Turistica di Sesto Pusteria, Meine Drei Zinnenun Kit per realizzare il profilo delle Tre Cime. Come è nato questo progetto? 

Le tre cime di Lavaredo sono le montagne più belle che abbiamo in alta Val Pusteria e che ho avuto occasione di scalare più volte. Sono un classico e un must per un pusterese DOC. Negli ultimi anni la loro figura però è stata utilizzata spesso, anzi troppo spesso per scopi pubblicitari. Con il mio gesto minimalista ho cercato di ridare dignità a questo gruppo di montagne. Quindi, in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni delle prime ascensioni su alcune vette importanti delle Dolomiti di Sesto, ho proposto il progetto del kit all’associazione turistica di Sesto che ha accolto l’idea a braccia aperte. Per produrre il kit si sono avvalsi della collaborazione di alcuni pensionati che così hanno trovato una particolare occupazione per il loro tempo. 

In sostanza, Meine Drei Zinnen é una piccola e quasi immateriale installazione composta da chiodini e uno spago sottile. L’unica cosa è che uno deve piantarsi i 19 piccolissimi chiodini nel muro – il che può anche essere un piccolo ostacolo psicologico da superare… Mi sono ispirato al mitico “disegnare seguendo i numeri” che trovavamo su La Settimana Enigmistica. Questo principio si presta per essere adattato a innumerevoli soggetti e ben venga che se ne facciano altri.

Nel lontano 2002, l’Ecal di Losanna ha lanciato un progetto di ricerca sul “botte-cul”, lo sgabello per mungere, un oggetto funzionale che richiede delle forme specifiche, ma anche un simbolo culturale e un documento etnografico. L’idea era di chiedere a dei designer di riprogettare quest’oggetto. Tu non solo hai accettato l’invito come designer, disegnando un botte-cul originale, ma hai proposto all’Università di Bolzano di accogliere una tappa di questo progetto itinerante, organizzando delle nuove commissioni e un’esposizione. Cosa ti interessava in questo oggetto, tipicamente alpino? 

In quell’occasione, non ho realizzato un classico oggetto di design (come richiesto dal concorso) ma ho elaborato un contributo critico nei confronti dell’industria/economia del latte: uno “sgabello” costruito con 36 confezioni tetra pak del latte da 1l che riportano una bella illustrazione di una mucca al pascolo. Con questo mio intervento, fuori dalle aspettative degli organizzatori della mostra, volevo stimolare una riflessione sulla qualità del latte e sui sistemi di produzione antichi e moderni[1]. Del resto, questo sgabello si è fortemente differenziato da tutti gli altri nella mostra, la maggior parte risultato di un “limitato” esercizio di design.

L’atteggiamento che presiedeva al mio progetto, rispecchia il modello di studio che avevo impostato alla Facoltà di Design dell’Università di Bolzano, dove invitavamo gli studenti ad assumere una posizione critica (“eine kritische Haltung”), e a crescere come progettisti che sanno anche fare domande scomode e non solo essere bravi e diligenti esecutori. 

Il mio sgabello era accompagnato dal seguente testo:

“Lo sgabello del mungitore è un oggetto indubbiamente degno di attenzione. Peccato però che sia ormai una reliquia dei tempi passati.
Conosco questo attrezzo fin da quando ero bambino, perché sono nato in un paesino delle Dolomiti, quando il turismo ancora era fonte di guadagno solo per pochi.
Rivisitarlo vuol dire per me affrontare un tema che va ben al di là dell’oggetto stesso. Infatti, esso era qualcosa che stava tra l’uomo e l’animale, tra l’uomo e il latte.
Ma adesso come ci arriva il latte? E che latte è? Da che mucche viene?
“Mizzi”, la migliore mucca di mio nonno, dava 24 litri al giorno. La chiamavamo “la regina del latte” ed era famosa in tutta la valle. Adesso una mucca deve rendere più  meno 70 litri al giorno…
Più che ridisegnare l’oggetto, bello, ma ormai di ben scarsa utilità, sarebbe più opportuno “ridisegnare” il modo in cui conviviamo con gli animali, quegli animali che non chiamerei più “domestici” ma “industriali”, e ci serviamo di loro e dei loro prodotti”.kuno prey

Il progetto “Conosci le tue montagne?” che hai coordinato nel 2017, nasce dalla collaborazione della Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano e la Scuola Elementare di Flaas nel comprensorio scolastico Tschögglber. Quale era l’obiettivo e come si è svolto?

Ero stato invitato a spiegare agli allievi della scuola di Flaas come lavora un designer. La splendida vista sulle montagne che si apre davanti alla scuola mi aveva impressionato. Incoraggiati dal forte interesse che aveva suscitato la mia presentazione, con la loro insegnante Alberta Schiefer, abbiamo avuto l’idea di organizzare un breve workshop con l’obiettivo di sensibilizzare i bambini, ma non solo, alla bellezza del panorama circostante. Abbiamo definito come e attraverso cosa far vedere le montagne, fissato le dimensioni di ogni monocolo e quindi, in stretta collaborazione con la scuola professionale Einaudi, abbiamo seguito la produzione. Le piccole strutture sono poi state installate dai genitori dei ragazzi. L’inaugurazione si è trasformata in una festa di paese. 

È stata un’iniziativa che ha coinvolto molti attori locali, ha permesso agli alunni un’immersione nel lavoro del designer e della lavorazione del metallo e alla fine tutta la classe conosceva il nome e l’altezza delle singole vette. Questa semplice installazione, collocata direttamente davanti alla scuola, è ancora oggi fruibile da tutti i passanti.kennst du deine berge 1

Esiste secondo te, un “design alpino”?

Domanda interessante e di non facile risposta. Se guardo il nostro territorio, direi di sì fino a circa la metà del ‘900: possiamo in effetti osservare un caratteristico modo di progettare dettato dal rispetto delle poche risorse locali, forme e materiali erano condizionati da una certa povertà. Poi però, con l’avvento del turismo di massa, la crescente mobilità, la potenza e invadenza della pubblicità e soprattutto l’improvviso benessere economico, per rimuovere il ricordo della povertà si sono sostituiti rapidamente gli oggetti del passato con oggetti nuovi. Nel caso dei mobili per esempio quelli vecchi sono stati svenduti e sostituiti con elaborati nuovi, colorati, luccicanti e facili da pulire.

Se osserviamo in particolare il settore turistico alberghiero notiamo che fino agli anni ‘90 non si è fatto altro che costruire fienili “gonfiati”, casone sproporzionate in cemento rivestite di legno vecchio o finto vecchio che scimmiottano in versione caricaturale lo stile rustico originale, con aggiunta di torrette e tanti balconi carichi di gerani di coltivazione industriale. 

Negli ultimi vent’anni invece si sta affermando una nuova tendenza che partendo da costruzioni e arredamenti in stile “minimalista”, con un uso esagerato e improprio dei materiali e l’inserimento di elementi di finto rustico a fine decorativo dà vita a ambienti e facciate sovraccariche di segni, quello che mi permetto di definire un neo-kitsch-alpino. Questo stile (vogliamo chiamarlo “design”?) purtroppo incanta molti/troppi turisti che della cultura delle Alpi, quella autentica, ne sanno ben poco.

Pensi le Alpi ti abbiano influenzato, come designer? Cosa ti hanno insegnato sul design? 

Come accennato prima, sono affascinato dal mondo rurale, in particolare quello dell’alta montagna, che mi ha insegnato la cultura del fare tanto con poco, che alla fine, secondo me, combina armonia e utilizzo sostenibile dei materiali. Questo si rispecchia nei miei progetti di design del prodotto, dove vige il criterio della parsimonia, senza per questo rinunciare all’aspetto del piacere di tenere in mano e di utilizzare un oggetto. Sono prodotti che generalmente si spiegano da soli, poco pretenziosi ma con soluzioni tecniche inaspettate, innovative. Certo “innovative” è una di quelle parole che non posso più sentire e che cerco di non utilizzare: ma in molti dei miei progetti vi è una carica di innovazione, di transfer tecnologico che sorprende positivamente. Come in molti attrezzi di uso quotidiano creati con molta devozione dai contadini di alta montagna.  

 


[1] Alcuni dati sull’industria del latte: Quarant’anni fa una buona mucca da latte dava al massimo 22 litri di latte al giorno, e la mucca doveva essere alimentata con un fieno di qualità eccellente. Oggi una mucca ad alta produzione dà 70 litri al giorno (produzione annuale di latte 11.000 kg di latte). Questo salto di qualità è stato raggiunto attraverso l’allevamento mirato (selezione della lattazione), il trasferimento di embrioni e l’alimentazione speciale, che consiste in mangime concentrato, arricchito con soia, proteine, vitamine e minerali. Vedi il documenario di Andreas Pichler, Das Systhem Milch – die Wahrheit über die Milchindustrie (2017) : https://www.youtube.com/watch?v=wR4BrE9myAs

https://www.dassystemmilch.de

 Foto Kuno Prey
Graphic design Studio Babai

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