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February 26, 2021

Benno Steinegger: istantanee d’identità

Allegra Baggio Corradi

Dopo gli studi in scienze politiche a Firenze e un master in pratiche teatrali a Londra Benno Steinegger fonda il collettivo Codice Ivan e avvia la propria carriera di attore a teatro e al cinema. L’identità è al centro della sua pratica. Le sue performance sono istantanee di un’identità in divenire legate al qui, all’ora e all’altro. Come riassume enfaticamente il titolo di un suo progetto: i (to be defined).

Ciao Benno, è dal 2016 che manchi dalle colonne di franzmagazine, cosa hai fatto in questi quattro anni?

L’ultima volta che abbiamo parlato stavo per presentare lo spettacolo ”i (to be defined)” in occasione di Transart a Bolzano. Dopo il festival, non essendo completamente soddisfatto del risultato, ho continuato a lavorare al progetto, che ha ottenuto delle nomination al Fringe a Stoccolma e dove ho poi anche vinto il Nordic Fringe Prize.

Nel corso degli anni ho continuato a collaborare con diverse compagnie teatrali europee. Sono stato Amleto nelle performance dello spettacolo “Please Continue, Hamlet” di Yan Duyvendak e Roger Bernat, presentato tra l’altro alla Biennale di Venezia. Lo spettacolo prevede che avvocati e giudici di professione vengano chiamati a giudicare il caso di Amleto e Polonio, protagonisti dell’opera di Shakespeare, durante una performance teatrale che riflette sul significato di verità e si chiede in che misura contribuiscano alla formulazione di un verdetto la prestazione degli avvocati e l’umore dei giudici.

Nel 2018 ho collaborato a “Quasi niente” di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini. Liberamente ispirato a “Il deserto rosso” di Michelangelo Antonioni, il film riflette sull’alienazione in quanto sentimento che ci appartiene a tal punto da non avvertirlo più. Il film non è la sua trama, ma una cerniera tra la vita dentro e fuori la protagonista, Giuliana, e il mondo in cui essa vive, ma nel quale non partecipa a causa di un’impotenza, di un’abulia schiacciante.

Nel 2020 ho curato la regia di “Die ersten Tage der Menschlichkeit”, presentato al teatro di Braunschweig in Germania e ispirato opera di Karl Kraus “Di letzten Tage der Menschheit”. Durante lo spettacolo gli attori hanno riflettuto su come mettere l’opera di Kraus in scena disegnando degli autoritratti. Sono emerseriflessioni sul modo in cui l’io affronta gli stati di crisi, d’impotenza e di eccessiva rabbia o frustrazione. Se l’umanità sia l’inizio oppure la fine della storia è una questione al centro dello spettacolo.

_DSC6184_337Di cosa ti occupi al momento?

Attualmente sono impegnato nella produzione dello spettacolo A Chance to Find Yourself. Come nel progetto su Kraus il processo diventerà lo spettacolo. Lavoro insieme a Jovial Mbenga, un attore congolese venuto a Bruxelles, dove vivo anche io attualmente, per continuare a lavorare nel cinema e a teatro, quindi, anche se in modo diverso, siamo entrambi immigrati. Insieme abbiamo letto “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad e i punti in comune tra la storia del protagonista e le nostre ci sono sembrati molti, perciò, senza voler necessariamente riadattare il libro al teatro, abbiamo deciso di riprendere alcuni contributi di Conrad per arricchire la nostra riflessione sulle strutture di potere bianco, cioè della percezione che sia normale che le persone bianche siano più alte nella gerarchia del potere rispetto alle persone di qualsiasi altro colore. Come dice Jovial: “Mi sono accorto di essere nero soltanto quando sono arrivato in Europa.”

Oltre a Conrad, è stata fondamentale Gloria Wekker con il suo libro “White Innocence”. Jovial ed io abbiamo letto questo testo insieme e siamo stati entrambe portati a riflettere sulla necessità di smascherare l’innocenza dell’uomo bianco. Wekker sostiene che i bianchi, soprattutto se uomini, non si domandano se la loro stessa esistenza sia un esercizio di supremazia a discapito degli altri. Attraverso aneddoti e fatti realmente accaduti, l’autrice svela come e dove siano radicati il razzismo e il colonialismo del patriarcato bianco, nei comportamenti e dietro le maschere costruite anche inconsapevolmente. Wekker invita i bianchi a interrogarsi sul perché del loro essere bianchi, il che ci è sembrato particolarmente importante per il nostro progetto.

Con A Chance to Find Yourself Jovial e io portiamo a galla le tracce del pensiero espresso in misure diverse da Conrad e Wekker; io in quanto bianco e lui come persona di colore. Abbiamo già potuto notare come sia ricorrente la sua tendenza a calarsi nella parte della vittima e io in quella del carnefice, ad esempio. È emerso chiaramente che il vantaggio e lo svantaggio fungono da contraltare l’uno all’altro senza che ce ne accorgiamo e sono proprio questi comportamenti spontanei e radicati dentro di noi che vogliamo fare emergere durante lo spettacolo. Ciò che ci interessa di più è il processo, non la trama della narrazione in sé perché appunto il processo diventa lo spettacolo stesso.

Oltre al teatro, fai anche cinema. Ce ne puoi parlare?

Sono due i film in uscita a breve. In “Tensione Superficiale”, il primo lungometraggio di Giovanni Aloi, recito al fianco di Cristiana Dell’Anna. La storia è quella di una donna che si trasferisce in un paesino di montagna perché dopo aver conosciuto un uomo durante la settimana bianca riamane incinta e decide di non andarsene più. Attraverso diverse relazioni di dipendenza e sfruttamento, raggiunge una libertà economica facendosi convincere da un’amica a tentare la via della prostituzione. Il film esplora le difficoltà della donna nell’affrontare la sua nuova professione nonché la sua convinzione nel voler continuare ad esercitarla perché questa le permette di trovare la sua indipendenza ed infine di emanciparsi, mettendo in luce ciò che Aloi ha imparato conversando con numerose prostitute attive in Austria, intervistate prima di girare il film. Per “Tensione Superficiale” sono stato indicato dal produttore come protagonista in lizza per il David di Donatello 2021.

La seconda parte che interpreto è quella del padre di una bambina che viene rapita dal racket della pedo-pornografia. Una poliziotta ladina indaga sul rapimento della bambina e attraverso la conoscenza del ladino la salva dal traffico di minori nel quale era stata indotta. Il film è “Un confine incerto” di Isabella Sandri, anch’esso candidato al David di Donatello 2021.

_DSC6200_353L’identità è al centro delle tue ricerche. Quanti dubbi in più hai in merito alla questione da quando hai iniziato il tuo percorso di attore?

Direi molti. Il mio primo spettacolo indagava la mia identità in quanto altoatesino, mettendo in scena la vicenda di un disertore che non voleva né partecipare alla guerra né allo stato democratico. Sono partito dalla mia identità personale legata alla mia provenienza.

Con gli spettacoli successivi ho tentato di sviluppare dei dispositivi performativi.  Con “The Casting”, ad esempio, ho chiesto a degli attori amatoriali di raccontarsi in delle lunghe interviste. Ho prodotto un ritratto scenico di ognuno di loro che ne mostrava la fragilità, l’umanità ovvero la loro forza. Ogni ritratto di una persona era tale perché legato ad un luogo specifico e a un momento preciso. Essendo fluida, l’identità non si può definire, ma si può catturarne un’istantanea mentre essa continua ad evolvere. È proprio così che mentre facevo le interviste, mi è stato detto che di me non veniva rivelato nulla perché mi limitavo a fare le domande, senza che me ne venisse mai posta alcuna. Così, mi sono messo in gioco e ho chiesto a tante persone diverse di mia conoscenza di descrivermi. Mia madre ha raccontato aneddoti, il mio medico ha letto il mio esame del sangue, la mia ex ragazza e i miei amici hanno contribuito con i loro punti di vista, uno sciamano ha raccontato le sue visioni di me e così è nato “i (to be defined)”.

L’identità è frammentata e continua ad essere messa in dubbio. Il lavoro su di essa non finisce mai. Di fatti, ora, nello spettacolo con Jovial, sto cercando di capirla attraverso l’incontro con l’altro.

L’idea che la performance “The Chance to Find Yourself” sia un in fieri tanto quanto la costruzione dell’identità mi porta a chiederti che relazione hai con il non finito.

Nulla è mai finito. Come artista sono sempre interessato al progetto successivo, ma riconosco l’importanza di sapermi fermare per costringermi a portare a compimento quello che ho iniziato. Solo tre cose sono certe: che nasciamo, che cambiamo e che moriamo. Tutto il resto è mutevole e si può catturare attraverso dei Momentaufnahmen, delle istantanee che fermino uno specifico momento che non vediamo quando guardiamo all’evolversi della vita nel suo complesso.

La collaborazione è centrale nella tua pratica artistica. Cosa dà l’altro che l’io non è in grado di darsi da solo?

Non basta l’io a sé stesso, ma serve l’altro perché ti fa vedere ciò che non riuscirai mai a vedere da solo. Il passo successivo al tuo ed io è la comunità, il che apre alla dimensione sociale. Tutte le persone che hanno lavorato su sé stesse cercando di cambiare qualcosa sarebbe bene si incontrassero per cambiare le cose condivise insieme. Oggi è difficile mettere in pratica certi risultati da soli.

Ad esempio, mi è capitato qualche tempo fa di incontrare una donna a Bruxelles, che soffriva di burnout. Quando le ho chiesto che cosa facesse, mi ha detto che non lavorava più, ma che lavorava su sé stessa. Ho capito in quell’occasione che creare troppo, in realtà, distrugge.

 Se è vero che la cultura inizia dalle persone ovvero dalla loro identità, ci dobbiamo chiedere perché arriviamo al punto di avere un burnout o di cadere in depressione. Bisogna sapersi fermare al momento giusto, chiedere aiuto, fare qualcosa per noi stessi che abbiamo poi il desiderio di condividere anche con gli altri. Leggiamo più libri, guardiamo più spesso in alto, osserviamo il cielo, le nuvole, come quando eravamo bambini.

SIM_7492-ModificaOltre all’altro, i tuoi spettacoli raccontano anche di e con la musica. Che ruolo svolge il suono nella tua pratica?

Il suono mi affascina molto perché può esistere senza la parola. È immediato, ti trasmette delle emozioni, ti trasporta in uno spazio dell’immaginazione, apre paesaggi senza dire nulla, non passa attraverso la razionalità, ma più in basso, dalle emozioni, quindi arriva in modo più diretto. Alle volte la musica è responsabile dell’80% di ciò che accade sul palco. La musica è atmosfera e come l’identità è inafferrabile perché non può essere descritta a parole.

Infine, domanda d’obbligo per un costruttore di identità: dove collochi la tua Heimat?

Su questo pianeta mi sento a casa, perciò, spero che saremo in grado di smettere di fargli del male. Mi capita ogni tanto quando sono in cima ad una montagna di avere la sensazione di essere toccato dalla natura, di immergermici con la contemplazione, con le forme delle nuvole che mi attraversano. Mi sento accolto e in grado di continuare a stare qui. È giusto che io possa esserci.

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