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February 23, 2021

Corpo a corpo con la poesia #06: colino

Francesca Fattinger

Non ho parole.
Oppure sì?
Le parole sono vive: accarezzano, pugnalano, calpestano, tendono la mano.
Le parole ci abitano e vivono in noi.
Leggére, oscure, piccanti. Profumate, le parole sono pensieri che formuliamo e aria che respiriamo. (…) 
Anna Saccani e Anna Silvestri / officina 3am

Oggi il sole splende e io sono qui davanti al mio foglio. Guardo il riflesso del sole sulla tenda che si muove delicata, sfiorata dal respiro del vento che sa già di primavera. La tenda è bianca come il mio foglio, è una trama di fili che come parole trasparenti inanellate ballano e si muovono nel vento. Prendo il mio foglio, lo guardo in controluce, lo faccio danzare come la tenda.

Oggi ho deciso che il mio foglio non sarà un A4 qualsiasi; sarà trasparente, sarà fragile, sarà un pezzo di carta da forno. Vai a prenderla anche tu, ritagliala con cura, osservala, accarezzala e appoggiala poi accanto a te. Fra poco ti chiederò di usarla.

Oggi la poesia per me è un colino: un utensile da cucina che, pensandoci bene, si accompagna perfettamente alla carta da forno. Serve per filtrare, per colare il brodo, il caffè, il tè o altro. Questo oggettino freddo tra le mie mani mi serve per ragionare con te di una questione a cui tengo molto. Nella poesia le parole assumono un significato accentuato e più la si pratica più si capisce quanto potere possano avere, se scritte nel posto e tra i silenzi giusti. Ma la poesia è azione e corpo, la poesia abita il nostro mondo, è accanto e dentro di noi, non aleggia lassù e non ci guarda dall’alto al basso. La poesia non deve parlare il cosiddetto “poetichese”, una lingua altra e altisonante, per essere definita poesia: deve attingere alla lingua del proprio tempo, usare tutte le parole, anche quelle più quotidiane, anche quelle più bistrattate o comuni e perché no anche quelle più volgari se serve. Tutte le parole possono essere poetiche, così come tutti gli argomenti possono essere adatti a trasformarsi in pensieri poetici. Ma bisogna sapere prendere il colino in mano e selezionare in modo radicale. Innanzitutto dobbiamo scegliere noi quanto grandi vogliamo siano i fori e poi cominciare a setacciare le parole che ci servono, tenendo chiara in mente una sola regola-guida: meno parole usiamo e meglio è! 
E poi te ne accorgerai, a un certo punto del tuo setacciare, ci sarà una parola con cui il colino si accenderà e tremerà tutto: quella è la parola-scintilla del tuo componimento. 

Oggi mi chiedo: “Ma dove sono le parole?” e Chandra Livia Candiani mi viene in aiuto con un libro meraviglioso, proprio con questo titolo. Tra le pagine, grazie alle domande di Andrea Cirolla, la poetessa racconta dove ha trovato le parole e dove le parole hanno trovato lei, grazie ai bambini e alle bambine che ha incontrato nei suoi seminari di poesia in diverse scuole elementari di Milano. 

Le parole sono come i fucili
Il lancio dei dadi
La campanella che suona
Il passero che canta
Le parole sembrano calamite
Che si respingono
Hui ming, dieci anni, cinese

Hui ming racconta con questi versi cosa siano per lui le parole; si è messo in risonanza con le domande postegli da Chandra e le parole gli sono risuonate dentro: sono diventate suono, magnetismo, ma anche pallottole infuocate. La poetessa sottolinea come il viaggio verso la parola sia un viaggio verso la propria sorgente, verso la propria “casa interiore”. Il poeta afghano Rumi, ricorda Chandra, dice che noi siamo una locanda, una casa per gli ospiti, e che per mettersi in contatto con le parole ed esserne protagonisti attivi bisogna che ci siano delle domande: “è la voglia di comunicare che fa trovare le parole. Ma anche lo scarto, sentire che la poesia è anche musica e magia, che si possono fare dei salti con le parole e fargli fare agli altri. Si può far sorridere o tremare. E soprattutto si può non sapere.”

Oggi voglio chiederti, riprendendo la metafora del colino, di scrivere dal punto di vista dello scarto. Ti chiedo di riprendere il foglio di carta da forno e di stringerlo fra le mani facendolo entrare tutto in un pugno: giocaci e stropiccialo per almeno 15 secondi. Poi lancialo, come se volessi gettarlo lontano da te, non soddisfatta di ciò che hai scritto. Osservalo da lontano nella sua forma tridimensionale. Poi vai a prenderlo e stendilo di nuovo facendolo ritornare alla forma originale, appiattendolo come puoi con le dita. Resteranno impresse le cicatrici e le pieghe di questa vostra lotta: usale come linee guida per la tua scrittura, scrivici sopra, sotto, attraverso. Prova ora a frugarti nelle tasche della giacca, nella borsa, nelle tasche dei pantaloni, raccogli gli scarti della tua giornata e mettiteli davanti agli occhi. Usa questi scarti per scrivere, per dare voce a ciò che resta: uno scontrino, una carta di caramella, la tessera dell’autobus, un centesimo raccolto per strada, forse anche la lista della spesa? Prova a guardarti dal punto di vista dello scarto e dai voce a “quello che resta”.

***

Chandra Livia Candiani, Ma dove sono le parole?, Effigie, 2015
Anna Dalla Via, Anna Saccani e Anna Silvestri – officina 3am, Non ho parole, 2020
Beatrice Alemagna, Le cose che restano, Topipittori, 2019

 Foto e grafica di Angela Onorati

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