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February 15, 2021

Cosa ci insegnano le Alpi. Design, arte, cultura 01: Nicolas Nova

Emanuele Quinz

Vette innevate, ghiacciai eterni, costoni e crepacci sublimi, alpeggi e pascoli inondati di sole, laghi montani, boschi di conifere, prati, vallate, ma anche villaggi, baite e sentieri, dighe e insediamenti agricoli, vigne e frutteti: il paesaggio delle Alpi è un ecosistema unico, un fragile e millenario equilibro tra natura e cultura. Cosa insegnano le Alpi – a chi le attraversa, a chi ci vive e lavora? Ma soprattutto, come influenza questo paesaggio, questo ecosistema, questa cultura il pensiero e la pratica degli artisti e dei designer? 

L’ispirazione di questa indagine – composta di corte interviste – viene da due testi e da una serie di fotografie. Il primo testo è un frammento dell’autobiografia di Enzo Mari (25 modi per piantare un chiodo, 2011), in cui il grande designer descrive la costruzione di un ponte sulle Alpi come un esempio di progettazione comunitaria, radicata nella natura stessa dell’uomo e nel suo rapporto secolare con l’ambiente. Nel secondo testo (Estasi estetica) Ettore Sottsass ricorda le estati nei boschi e nelle montagne della sua nativa Innsbruck. A contatto con il paesaggio alpino, il designer dice di aver imparato “l’estasi estetica”: una sensazione di contatto con ciò che lo circonda, di fusione con il mondo, che ha guidato tutta la sua carriera. E poi, la serie di fotografie delle Dolomiti che Gianni Pettena, architetto radicale e concettuale, ha intitolato La mia scuola di architettura (2011). Le Alpi come scuola di vita, e come scuola dell’arte e del design. Ascoltiamo allora altre voci, altre testimonianze.  

Ogni intervista è composta in due tempi: a una prima serie domande comuni, segue una discussione più specificamente legata ai progetti dei vari partecipanti.

“Die Gebirge sind stumme Meister und machen schweigsame Schüler.”
Johann Wolfgang von Goethe, Wilhelm Meisters Wanderjahre (1821), II, 9

***

Inauguriamo la serie di interviste con Nicolas Nova, professore associato alla Haute-Ecole d’Art et de Design (HEAD – Ginevra)dove insegna antropologia delle culture digitali, etnografia e ricerca sul design. È anche co-fondatore di Near Future Laboratory, un’agenzia internazionale di consulenza coinvolta in progetti di design fiction e innovazione. Vive e lavora a Ginevra, in Svizzera.

nicolas nova 2 I. 

Che relazione hai con le Alpi? 

Una relazione prima di tutto di vicinanza geografica, poiché vivo a Ginevra, che si trova sul bordo nord-occidentale dell’arco alpino e storicamente uno dei punti d’accesso alle sue catene montuose. Ho passato del tempo in queste valli e montagne per sciare e fare escursioni fin dalla mia infanzia, ma penso che l’importanza del legame tra Ginevra e le Alpi abbia rafforzato la mia attrazione per esse. In particolare quando ho scoperto la tradizione storica dei “viaggi nelle Alpi” degli studiosi e intellettuali ginevrini del XVIII secolo, come Pierre Martel, Horace Bénédict de Saussure, ma anche Jean-Jacques Rousseau, e viaggiatori stranieri come Mary Shelley. Tutto questo mi ha portato ad avere un rapporto sia intellettuale che sportivo con le Alpi della “vicina Francia”, spingendomi anche a voler scoprirne le altre regioni, in Svizzera, Italia, Austria, o Slovenia. Le Alpi sono per me un luogo di osservazione, di esplorazione ambientale e culturale e allo stesso tempo di pace e ristoro.

Puoi raccontare una storia, un ricordo personale, una parabola, un aneddoto legato alle Alpi? 

Da bambino, quando avevo circa 10 anni, sono andato in gita scolastica a Chamonix. Due luoghi mi hanno segnato: la ferrovia di Montenvers che sale alla Mer de Glace e l’entrata del tunnel del Monte Bianco. Più che i luoghi e il paesaggio, sono queste due infrastrutture che mi sono rimaste in mente, come se fossi stato affascinato da una sorta di tentativo tecnico di addomesticamento della montagna… e dalle sue conseguenze. Ricordo infatti di di aver provato già allora una sorta di stupore di fronte all’immenso ghiacciaio già in parte attaccato dall’inquinamento e dal traffico incessante che entrava nel tunnel. Tutto questo ha probabilmente forgiato il mio interesse per quelli che chiamo i “tecno-paesaggi”.

Cosa ti hanno insegnato le Alpi? 

Prima di tutto la contemplazione. Durante attività più o meno sportive, dalle passeggiate alle escursioni più impegnative, oppure passando lunghi momenti sugli impianti di risalita, non smetto di guardare. Anche da piccolo, pur viaggiando con la famiglia o con gli amici, passavo molto tempo da solo, di fronte alle montagne. Come studente a Lione, potevo andare nei resort durante il giorno, e da Ginevra, potevo fare escursioni o sciare per andare a vedere una curiosità di qualche tipo, un alibi per la passeggiata, e questo ha certamente forgiato i miei occhi. Anche nei luoghi più lontani e remoti, si trovano oggi dei curiosi miscugli di tracce del passato e fenomeni ultracontemporanei. 

Cosa ci insegnano le Alpi? 

Dal mio punto di vista – e questa è una delle motivazioni che mi spinge a ritornarci regolarmente -  le Alpi sono un osservatorio privilegiato per cogliere il mondo in modo diverso. Nella maggior parte dei casi, le strategie di analisi delle nostre società contemporanee si basano sulla generalizzazione di osservazioni fatte in contesti urbani. Trascorrere del tempo sulle Alpi, in fondo a una vallata della Valle d’Aosta, in un borgo savoiardo o in una cittadina svizzera, permette di osservare ogni sorta di sfumature, di continuità e di continuità… e andare oltre i punti di vista sui luoghi che sono “in ritardo” o “in anticipo” sui tempi. Osservare i modi di vivere, i fenomeni culturali, l’architettura o il paesaggio significa cogliere la ricchezza di un mondo affascinante e complesso, che apre la nostra immaginazione alla diversità dei modi di vivere sul pianeta. nicolas nova 1II. 

Da anni stai lavorando a un ambizioso progetto di Antropologia delle Alpi. Cosa ti ha spinto a lanciare questa indagine? 

L’idea è nata quando, per prepararmi alla naturalizzazione svizzera, ho divorato libri sulla cultura locale. Ho scoperto, come dicevo, i racconti singolari di questa serie di scienziati e intellettuali ginevrini e svizzeri che hanno viaggiato attraverso le Alpi per scoprire i fenomeni geologici, o per analizzare la fauna, o per descrivere culture e insediamenti umane. Ho passato i miei fine settimana a leggere questi racconti, e mi sono detto che sarebbe interessante far rivivere questa tradizione oggi, ma prendendo in conto le condizioni e le incognite del tempo contemporaneo: il ruolo delle tecnologie, la crisi ecologica, il degrado ambientale.

Vedi qualche dimensione legata al design che attraversa le Alpi – i sintomi di un “modo alpino” di progettare? 

Mi sembra che oggi ci sia molto interesse per le filiere cortequindi per i materiali e le competenze locali. Questo sta portando, per esempio, a una rivalutazione dei modi in cui il legno e la pietra sono usati nell’architettura e nel design del prodotto. Si afferma, dal punto di vista formale, una sorta di minimalismo basato sulla semplicità della creazione, mentre si esplorano tecniche nuove per minimizzare l’impronta di carbonio, anche in connessione con una tradizione più germanica. Ma, del resto, questo fenomeno non è osservabile anche altrove?

In ogni caso, sono affascinato dalla molteplicità degli aspetti comuni che legano le diverse regioni dei paesi alpini: oggetti, cibi, forme, estetiche vernacolari o contemporanee, che sono più legate a una serie di condizioni comuni del luogo che a una strategia culturale…  spesso le persone che usano tali cose pensano che esse appartengano esclusivamente alla loro cultura. La lavorazione del legno, soprattutto sulle maschere, gli utensili da cucina, l’architettura più o meno minimale ne sono un buon esempio. C’è molto spazio per rielaborare in modo contemporaneo questi oggetti della tradizione. In particolare, sento che il movimento delle tiny houses sta crescendo e questo mi affascina.

Come è nato il progetto CHAMOUNY RPG: un gioco di ruolo per sperimentare l’adattamento alla crisi ambientale? 

Il progetto è nato da una doppia motivazione. Prima di tutto, il mio interesse per i giochi di ruolo da tavolo e i manuali di gioco come formato singolare per la restituzione di un’indagine etnografica di terreno. Questa è un’idea che mi aveva colpito già vent’anni fa, nelle mie lezioni di antropologia: i manuali di istruzioni e i libri che descrivono gli universi dei giochi di ruolo hanno una forma descrittiva affascinante. Una seconda motivazione viene dal mio lavoro sulla nozione di design fiction, cioè la creazione di artefatti che mettono in scena scenari sul futuro. Con un manuale di gioco di ruolo, c’è la possibilità di “fare giocare” i partecipanti alla produzione di scenari sul loro futuro, in modo aperto, senza una volontà di prescrivere questa o quella traiettoria. Mi è sembrato che prendere la cittadina di Chamonix, alle pendici del Monte Bianco, tra Italia, Svizzera e Francia – un posto che ho esplorato per diversi anni per la mia indagine di Antropologia delle Alpi – sarebbe stato un buon modo per sperimentare e testare queste idee.

Comunque, a forza di sorvegliare le Alpi, per il mio lavoro sul campo ma anche per piacere, credo che l’ambiente alpino abbia influenzato anche il mio modo di pensare, come antropologo, o quando creo degli oggetti o progetti come questo gioco di ruolo. Soprattutto sull’importanza di costruire delle “arti di osservazione” come dice Anna Tsing[1]. Osservare le Alpi non è solo prestare attenzione ai paesaggi, agli animali o ai grandi spazi aperti, significa anche cogliere tutto ciò che fa di questi luoghi “un mondo” attraversato da oggetti tecnici, infrastrutture, varie forme di inquinamento, e capire come questo produce un’estetica dell’ecologia “oscura”, per usare l’espressione di Timothy Morton[2]

Le mie peregrinazioni alpine mi hanno anche fatto capire che non c’è bisogno di andare in Amazzonia per capire che la separazione tra natura e cultura, che oggi viene messa in discussione dalla filosofia, è artificiale nelle culture alpine. Che si tratti dei racconti che ho letto o ascoltato nei villaggi, delle feste delle stagioni, ma anche della letteratura del XX secolo (penso a Charles-Ferdinand Ramuz) o del vocabolario del patoisalpino, ci si rende conto dell’importanza giocata da tutti questi non-umani che sono i ghiacciai, la neve, i torrenti, creature ibride di cani e lupi ma anche orsi o lepri. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tutto questo microcosmo non è lontano nel tempo e nello spazio, e popolerà la nostra immaginazione per molto tempo a venire.

nicolas nova 3***

nicolasnova.net

Nova, N.& Disnovation (2021). A Bestiary of the Anthropocene, Eindhoven: Onomatopee.
Nova, N. (2020). Smartphones. Une enquête anthropologique, Genève: Métis presses.
Nova, N. (2014).Beyond Design Ethnography: How Designers Practice Ethnographic Research, SHS Publishing, Berlin.


[1] Cf. Anna Tsing, The Mushroom at the End of the World: On the Possibility of Life in Capitalist Ruins, Princeton Univ Press, 2017; Arts of Living on a Damaged Planet: Ghosts and Monsters of the Anthropocene, Univ of Minnesota Press, 2017. 
[2] Timothy Morton, Dark Ecology: For a Logic of Future Coexistence, Columbia Univ Press, 2016. 

Foto Nicolas Nova
Graphic design Studio Babai

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