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February 8, 2021

Corpo a corpo con la poesia #05: rullino

Francesca Fattinger

La poesia è tagliare. Noi non ce ne accorgiamo, ma tante operazioni della vita si fanno con i bisturi. Perfino gli occhi sono un bisturi. Apri e chiudi. Una macchina fotografica è un bisturi, uno scatto e hai tagliato un pezzo di realtà da conservare. Anche la morte è un bisturi, fa il taglio estremo, irrimediabile.
[…] Quando facciamo una passeggiata abbiamo compiuto un’operazione chirurgica. La sera mettiamo la testa sul cuscino e tutta la giornata vola via. Anche il sonno è un bisturi.
Franco Arminio, La cura dello sguardo

Oggi fuori piove, piove incessantemente, e io sono qui con il mio rullino in mano: lo ruoto su se stesso, lo osservo, ci gioco. È un oggetto magico e senza tante spiegazioni, proprio per questa sua magia intrinseca, funziona benissimo come metafora della poesia. 
Da qualche anno ho cominciato a scattare fotografie in analogico e poi a svilupparle, quando riesco io stessa, nella camera oscura. 
E allora le parole di Franco Arminio, sulla poesia equiparabile alla fotografia, come taglio della realtà, come bisturi incastrato tra le palpebre, risuona forte in me. La poesia ha a che fare con quest’operazione sempre così complessa, nella vita come nella scrittura, che è la selezione, il dire di no a qualcosa per accogliere qualcos’altro. Con l’analogico questa selezione diventa ancora più complessa: forse oggi come oggi è solo davanti a una macchina fotografica analogica che possiamo allenare la nostra capacità di scelta, di taglio, di inquadratura. Dobbiamo prima guardare bene, muoverci, accovacciarci, sdraiarci, muovere il nostro sguardo per scegliere, e dopo, solo dopo, scattare. La poesia funziona con lo stesso meccanismo: è dal movimento del corpo, dallo sguardo, dal com-muoversi che ha inizio e poi richiede un’operazione chirurgica per ricucirsi, intessendo parole e spazi, silenzi e suoni.

Il rullino che ho tra le mani raccoglie foto che ho scattato negli ultimi due anni. Mi sembra di vederlo trasformarsi in un imbuto che mescola il mio passato con il mio futuro con un pizzico del mio presente, per poi riversare questa pozione indistinta, fatta di luce e sguardi, sulla carta fotografica, nel buio denso e silenzioso della camera oscura. 
Qui dentro, in questo oggetto strano e freddo, ci sono io: l’io di due anni fa che scatta la fotografia o si fa ritrarre; l’io di oggi che si domanda che segreti nasconde; l’io di domani che svilupperà e stamperà le foto e che si troverà davanti a se stessa, sconosciuta o gemella diversa. Ed è proprio il momento dello sviluppo e della stampa in camera oscura che immagino come il momento in cui, presa la penna o la tastiera in mano, si scrive la poesia. Quel momento ha la stessa densità, lo stesso tempo sospeso, rallentato, quasi fermo; ha lo stesso sapore di rifugio, nascondiglio e isolamento; ha lo stesso profumo di tempi mescolati, rimestati e poi congelati insieme.

Accanto al mio rullino ho con me uno degli albi illustrati che più mi hanno colpito negli ultimi anni, è un silent book, un libro apparentemente senza parole: “Chiuso per ferie” di Maja Celija. 
L’editore nella prima pagina ci avverte così:

Confidando nell’acume dei suoi piccoli lettori, l’autrice non ha ritenuto necessario tradurre in parole questa storia, affidata solo al potere delle immagini. Nel caso i genitori dei lettori incontrino difficoltà di comprensione, suggerisce senz’altro ai bambini di raccontare loro, pagina per pagina, i fatti straordinari che vi accadono.

E questo spiega, perché vi ho detto che “apparentemente” non ci sono parole: le voci o anche i suoni li potete aggiungere voi, nella vostra testa o a voce sussurata, alta, altissima. Tra le pagine di questo piccolo albo quadrato, succede qualcosa di magico. Tutto comincia dalla copertina, perché lì a guardarci dritta negli occhi, c’è una porta con tanto di serratura. Ma dai, mi dirai, cosa ci può essere di tanto magico, dietro a una semplice porta? È una cosa da tutti i giorni, anzi tu di porte ne vedi centinaia ogni giorno. In effetti anche dietro questa porta si cela una storia piuttosto comune: una famiglia in partenza con tanto di valige, valigione e valigette per chissà quale meta di vacanza. Ma è nelle cose più semplici e ordinarie che si nasconde la poesia, dico bene?
E infatti il bello comincia proprio nelle pagine successive, perché nel silenzio assoluto della casa a un certo punto dalle fotografie in bianco e nero sulla cassettiera… escono i protagonisti ritratti! E così la casa e gli oggetti al suo interno si trasformano: la nonna, il nonno, il bisnonno, la zia, il prozio, il cagnolino sono minuscoli e dopo essere saltati giù dalla cassettiera si divertono con ciliegie che si trasformano in palloni da pallavolo, mestoli in remi per gare di canottaggio nel lavandino, il forno in solarium e tanto altro ancora.
È tutto un gioco di dettagli, di inquadrature e di nuovi punti di vista, dal basso in su, che risignificano il mondo e lo trasformano ad ogni pagina. 
Quando la famiglia ritorna dalla vacanza, i piccoli protagonisti delle foto devono correre a rimettersi nelle proprie cornici. L’unico che capisce che è successo qualcosa di strano in loro assenza è il bambino, che indica alla mamma un suo gioco fuori posto.

Dentro le fotografie c’è un mondo silenzioso in attesa di parlare… e forse è proprio uno sguardo “bambino”, quello che si accorge dei dettagli più nascosti, che può aiutarci nell’esperimento di scrittura che vi propongo oggi.
Innanzitutto cerca una foto. Concediti il tempo per sbirciare in album lasciati a impolverarsi sugli scaffali o rinchiusi in scatole segrete nascoste in soffitta. Può essere una tua foto di tanti anni fa o la foto di qualcuno o qualcuna a te caro o cara, una nonna, uno zio, tuo papà, tua mamma, un amico di famiglia, o uno strano tipo fotografato per sbaglio o ancora una foto comprata a un mercatino qualche tempo fa.
Appena sei sicura della tua scelta osserva attentamente la foto in ogni suo dettaglio, mettiti nei panni di chi ha scattato la foto, e poi guarda la persona ritratta dritta negli occhi per qualche secondo.
Immagina ora che chi ti parli, ti dia dei consigli per il futuro, se sarai tu o qualcuno a te molto vicino a parlarti, ricordati che sta comunque parlando con una sconosciuta del futuro. Scrivi quindi un elenco di consigli che qualcuno del passato rivolge alla “te” del futuro. Quando hai finito ripiega il foglio su se stesso e nascondilo in una bottiglia, magari può essere una bella idea brindare all’incontro del passato con il futuro e usare la bottiglia vuota, o in una una scatola o  in una busta. Si trasformeranno in una “capsula del tempo”.
Trova un luogo sicuro in cui conservarla e scrivici sopra la data, l’ora e il luogo in cui hai scritto il tuo messaggio per il futuro, e la data, l’ora e il luogo della riapertura e consegna del messaggio alla te stessa del futuro. Puoi scegliere tu senza problemi quando preferisci, ma che dici se ci ritroviamo tutte insieme fra 5 anni: il 9 febbraio 2026? 

Canta come un gallo,
finché non svegli il sole.
Danza con le foglie.
Vai come una strada.
Apri le braccia come un pino.
Ignora te stesso
e fatti venire i nervi.
Rimbalza come una goccia di pioggia.
Guarda sotto il letto se c’è della poesia.

***

Franco Arminio, La cura dello sguardo, Bompiani, 2020
Maja Celija, Chiuso per ferie, I minitopi, Topipittori, 2020
Ruth Krauss e Sergio Ruzzier, Guarda sotto il letto se c’è della poesia, Topipittori, 2020

Foto e grafica di Angela Onorati

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