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January 15, 2021

Manaròt: rivista di parol-asce letterarie atesine

Allegra Baggio Corradi

Manaròt, una nuova rivista letteraria atesina fondata da Davide Gritti e Nicolò Tabarelli, farà il suo esordio oggi, 15 gennaio 2021. Nel giorno del suo lancio, percorriamo il sentiero aperto a colpi di ascia dagli orsi e dagli ermellini atesini che hanno contaminato la loro purezza popolando uno spazio cartaceo di conflitto e confronto. Facciamo letteratura, purifichiamoci. Facciamo letteratura, sporchiamoci di mondo. Leggiamo Manaròt: dentro c’è tutta la valle dell’Adige.

Ascia

Manaròt significa ‘ascia’ in dialetto trentino. Uno strumento di rottura, un utensile familiare tanto al falegname quanto al militante. Attrezzo letterale e letterario al contempo, l’ascia agisce come la parola, spaccando, sezionando, riducendo in parti più piccole un tutto complesso e multistrato. Manaròt fa proprio questo: sminuzza a colpi di parol-asce la terra di confine che si sviluppa lungo il corso dell’Adige, dalla Val Monastero nel Catone dei Grigioni svizzero fino al Delta del Po veneto. Uno spartiacque tra mondo latino e germanico, tra Adriatico e Mar Nero, Europa e Medio Oriente che in quanto crogiolo di criticità e creatività necessita di essere fatto a pezzi per essere compreso in tutte le sue parti.

Manaròt non desidera posizionare sulla mappa una nuova scena letteraria o esercitare uno sterile esotismo, ma mettere a disposizione uno spazio perché le lingue, i generi e gli stili che vivono lungo l’asse portante dell’Adige possano contaminarsi, fondersi e confondersi in una narrazione continua, enfatizzata dallo scorrere ininterrotto della parola sulla pagina, priva di pause, impermeabile agli spazi bianchi.  

Per questo esordisce con un lascito. Nachlass, il titolo del primo volume, evoca le raccolte di diari, manoscritti, appunti e lettere che sopravvivono alla morte di un autore, spesso non vedendo mai la luce, morendo ancora prima di nascere. Strappate dalle alternative dell’oblio e dell’ombelicità le storie brevi del primo numero di Manaròt. Le parole dei due fondatori della rivista, Davide Gritti e Nicolò Tabarelli, di Flavio Pintarelli, di Daria De Pascale, Maddalena Fingerle, Riccardo Micheloni e Alessandro Monaci. I sette autori sono venuti al mondo tutti tra il 1983 e il 1995: due sono nati in Alto Adige; uno in Trentino; quattro hanno vissuto a Trento; uno vive in Alto Adige; due in Trentino; uno in Germania; tre in Italia; due hanno già pubblicato in Italia e uno sta per pubblicare il suo esordio assoluto. 

Oltre alla parola, l’immagine che, nel contesto di Manaròt, rappresenta la fuga. Le lastre fotografiche della serie Trento Notturna, tratte dagli archivi della Fondazione Museo Storico Trentino, mostrano un capoluogo trasfigurato da architetture luminose effimere, realizzate in occasione della prima visita dei sovrani italiani in Tirolo nel 1921. Rielaborate dall’artista israeliana Michal Zemel con la tecnica del creative coding, le immagini offrono una diversione dalla narrazione continua, un’escapade onirica in una città irriconoscibilmente familiare.

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Ermellino

L’ermellino è purezza. Fare letteratura significa purificarsi. 

“Aspettate, cosa? Voi volete fare una rivista letteraria? Sulla valle dell’Adige? Siete sicuri? Avete tendenze suicide?” Questa la reazione alla proposta di Davide Gritti e Nicolò Tabarelli di fondare Manaròt. Comprensibile date le sabbie mobili dell’editoria italiana contemporanea, ma non abbastanza per impedire all’ascia di puntare dritto alla giugulare degli ermellini atesini.

Perché gli ermellini? Perché sono animali che tengono tanto alla loro purezza da non volersi sporcare mai, opponendosi con la forza, se necessario, al loro imbrattamento. Gli ermellini che Manaròt predilige sono quelli che hanno fatto della penna la loro arma di difesa, tenendo i loro pensieri al sicuro, non pubblicandoli mai.

Per restituire fedelmente la purezza della letteratura ermellinica, Manaròt consiste in un’unica colonna che scorre attraverso l’intero volume, stringendosi e allargandosi secondo la cadenza della narrazione. Nessuna grafica ad interrompere il flusso, non un’intrusione, non un pleonasmo. Letteratura in purezza. Parole sbattute in faccia.

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Orso

L’orso è contaminazione. Fare letteratura significa sporcarsi di mondo.

“Sappiamo che scrivi! Abbi il coraggio di pubblicare, di comunicare ad altri ciò che hai da dire, ciò di cui ti vergogni, ciò che ancora non hai condiviso con nessuno.” L’ascia puntata contro il genius loci, i colpi del manaròt che spezzano le insicurezze degli orsi atesini che non sanno di scrivere o non vogliono ammettere di poterlo fare. 

“Ma, io non sono un vincente”. “Ma, io non riesco a smettere di spingere senza sosta il fidget spinner digitale di Google, premendo il trackpad di un MacBook Pro ornato da un adesivo seriale MATERIALE DELL’UNIVERSITÀ DI TRENTO N. 13428. Figuriamoci se posso scrivere storie.” “Ma, io anche se pranzo con quel che trovo nel frigorifero, senza pretese, non sarei in grado di comporre satura lanx.” “Ma, io ho la testa deformata da una rissa che ho avuto in gioventù con dei militari di Lotta Continua, quindi, le mie idee sono alquanto confuse”. “Ma, io me la faccio con tipi del tipo Enrico De Angelis dei Los Fastidios e quelli di Birra Oi! E divertimento, per intenderci, figurarsi se scrivo l-e-t-t-e-r-a-t-u-r-a”. “Ma, io do le spalle ai religiosi che mi passano di fianco, pensa tu se mi genufletto al cospetto della Parola.” Orsi che giocano a nascondino.

Perché gli orsi? Perché sono animali che non temono nulla e nessuno, temerari corsari del conflitto, protettori della loro tana, cacciatori dell’intenzionalità vitale, sciamani delle erbe medicinali, ruggenti trasformisti, calamite per i Poli.

Per restituire fedelmente la contaminazione della letteratura orsolina, Manaròt ospita un’ampia varietà di linguaggi e stili per registrare l’ampio spettro del parlar atesino, per presentare la rivista come speranza di vita e di voce, per dare una casa di carta a ciò che sarebbe esistito, forse solo per un istante, in digitale.

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Scontri e confronti

Servivano due foresti perché le lettere e gli scartafacci di ermellini e orsi che vivono lungo il corso dell’Adige venissero chiamati ‘letteratura’? L’ascia si sporca meglio del gomitolo? Il manaròt sta all’intreccio come la manèla sta al garbuglio? Il confronto dell’ermellino con il mondo rafforza il suo desiderio di purezza oppure riesce ad essere catartico? L’orso vuole davvero continuare ad evitare di scontrarsi con il mondo per la paura che questo si possa impaurire? Leggete Manaròt per porvi anche voi delle domande. Ermellini od orsi che siate.

 

Photo Credits @ Manaròt

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