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December 29, 2020

Corpo a corpo con la poesia #02: trottola

Francesca Fattinger

You are here every day.
There.
Everywhere.
Sometimes so far away.

At other times so close.
(…) There are moments when I shape you.
And moments when you create frontiers I could not have imagined.
When I lay down you disappear.
So I go in search.
Or I wait.
Here you are again.
(…) Are you inside me, too?

Oggi il cielo è pieno di neve, lo sono gli occhi, la pelle, il naso, la bocca, tutto pieno di quel bianco immenso, potente, rigenerante. E penso che sia perfetto tutto questo per parlare di poesia e in particolare di poesia come movimento. Perché, secondo me, la poesia è movimento fin dalla sua origine più intima, in quella che Chandra Livia Candiani definisce “la frescura al centro del petto”, traducendo una poesia del poeta Giallâl ad-Dîn Rûmi, nato nel 1207 nell’attuale Afghanistan, e morto in Turchia, dove è venerato come un santo e maestro mistico. Il poeta parla di due tipi di intelligenze, di “due quadernetti”, uno dei quali è “una sorgente che straripa dal suo alveo. Una frescura al centro del petto. Quest’altra intelligenza non ingiallisce e non ristagna. È fluida, e il suo movimento non è da fuori a dentro attraverso le condutture di un sapere idraulico. Questo sapere è una fonte che da dentro di te va verso l’esterno”. 

La poesia è movimento, perché è dal movimento che nasce, perché è dal corpo, dal nostro corpo, dal nostro sentirci che ha origine; è dal nostro essere consapevoli di avere un corpo e di muoverlo che ha vita. Penso alla poesia come a una trottola. Solo a guardarla, anche se non sapessimo che si muove, capiremmo che c’è qualcosa che in lei è fatto per muoversi, per non stare dritta, ma per trovare compiutezza nell’oscillare e nel tessere fili di danza nello e dello spazio. Così quando guardo una poesia, io vedo i versi, le parole, le lettere come presenze corporee, ognuno con una propria posa nello spazio del foglio: mi sembra una bella fotografia, in cui lo sguardo della poeta scatta la foto e urla a gran voce alle lettere: “ferme adesso, fate le brave, uno due tre, IN POSA!”.

E così tenendo in mano una trottolina di legno, accarezzandola nelle sue fenditure, mi rivela tanto di quello che vorrei raccontarvi essere la natura originariamente corporea e motoria della pratica poetica: una pratica di riscoperta del corpo attraverso il movimento della scrittura.

Provate a chiudere gli occhi e a immaginare una poeta intenta a scrivere una poesia. Scommetto che la state pensando seduta su una sedia, china sul foglio, anche un po’ gobba e intristita e magari in una stanza buia con una luce fioca fioca. Beh io invece voglio pensarla a caccia di fiocchi di neve che danza in mezzo alla strada, con occhi spalancati e con la pelle espansa a catturare la pelle del mondo.

Ogni passeggiata è piena di incontri, di cose che meritano d’esser viste, sentite. Di figure di poesie viventi, di oggetti attraenti, di bellezze naturali brulica letteralmente, per solito ogni passeggiata, sia pure breve. La conoscenza della natura e del paese si schiude piena di deliziose lusinghe ai sensi e agli sguardi dell’attento passeggiatore, che beninteso deve andare in giro ad occhi non già abbassati, ma al contrario ben aperti e limpidi, se desidera che sorga in lui il nel sentimento, l’idea altra e nobile del passeggiare.

Robert Walser racconta benissimo che cosa intendo per poesia come movimento, perché la poesia nasce molto prima di prendere la matita, la penna o la tastiera tra le dita. Inizia quando ci muoviamo, quando siamo per strada a camminare o quando siamo in treno e lo spettacolo del paesaggio naturale e umano si presenta dinamico ai nostri occhi attenti. E poi quando arriva la cosiddetta ispirazione ci mettiamo fermi a scrivere, ma siamo fermi davvero? Pensate che balletto concitato fanno le nostre dita, le nostri mani, i nostri polsi, quando arriva quell’idea lì e dobbiamo scriverla, se no è un attimo e l’abbiam persa. Provate a staccare gli occhi per un secondo dall’articolo e a scrivere una parola nell’aria, fatelo più volte con velocità diverse, velocissimi e lentissimi e a tutte le velocità nel mezzo, finché non siete stufe e sentite che non avete più nulla da imparare: allora cosa mi dite, la scrittura non è danza?

In cima all’articolo vi cito alcuni versi di un libro meraviglioso che mi ha scosso, mi ha buttato giù dalle mie certezze, in cui lo ammetto me ne stavo comoda e accoccolata. E mi ha posto di fronte a una domanda fondamentale, che ne contiene tante altre che sgorgano come sorgenti zampillanti: esiste l’orizzonte? E se esiste dove si trova? Dove finisce lui e dove inizi tu?

La protagonista va alla ricerca dell’orizzonte, e lo trova qui, lì, su, giù, lo trova dappertutto: è ricamato dalle montagne, dai grattacieli, dalla finestra della sua casa, dal quadro in un museo, dalle teste delle persone davanti a lei. Ma poi si sdraia e succede qualcosa di strano, di magico, un po’ pazzo e un po’ mistico, perché l’orizzonte sparisce. È stesa a terra su un prato che mi immagino di fiori rossi profumati e morbidi e alza lo sguardo verso un cielo blu intenso quasi nero pieno di occhietti luminosi e… l’orizzonte d’un tratto non c’è più. Così curiosa lei l’orizzonte lo va a cercare dappertutto, come può essere sparito? Era qui con lei fino a un attimo fa! Ma basta un secondo e lo ritrova, di qui, di là, di su, di giù: è dappertutto. E poi d’un tratto l’orizzonte infinito del mare davanti a lei e uno specchio in cui c’è qualcosa di ancora più infinito, intricato, complesso da guardare, un orizzonte che ci dimentichiamo di avere, il nostro orizzonte, quello incastrato nei nostri occhi, che poi alla fine non siamo altro che noi stessi.

Ed ecco il momento della piccola attività che vi propongo. E per farlo scomodo un pensatore, uno scienziato, nato in Russia nel 1904 ed emigrato a 13 anni in Palestina. Si tratta di Moshé Feldenkrais che si laureò in ingegneria e ottenne il dottorato in fisica, fondò il primo Judo club di Francia e quando un incidente al ginocchio si aggravò cominciò un processo rieducativo dei suoi movimenti abituali e attraverso la sua autoeducazione creò il metodo che poi insegnò ad altri nei settori della riabilitazione e dello spettacolo. Si chiama metodo Feldenkrais, che nelle sue espressioni di gruppo e individuale, è orientato a migliorare la funzione del sistema neuro-motorio in schemi di azioni più efficienti. Un mondo estremamente affascinante che sto scoprendo in prima persona grazie a Francesca Bullo, la mia insegnante di questo metodo a Bolzano. 

Non so come sei disposta ora nello spazio, se sei seduta o in piedi, stai camminando o correndo per andare chissà dove, ma io ti chiedo di fermarti. Stai in piedi, molleggia un po’ sui piedi, e girati prima verso destra e poi verso sinistra, molto lentamente. Stando attenta a dove arriva il tuo sguardo. Adesso ti chiedo di sdraiarti sulla schiena e di chiudere le palpebre, girando di nuovo la testa, ma questa volta da sdraiata, prima a destra e poi a sinistra e viceversa. Adesso prova a tenere la testa ferma e a muovere solo gli occhi a destra, a sinistra e viceversa, per alcune volte. Il movimento è minimo, mi raccomando, deve essere tutto molto fluido e piacevole. Adesso apri gli occhi e nota se partecipano al movimento della testa, prima a destra e poi a sinistra, e viceversa. Lascia di nuovo ferma la testa e muovi solo gli occhi. Adesso gira la testa a destra lasciando partecipare anche gli occhi e fai lo stesso a sinistra. Il movimento sembra migliorato rispetto all’inizio?

Adesso prova lentamente ad alzarti e a rifare il movimento stando in piedi, con i piedi ben radicati a terra (dondola prima un po’ su un piede e sull’altro). Il tuo sguardo è cambiato? Dov’è finito il tuo orizzonte?

Prova a prendere un foglio e disegna il cambiamento del tuo orizzonte con un’unica linea continua e poi riempi la pagina seguendo i confini del tuo sguardo con le parole che sgorgano dopo questa piccola esperienza di movimento. Ricorda sempre di lasciare riposare le tue parole e di riguardarle tra un po’ di giorni. Ricorda: non c’è un giusto e uno sbagliato, c’è solo quello che senti tu! Se hai voglia di ripetere questo piccolo esperimento, fai una collezione di orizzonti e attacca i fogli uno accanto all’altro: una collezione di sguardi e orizzonti incorporati nello spazio del corpo e del foglio.

 

***

Carolina Celas, Beyond the horizon, Little Gestalten, 2020
Robert Walser, La passeggiata, in Keri Smith, The Wander Society. La rivoluzione creativa della vita quotidiana, Edizioni Corraini, 2017
Chandra Livia Candiani, Ma dove sono le parole?, Effigie, 2015
Mara Della Pergola, Lo sguardo in movimento. Arte, trasformazione e metodo Feldenkrais, Casa Editrice Astrolabio, 2017 

Foto e grafica di Angela Onorati

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