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December 21, 2020

Reset. Lo sguardo di Tiberio Sorvillo per Academia Magazine

Francesca Fattinger

“Al momento di andare in stampa, siamo di nuovo a un punto morto. Una nuova ripartenza, con nuovi presupposti, sembra ancora più urgente ma, allo stesso tempo, è ancora più difficile per molti di noi, rispetto al primo lockdown, allontanare i sentimenti di scoraggiamento e immaginare un futuro migliore. Speriamo che questa nuova edizione di Academia ci possa aiutare a farlo.”

Sigrid Hechensteiner e Vicky Rabensteiner (capo redattrice e vice capo redattrice di Academia Magazine)

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Resettare v. tr. [dall’ingl. (to) reset «riportare allo stato iniziale, azzerare»]  
1. Riportare un sistema di elaborazione allo stato iniziale, riavviare: per correggere un errore abbiamo dovuto resettare il computer (…)
2. estens., fam. Riportare alla condizione di partenza, annullare completamente: r. una brutta situazione per ristabilire un clima adatto alla collaborazione.

Mi viene in aiuto la Treccani. Lo voglio così tanto premere il tasto RESET. Premiamolo insieme, facciamolo con forza, lo vogliamo tutti, siamo stufi, siamo scoraggiati. Vogliamo ricominciare, resettare. Lo volevamo quest’estate dopo il primo lockdown e lo vogliamo ancora e forse più forte di prima.Bolzano, Covid-19, Italy, Lockdown, Hospital,

Ho tra le mani il numero 82 di Academia il magazine di unibz & eurac research, dedicata interamente alle strade innovative proposte dai ricercatori delle due istituzioni altoatesine per uscire dalla crisi nella quale ci troviamo attualmente: designer, climatologi, gruppi di ricercatori di Fisica e tecnica ambientale e di Termo-Fluido-Dinamica affrontano altrettanti temi per immaginare soluzioni percorribili e porre l’accento sulle crepe che questa crisi ha creato o reso più evidenti. 

Ne fa da contrappunto visivo il progetto fotografico di Tiberio Sorvillo. Nella primavera del 2020 è stato contattato dalla redazione di Academia per fotografare il cambiamento, per documentare la situazione emergenziale: la città congelata, bloccata, alienata, ma anche l’apertura di nuovi spazi di azione e creatività e di tempo rallentato e allungato, per ripensare e ripensarsi. È con lui che ho chiacchierato per scoprire un po’ di più del dietro le quinte, del suo percorso di ricerca e delle domande che l’hanno mosso. 

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In effetti, come sottolineano Sigrid Hechensteiner e Vicky Rabensteiner:“dopo tutto la pandemia è stata alimentata dalla eccessiva presenza dell’uomo in molte aree: i suoi effetti hanno dimostrato drasticamente quanto il nostro sistema fosse e sia fragile in alcuni punti cruciali.”

Tiberio già prima dell’incarico aveva cominciato a sentire l’urgenza di documentare, di fotografare la città, i suoi abitanti, i suoi spazi, in quel momento che così radicalmente ha cambiato la vita di tutti e tutte. È successo a tanti di voler conservare traccia del cambiamento, c’è chi ha scritto, chi ha fotografato, chi ha cantato, chi ha prodotto, per lasciare memoria del momento. 

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Tiberio ha colto l’occasione del maggior tempo concesso dal lockdown, come occasione di lentezza e libertà per cogliere la quotidianità nel suo cambiamento. Ne sono nate 400 immagini, tra le quali sono state selezionate quelle che trovate nella rivista e che in parte sono anche qui a fare da contrappunto alle mie parole. 

All’inizio di questa primavera, dicevamo, Tiberio ha preso la sua macchina fotografica ed è andato in giro per la città. La sensazione che emerge è una spettrale sensazione di isolamento, di tempo congelato, ma anche di nuovi spazi d’azione. 
I suoi scatti rappresentano un osservatorio distaccato, apparentemente non emozionale, che mostra però le cose così come sono state. Straniante è stato per lui, in un momento in cui dovevamo stare distanti, avvicinarsi alle persone per chiedere di poterle fotografare e dovere tenere una certa distanza per farlo. Si sente la distanza nelle sue foto, si sente anche però un doveroso passo indietro, per raggiungere una nuova e diversa prospettiva, magari più ampia di quella di prima? 

Una giornata di maggio gli è rimasta particolarmente impressa nella memoria, quella in cui ha avuto il permesso di entrare nel reparto COVID dell’ospedale di Bolzano, per fotografare chi ha subito più di tutti questo momento drammatico, chi ha visto la propria vita rovesciata come un calzino, con nuove regole, nuove paure, nuove misure di sicurezza. Così ha fotografato gli spazi del reparto, le attrezzature e i dottori e le dottoresse protette dai loro moderni scafandri.

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E questo mentre il toro e l’orso, simboli del mercato azionario, osservano le bancarelle chiuse e abbandonate del mercato di Piazza delle Erbe, e i prati del Talvera sono spettacolarmente belli. “Una giornata perfetta nel parco. Cieli azzurri ed erba verde appena tagliata. Cosa c’è di sbagliato in questa immagine?”

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Il cambiamento: è lui il vero protagonista, anche quando lo sguardo di Tiberio cade su i progetti creativi che sono nati in quei mesi. Ne è un esempio la performance di Maximilian Pellizzari White Flag, nella quale l’artista ha sventolato una bandiera bianca ad occhi chiusi per 30 minuti per poi aprirli a bandiera ferma osservando ciò che aveva davanti: un invito ad affrontare ciò che ci si staglia di fronte allo sguardo. Oppure Do Nothing dell’artista William D’Alessandro, l’opera che in quei giorni è diventata virale sui social: una scritta fatta con i resti del disboscamento sul Talvera presso il Ponte Sant’Antonio a Bolzano, il consiglio dell’artista ai passanti durante la chiusura primaverile è proprio questa: non fate niente. 

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L’attenzione cade poi sulle nuove regole, affisse per strade, appese come nuovi comandamenti all’entrata delle chiese e di ogni luogo pubblico; e poi lo sguardo è attratto dalla città e dai suoi spazi, dai suoi oggetti, soprattutto da quelli che hanno perso la loro funzione, è la domanda è: cosa succede quando un oggetto funzionale perde il suo scopo? Cosa succede se una panchina viene totalmente avvolta da nastro adesivo per non permettere a nessuno neanche di immaginare di potersi sedere?

Il suo progetto non finisce qui,  la documentazione continua ancora, ovviamente con tempo e attenzioni diverse, ma prosegue e chissà dove lo porterà. Lo immagino e immagino un po’ tutti noi come il bambino che ha fotografato sul Talvera, alla ricerca di un suo equilibrio, forse con un po’ di paura di cadere, ma con una voglia matta di rialzarsi a ogni caduta per ricominciare e resettare tutto di nuovo.

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Foto di Tiberio Sorvillo per Academia Magazine #82, 12/2020, rivista di unibz & Eurac Research

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