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December 1, 2020

Moreness in December. Giorno uno:
la montagna della (mia) vita

Anna Quinz
Ora che la montagna è sulla bocca di tutti, noi vorremmo riportarla semplicemente negli occhi e nei pensieri, collezionando osservazioni, riflessioni, appunti, annotazioni, che lei stessa ci ha ispirato. Partendo dai contenuti di Moreness, ma non solo, il nostro "more than Advent Calendar" arriva fino al 31 dicembre, e non è dunque né pre-natalizio né celebrativo, ma piuttosto un compendio corale di 31 brevi lettere d'amore per le nostre Dolomiti.

“Seduto su un gradino della piccola scala di pietra, mentre il sole gira lentamente, io guardo la montagna della mia vita, ma lei no non mi guarda, essa è chiusa nei suoi impenetrabili pensieri e nella concavità dei suoi precipitosi grembi le ombre si dilatano e si rattrappiscono lungo gli apicchi, rammentandomi strani incanti della giovinezza perduta”.

Scriveva così nel 1964, il grande Dino Buzzati. Non so quale sia la montagna della sua vita, ma so di certo qual è la montagna della mia. Non è in Alto Adige, strano a dirsi. Ma in un piccolo paese della Carnia, tra Veneto e Friuli. Si chiama Sappada (Plodn, nel particolare dialetto che si parla solo lì) ed è lì che si trovano metà delle mie radici. La montagna che da lassù non mi guarda, è il Monte Siera. Curioso impianto roccioso, dal balcone della nostra casa sappadina ha la forma di una piramide. Ma se dalla nostra borgata si prosegue per un po’ verso sinistra, lungo le vecchie case in legno che puntellano il paese vecchio, le sue sembianze cambiano passo dopo passo, fino a culminare nelle guglie argentee e appuntite che si lasciano ammirare da Cima Sappada, ultima propaggine del mio amato borgo. È questo il profilo migliore del Siera. Ed è qui che assomiglia spaventosamente – ecco che torna Buzzati – a un ritratto che lo scrittore fece un giorno al Duomo di Milano, vestito però di roccia dolomitica. Io di certo non ne osservo le gole e i ghiaioni seduta su un gradino di pietra. Sono molto meno ardita di Buzzati, io. Non scalo, non arrampico, non mi inerpico. Non arrivo mai a toccarla davvero, la montagna. Eppure, proprio da questo punto a me così caro, sui prati silenziosi di Cima, con gli occhi buttati su verso il Siera, non posso certo dire che tutta questa bellezza non mi appartenga. Né tantomeno che io non appartenga a lei.

Sono nata in città, eppure le terre alte sono sempre state la mia terra. La montagna, la mia montagna – della quale il Siera è l’archetipo personale – è prima di tutto un rapimento visivo, poi una nostalgia (ancora Buzzati, che l’aveva detto molto meglio di me), infine uno spazio di esplorazione.  Non fisica, questo è certo. Non chiede azione, la mia montagna. Non muove il corpo, le gambe, le braccia o i piedi. Eppure, mi smuove. Ogni volta, irrimediabilmente. E tutto questo esplorare, e procedere, e andare – d’intelletto, d’immaginazione, di fantasia – nella mia montagna succede in modo tanto naturale da sembrar quasi inevitabile. Succede perché lei è incredibilmente bella. Ma poi soprattutto, succede perché  è solitaria e silenziosa. Ed è proprio lì – nel guscio di silenzio in cui mi accoccolo ogni volta che arrivo al cospetto del Siera (ma poi forse di qualunque altra montagna dolomitica che riesco a sentire un po’ mia), che l’irruente natura cittadina finalmente si acquieta, si distende, si nutre. Nutrimento: ecco come potrei descrivere nel modo più puntuale, la mia montagna (“e vi è qualcosa nell’aria di montagna che pervade lo spirito e lo nutre” scrisse H.D.Thoreau). Da lei mi abbevero ogni volta di pensieri nuovi, mi sfamo di riflessioni che ancora non avevo messo bene in fila, mi sazio di inattese osservazioni che si collegano con altre sfumature, e poi altre ancora e così all’infinito.

Ora che Sappada e la mia montagna (e per estensione, tutte le mie montagne) sono lontane, la nostalgia è struggente. Il silenzio della città non è lo stesso silenzio, la solitudine sembra più punizione che ambizione, e l’arrossire serale della dolomia è troppo distante, dalla finestra della cucina. Affamata e assettata di guglie, picchi e pietre scoscese, aspetto il momento per poter tornare lassù e ricominciare a esplorare, procedere, andare. Coi piedi ben fermi a terra e la testa rivolta verso la montagna della mia vita. Che non mi guarderà, chiusa nei suoi impenetrabili pensieri, ma sarà comunque sempre lì a farsi guardare. Così incredibilmente bella, solitaria e silenziosa, nutriente. 

 

SUGGESTIONI PER IL GIORNO UNO

* Il dialogo segreto. Le Dolomiti di Dino Buzzati, a cura di Rolly Marchi e Bepi Pellegrini (Nuovi Sentieri Editore).
È qui che ho trovato la citazione iniziale, è qui che si racconta con testi autografi, cartoline e altri reperti preziosi, il rapporto profondo tra lo scrittore e le nostre montagne. È sempre qui che sfogliando tra le pagine ho trovato testimonianze antiche su Sappada e alcuni ricordi di Buzzati di una certa guida alpina che spesso lo accompagnava nelle sue peregrinazioni montane: Valerio Quinz, un lontano cucino di mio papà. 

* I fuorilegge della montagna di Dino Buzzati (Oscar Mondadori).
Un cofanetto che custodisce due imperdibili raccolte di articoli e riflessioni di Buzzati sui grandi temi della montagna. Dalle Olimpiadi alla cultura dello sci, dalle storie e filosofie dei grandi alpinisti ai pensieri lucidissimi sul turismo d’altezza. Nulla di più attuale, mi pare. Da divorare. 

* Viaggio in Carnia, Giovanni Comisso (Edizioni Biblioteca dell’immagine)
Un breve racconto molto personale sulla Carnia, curiosa terra di montagna alla quale, ora, appartiene anche Sappada entrata a far parte del Friuli dopo un referendum di qualche anno fa. Anche se per mio padre, non smetterà mai di essere in provincia di Belluno, in Veneto. 

Cambiare la vita in montagna, Paolo Costa, in Moreness 01 – Above the Tree Line
Un piccolo saggio del filosofo e saggista trentino, che indaga il tema stringente del futuro, nella montagna. Attingendo a piene mani, per argomentare le sue riflessioni, dall’imperdibile romanzo di Paolo Cognetti “Le otto montagne”, Paolo Costa ragiona su tre concetti fondamentali, per chi si affaccia alla montagna – anche senza scarponi: spiritualità, risonanza, reincanto. 

 

 Immagine: estratto da MORENESS #01 – Above the Tree Line

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