Fashion + Design > Design

November 27, 2020

(design)professors made in BZ_Gianluca Seta

Claudia Gelati

Negli scorsi mesi abbiamo incontrato (virtualmente) alcuni dei designers che hanno frequentato e si sono laureati presso la Facoltà di Design e Arti e che oggi lavorano nei più disparati settori, sparpagliati per tutta Europa. Abbiamo conosciuto illustratori, designer del prodotto, grafici, social designer, fotografi e chi più ne ha ne metta; ma con questa seconda serie vogliamo concentrarci sull’altra faccia della moneta, ovvero tutti quei docenti e ricercatori che arrivano da ogni parte d’Italia (ma non solo, anzi) esplicitamente per insegnare nella nostra piccola, ma grande, facoltà.

Andiamo con ordine: chi è Gianluca Seta, da dove viene e cosa fa nella vita per portare in tavola la famosa pagnotta?
Allora, sono nato e cresciuto a Brescia dove ho vissuto fino ai 18 anni. Qui ho frequentato il Liceo Scientifico ad indirizzo sperimentale Artistico e dopo il diploma mi sono trasferito a Milano per studiare Design della Comunicazione al Politecnico. Ora ho una doppia vita: sono un graphic designer, ma anche un professore presso la Libera Università di Bolzano.

Come nasce il tuo interesse per il design e quali sono i tuoi/la tua formazione? 
Un po’ difficile rispondere, ma posso dire che il mio interesse nasce sicuramente dopo un percorso scolastico influenzato sicuramente dalle materie artistiche. Ai tempi, vent’anni fa, nella mia scuola c’era anche una materia chiamata design, ma che ho scoperto poi essere molto distante da ciò che ho studiato in seguito. Dopo la scuola superiore, ho avuto forti dubbi e mi sono domandato più volte se il design fosse per me una strada percorribile o se invece, vista la mia inclinazione verso l’arte, fosse più logico e corretto seguire una strada più artistica. E’ stato un periodo complesso e dubbioso, dubbi che non hanno trovato risposta o soluzione nemmeno nei primi anni dell’università. 
Durante i primi anni ho avuto vari momenti di sconforto e tristezza: non sapevo bene cosa stessi facendo e il perché; sentivo di non avere motivi concreti ma ero in qualche modo attratto dalla modalità progettuale del design. Non tanto il creare di per sé, parola che mi ha sempre lasciato insoddisfatto e anche inesatta perché il designer non crea niente propriamente. Ad ogni modo apprezzavo questa modalità di pensare e ragionare, partecipare a quello che viene considerato l’atto creativo, ovvero l’atto di visione del nuovo: una ricerca continua che talvolta permette di trovare anche nuove relazioni tra le cose. Ma questo, però, l’ho capito solo molto pià tardi. 
Dunque, per tornare alla domanda, possiamo dire che il mio interesse nasce da quest’idea, questa voglia di continuare a lavorare con delle discipline visive, che riguardassero il tema dell’immagine, ma in modo più strutturato rispetto al processo artistico. Fino al terzo anno di Politecnico mi sentivo come in una grande nebulosa e non sapevo dove i miei studi mi avrebbero portato. Un periodo difficile che poi ho superato grazie a qualche docente, ma anche ai compagni di corso, e ho cominciato così a coltivare una sempre maggiore passione. 

Studio_eremo_Eremo-IDENTITA-03bis

Come ti sei sentito dopo la Laurea; sapevi già cosa avresti voluto fare?
Dopo la laurea sapevo di voler fare il designer grafico, cosa però volesse dire esattamente questa cosa non mi era assolutamente chiaro. Sono quelle attrazioni istintive che senti chiaramente, ma che non riesci definire; senti che quella è la strada fatta per te ma poi non sai dove ti porterà. D’altronde, l’università non ti insegna la professione e non è quello il suo ruolo. 
Alla fine credo che tutti quei dubbi e quell’incertezze accumulate nei primi anni di università siano state per me un bene, perchè sono arrivato alla laurea con tante domande irrisolte e con la voglia di approfondire e studiare ancora per capire davvero cosa fosse questo design grafico. 
E così, mosso da questa passione, ho fatto corsi di specializzazione secondo interessi molto specifici: ho studiato, ad esempio, moltissimo tipografia e letterpress, quindi la storia e la tecnica della stampa tipografica. Allo stesso tempo ho iniziato a lavorare e diciamo che anche qui mi sono specializzato per natura, ovvero seguendo l’istintivo, più verso la parte tecnica della produzione e della stampa. Nonostante ciò, avevo comunque paura perché, come accade sempre con i nuovi inizi, non sapevo cosa aspettarmi dal futuro. Questo stato d’animo di incertezza e paura, può portarti a fare due cose: bloccarti completamente o, al contrario, stimolarti a trovare sempre più risposte in maniera vorace. Io ho scelto la seconda opzione, acquisendo tante altre competenze e consapevolezze da buttare, come si suol dire, dentro il “calderone” per stabilizzare la mia situazione sia mentale che interna. 

Da designer a docente: come sei arrivato ad insegnare alla Facoltà di Design e Arti di Bolzano e di cosa ti occupi in facoltà ora? 
Sono approdato alla facoltà di design sette anni fa, ma prima di arrivare a Bolzano avevo già un’esperienza piuttosto lunga di circa sei anni come assistenze di progetto –come cultore della materia diciamo– presso Density, un gruppo di ricerca al Politecnico di Milano allora gestito dal professore Paolo Ciuccarelli in cui si faceva information design, disciplina che all’epoca era proprio all’inizio. All’interno del gruppo, mi occupavo fortemente di information design ed è stato proprio per questo che Unibz mi contatto per tenere una lecture e presentare il mio lavoro.
Questo fu il primo punto di contatto con l’università di Bolzano. Ad un certo punto si presentò la possibilità di partecipare al bando per ricercatori; partecipai, il colloquio andò bene e ottenni così un contratto della durate di tre anni come ricercatore. Nel corso del tempo, le mie inclinazione sono andate via via a definirsi e, accanto alla passioni di sempre come il design editoriale, ho aggiunto ad esempio anche il brand design. Parallelamente all’attività didattica, sentivo l’esigenza di mantenere –per così dire– un piede nel mercato, con il mio Eremo Studio

Eremo-POSITIONAL-11

Com’è l’atmosfera e/o i punti di forza della facoltà? Raccontaci la tua esperienza.
L’atmosfera all’interno della facoltà è molto bella, ed essendo così raccolta e con numeri piccoli, si ha quasi l’idea di essere parte di una famiglia allargata. Si sente anche molto il fatto che Bolzano è una città distante da Milano, il grande centro metropolitano del design. Una distanza che però io considero molto interessante poiché permette alla facoltà di essere molto più libera sotto diversi temi, quali ad esempio la sostenibilità o, considerata la situazione linguista dell’Alto Adige, lo scenario ponta tra una nazione e l’altra. Inoltre tutto l’aspetto del “learning by doing”, è un vero privilegio che poche università possono concedersi. Questo metodo dell’imparare facendo, fa si che in qualche modo diminuisca la frustrazione tra il pensare ad un concept e il non vederlo realizzato nella pratica.
A Bolzano, concepire e realizzare fisicamente un progetto è invece possibile e questo, oltre a fornire agli studenti più competenze, da anche molta soddisfazione. Dunque, un’atmosfera molto bella che con il Covid ha chiaramente reso, se non altro, diversa. 

Dopo diverse esperienze nel ruolo di docente, c’è ancora qualcosa che ti stupisce?
Cosa significa insegnare Design oggi?
Si, ci sono molte cose che mi stupiscono; anzi per essere assolutamente onesto ci sono cose mi stupiscono non solo in senso positivo, ma anche in negativo. 
In senso positivo, mi stupisce ancora la possibilità che l’insegnamento mi da nel poter continuare a formarmi e approfondire i temi che si trattano di semestre in semestre. Questo non è un aspetto scontato, ma che ci si può concedere nel momento che si ha la responsabilità di tentare di insegnare qualcosa a dei ragazzi e per me la bellezza dello studio è una cosa sempre magica. 
Poi mi stupisco ancora positivamente, quando i ragazzi giovani riescono a portare all’interno di un progetto di semestre tutti i loro pensieri, le consapevolezze e le considerazioni. Se ad esempio l’assignment è pensare ad un immaginario futuro, la loro immagine sarà impregnata sempre delle loro fatiche, e vedere tanta proiezione e dedizione in uno studente per me è sempre una cosa bellissima. Certo, non è una cosa che capita sempre e ci sono anche altre cose che mi stupiscono negativamente. Al contrario, non capisco perché i più giovani sono allo stesso tempo anche molto molto bloccati, quando invece dovrebbero essere più fiduciosi e non aver paura di cambiare strada e percorrere nuovi percorsi. Purtroppo questa fiducia si manifesta sempre più raramente e forse è proprio colpa di noi docenti e della scuola. Ecco si, questo mi stupisce negativamente. 

STATIONERY-GALUPPI-01

Situazione Covid-19:Quale ruolo può assumere il design in una situazione di emergenza (sanitaria e non) come quella che abbiamo vissuto e ci troviamo a dover fronteggiare ancora? 
Didattica a distanza: come è andata? Pro e contro
Questa del Covid-19, è una situazione piuttosto complessa. Il ruolo del design in questi casi è quello di ripensare a un futuro che deve arrivare o che forse, non ce ne siamo accorti, ma è già arrivato. L’università deve sempre occuparsi di queste tematiche relative al futuro ed anche per questo che ce ne stiamo occupando anche nel corso in essere. 
Avere visione è una cosa molto complessa e difficile, che non si basa su un atto creativo o romantico in cui si chiudono gli occhi, si immagina quello che può essere e subito arriva un risultato. Immaginare il futuro, al contrario, vuol dire alzare le antenne, guardarsi attorno…ma guardarsi attorno tanto e in maniera approfondita, porsi domande rispetto a quello che succede.Per futuro io intendo il “cosa si fa”, ma anche e sopratutto “il come si fa”. Sembrerà banale, ma è proprio così. In quest’ottica, l’unico è aspetto positivo del Covid è che ci costringe a immaginare pezzi di futuro. 
Ovviamente tutto questo avviene in una situazione a mio avviso abbastanza difficile, che è quella didattica a distanza. E qui vediamo, uno dei pro di questo aspetto è che… (si interrompe) no dai non ci sono pro, non ce ne sono punto e stop. Con la didattica a distanza ci sono solo dei contro: a me manca molto essere in presenza, in contatto con le altre persone. 
Se è vero che, come dicono in molti, il futuro avrà queste sembianze, bisogna capire davvero come ottimizzare il tempo e le risorse energetiche che, onestamente, tra daad e Covid sono un po’ venute a mancare in un primo momento. 

Studio_eremo_Eremo-DINA-01

Mi collego ai discorsi di prima e ti butto lì qualche parola: immaginare futuro, avere delle visioni, consapevolezza, sostenibilità. Domanda delle domande: in quale direzione sta andando il design ora?
(sospira come a lasciar intendere che non c’è risposta) Onestamente penso questo: secondo me nel design oggi, non c’è una direzione univoca e con ciò intendo che io non pretendo di voler vedere tutte queste molteplici direzioni: non ho abbastanza occhi, non ho abbastanza facoltà e capacità per vederle tutte. Riesco a vedere solo quello che il mio occhio, o meglio, la mia sensibilità possono vedere. 
Non posso non dire, però, che vedo un mondo fatto di manierismo dove si replicano forme ed oggetti che cambiano poco. C’è poca riformulazione, c’è poca creatività… anzi cancella creatività. C’è poca capacità di costruire, di generare del nuovo in senso lato. E poi, onestamente, c’è molto fuffa, molta inconsistenza e poi anche un atteggiamento molto altisonante. 
Come ti dicevo, le direzioni sono molte ma quella che effettivamente interessa a me è il come vivremo domani.
Il punto è sempre quello: riformulare e riprogettare i nuovi scenari del futuro è sempre stati l’orizzonte progettuale a cui tendere, a cui poi far convergere forme e nuovi modi di vivere. La novità nel design non risiede nell’essere altisonante o nel cambiare meccanicamente forma alle singole cose, ma nella capacità di trovare nuove dinamiche e relazioni tra le cose. 

Quali consigli ti senti di poter dare a un ragazzo che desidera iscriversi ad una facoltà di design o ad un neolaureato in cerca della sua strada?
Eh madonna mia! (ride) . Un consiglio che mi sento di dare è quello di avere più coraggio e, nel momento che si intraprende questo tipo di percorso, di aver curiosità non per le cose in sé del design, ma per quelle del quotidiano. Sembrerà la banalità più grande del mondo, ma è una verità fondamentale. Poi ai miei studenti consiglio sempre di leggere tanti libri: può sembrare il consiglio del maestrino, ma invece è veramente fondamentale. 
All’inizio delle superiori io leggevo molto poco e, lavorando in ambito artistico, mi sforzavo tantissimo per dare forma alla mia immaginazione. Tra la fine delle superiori e l’inizio dell’università invece ho iniziato a leggere tantissimo, quasi in maniera ossessiva e mi sono reso conto che la mia capacità di immaginare, di pensare e di creare relazioni tra le cose era come esplosa all’ennesima potenza. E non si tratta di leggere libri di design, ma testi che aiutino a migliorare la propria narrativa e poetica. I ragazzi che arrivano e progettano in modo automatico, meccanicistico, avranno invece più lavoro rispetto a quelli che sono costantemente alla ricerca della propria poetica. 

Cosa consiglieresti oggi, con il tuo bagaglio di esperienze, al Gianluca Seta ventenne?
Oh Gesù (ride). Al Gianluca ventenne, onestamente direi di fare esattamente lo stesso percorso, ma magari di essere un po’ meno autocritico e anche un po’ più convito dei propri risultati. 
Gli consiglierei, poi, di migliorare molto di più lo scambio aperto di idee con l’intransigenza idealista dei vent’anni, una cosa che invece non voglio assolutamente che mi abbandoni mai. 

Studio_eremo_Eremo-LANIFICIOLEO-01

Torniamo al tuo lavoro oltre la facoltà: raccontaci un progetto (o più) di cui sei particolarmente orgoglioso o al quale ti senti particolarmente legato.
Ce ne sono diversi, anche se non so se userai la parola orgoglio, quanto piuttosto affetto. 
Ci sono progetti a cui sono più affezionato per il legame che si crea con l’azienda, poichè quando si parla di azienda si parla di persone; altri ancora perchè dietro quel progetto c’è un momento particolare della vita, o una forte relazione di scambio con una persona in particolare, che magari mi ha ispirato. Altre volte ricordo con affetto un progetto in cui è stato più divertente la parte tecnica, la sfida produttiva.
Ad esempio, il lavoro svolto con Lanificio Leo rimane per me un pezzo di cuore, non tanto per l’orgoglio di aver creato un catalogo ma più per il piacere di lavorare con un certo tipo di azienda. Ci sono davvero tanti progetti e non riesco davvero a trovarne uno da preferire piuttosto che un altro: ognuno ha la sua storia dietro, che chiaramente non deve essere visibile ai più, ma che in qualche modo mi tiene legato al progetto.
Il modo di progettare di un designer deve essere, o ad un certo punto lo diventa, conforme a ciò che si è.
Io di mio sono una persona profonda e no, non lo dico per tirarmela o per inventarmi che penso o dico solo cose intelligenti, ma perché sono uno che va proprio a scavare in profondità, alla ricerca di meccanismi e relazioni per chiudere sempre il cerchio con tanto pensiero e profondità di riflessione. Questo lo faccio perché io sono così, non perché è giusto o meno. Io sono così e siccome la mia giornata è fatta di un tot di ore e la maggior parte di queste la passo lavorando (purtroppo o per fortuna visto che mi piace) è ovvio che ti ritrovi a metterci del tuo, la tua vita, il tuo quotidiano. 

Studio_eremo_Eremo-LANIFICIOLEO-14

Ti lasciamo tornare al tuo lavoro, alla pausa caffè o, perché no, ad annaffiare le piante, ma prima diccci un po’…

• Quel libro che non può mancare secondo te nella libreria di un designer o di un creativo
Allora mi ricollego a quello che ti dicevo prima: non ti dirò i classici  intramontabili che per la libreria un designer do per scontati (Munari, Mari, Maldonado e compagnia). 
Un libro che per me è stato importante è sicuramente “Lezioni Americane” di Calvino (che banalità , è?) e poi “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” di Alejandro Jodorowsky, un libro di narrativa che racconta di un mondo fantastico e onirico, che io ho sempre trovato bellissimo. Di questo libro mi piace appunto la capacità di immaginare questi nuovi mondi e… vabbè non dico altro, dai!

• Almeno due strumenti, attrezzi o cose che non mancano mai nella tua borsa o zaino
E allora, vediamo… ho notato che la penna nera ce l’ho sempre in tasca, lo zaino è già quasi troppo lontano.
Questa potrebbe sembrare una cazzata da designer, ma invece è proprio una mia ossessione, non perché fa figo appunto ma perché la penna la devo proprio avere in tasca. Non sai quanti pantaloni ho segnato col pallino nero (ride). 
In questo ultimo periodo porto sempre in borsa un coltellino e un metro tascabile della Stanley. Non c’è un perché, ma mi piace portarli con me. Niente di particolare, ecco. 
Poi, ovvio, ho sempre in tasca lo smartphone… sarà poco romantico e immagino che in pochi l’avranno detto, ma è l’oggetto più presente nella mia vita. 

• Tre account instagram assolutamente must-follow 
Ecco, forse potrei anche chiederti se posso non rispondere a questa domanda: trovo che ci siano cose molto interessanti ma non sento che esista niente di must-follow. Ecco non vorrei sembrare arrogate, ripeto: ci sono tante cose interessanti ma non riesco dirne tre superiori ad altre.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.