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November 20, 2020
Cronacamminata 05_Camminare in città
Allegra Baggio Corradi
I verbi norvegesi røre sig e bevege sig all’attivo significano “muoversi”, mentre al passivo (bli rørt e bli beveget) “commuoversi”.
Di Oslo ho percorso a piedi tutti i quartieri. Da Vestli e Mortensrud a Holmlia, Røa e Holmenkollen. Volevo capire meglio come vivesse la gente nella mia città. Sfruttando le sere e i fine settimana, ho stretto conoscenza con Oslo. Quando parlo di Furuset, per me non è solo una fermata della metropolitana ma un quartiere che conosco bene, con le sue ville, i palazzi, la moschea, la chiesa e il monumento in memoria di Trygve Lie, il primo segretario generale delle Nazioni Unite. Uno dei prossimi progetti è provare a disegnare un cerchio intorno ai luoghi in cui mi trovo, con un raggio di un chilometro o anche di cinque, e poi percorrere tutto il cerchio a piedi fino a completare il giro. (cit. “Camminare. Un gesto sovversivo”, pp. 25).
La prima settimana di settembre Erling si trovava a Bolzano per l’inaugurazione della mostra Walking. Movements North of Bolzano. In quell’occasione dormì al piano superiore della piccola appendice di Museion, a pochi passi del prisma di Krueger, Schuberth e Vandreike. Non appena arrivato a Bolzano, così come accade ogniqualvolta giunga in una nuova città, Erling andò a camminare; lo fa per costringersi ad osservare i dintorni, per incontrare le persone che abitano nei paraggi, per ascoltare il suono delle lingue parlate in quei luoghi, per respirare l’odore caratteristico dell’aria del luogo, per calarsi nel flusso costante della vita nel suo divenire, per far entrare il mondo esterno dentro. Lo stesso istinto che da bambino lo portava a percorrere in lungo e in largo le strade e i quartieri della sua Oslo, lo induce ancora oggi ad esplorare i nuovi contesti che ha occasione di scoprire. Nonostante non sia più un esploratore con la ‘e’ minuscola, Erling non cesserà mai di esserlo con la ‘E’ maiuscola in quanto non solo crede fermamente che tutti gli uomini nascano esploratori, ma è convinto che pochi trovino il coraggio di rimanere tali perché temono il confronto con il silenzio.
Quando è giunto a Bolzano, Erling ha disegnato un cerchio con un raggio di un chilometro intorno all’edificio in cui soggiornava, per poi percorrerne il suo perimetro. È così che la prima sera, dopo aver aspettato che tutto il personale di Museion avesse abbandonato l’edificio, quando il sole estivo ancora caldo arrossiva la facciata di tinte rosa e arancio, Erling uscì munito di un piccolo gessetto bianco, proprio come quelli che utilizzava la sua maestra a scuola per scrivere sulla lavagna verde muschio.
Stando attento a non farsi vedere e cercando di non svegliare i vicini per via del fastidiosissimo stridere del gesso contro il pavimento, Erling iniziò a tracciare il raggio del suo cerchio procedendo a piccoli passi. Uno, due, tre, quattro, quaranta… In seguito alle migliaia di chilometri percorse a tutte le latitudini e altitudini terrestri, le gambe di Erling sono diventate capaci di misurare qualsiasi distanza con assoluta precisione. Dapprima a Nord verso Sarentino, poi a Est in direzione del centro storico, e ancora a Sud verso il fiume, infine a Ovest verso Merano. Cinquanta, cento, mille, duemilacinquecento, stop. Erling si inginocchiò e cominciò a segnare uno dei quattro punti più distanti dall’epicentro del suo nuovo mondo. Posò il gessetto una volta soddisfatto dell’intensità del gesto compiuto e soffiò delicatamente per fare volare via la polvere in eccesso. Alla vista di quelle piccole particelle bianche che si libravano leggere di fronte ai suoi occhi, Erling si commosse. “Solo osservando la città rasente il suo letto” pensò, “si può fare un tutt’uno di mente, mano e mondo”.
Affinché ciò che ci circonda non si limiti a essere bello ma venga elevato alla dimensione del sublime, deve avvenire un cambiamento nella nostra testa.
Homo sapiens ha sempre camminato. Fin da quando i nostri antenati hanno cominciato a girovagare, partendo dall’Africa orientale settantamila anni fa, la nostra è stata la storia di un cammino. (…) I primi uomini erano capaci di muoversi a piedi per molto tempo, di cacciare con metodi sempre nuovi su vaste superfici e di vivere un gran numero di esperienze. Questo stile di vita ha permesso al nostro cervello di svilupparsi più rapidamente rispetto a quello delle altre creature. Prima abbiamo camminato, poi abbiamo imparato ad accendere il fuoco e a preparare il cibo e infine abbiamo sviluppato il linguaggio. Le lingue create dagli uomini rispecchiano l’idea che la vita sia una lunga camminata. In sanscrito, una delle lingue più antiche al mondo e originaria dell’India, il concetto di passato è espresso con il termine gata, “quel che abbiamo camminato”, mentre il futuro si chiama anagata “quel che non abbiamo ancora raggiunto”. Il termine gata è imparentato con il norvegese gått (“andato”). Come è naturale, in sanscrito il presente è associato al significato di “quel che si manifesta proprio di fronte a noi”, pratyutpanna. (cit. “Camminare. Un gesto sovversivo”, pp. 10-11).
Mentre percorreva i quattro chilometri tra l’epicentro di Museion e i poli più distanti del cerchio tracciato intorno ad esso, Erling lasciò che i suoi occhi si abbandonassero alla scoperta di Bolzano. “Troppo bello e radioso questo luogo” rifletté Erling, “pare ostentare la sua ricchezza, ma gli manca la cosa più bella che una città possa avere: un’energia. I monti tutt’intorno non sono accoglienti, ma opprimono e quando piove come è accaduto ieri sera, sembrano precipitare implacabilmente scoscesi: spogli perché denudati in alto, sovraccarichi di paesini, giardinetti e casupole in basso. Tutto è ‘ino’, ‘etto’, ‘upolo’. Tutto è splendida realtà, confortevole, protetta, abbracciata, accudita; tutto brilla e luce come i raggi che fendono i finestroni di una cattedrale a mezzogiorno. Non vi è un solo fazzoletto di terra rimasto libero per il sogno o la brama. Non un bosco mal tenuto, non una riva soffocata dalle erbacce o un’ammaliante macchia di arbusti protesi verso terra in un servile inchino. Tutto è un tutto e a nulla è consentito non esserlo.”
Nonostante avesse già avuto altre occasioni di visitare l’Alto Adige in passato, per Erling questa era la prima volta in veste di collezionista. In quanto tale, si concesse, oltre alla costruzione di un percorso, il beneficio della sua decostruzione. Da esploratore non gli era permesso perché la meta era sempre più importante del tragitto, nonostante Erling abbia sempre diffidato di coloro che sostengono di scalare per ammirare il paesaggio. Di Bolzano ora era intenzionato a vedere altro che non fosse semplicemente la città.
Quando si abbandona un bivacco, ricordarsi di lasciare sul posto due cose. La prima: niente. La seconda: i ringraziamenti.
Camminare può essere un piccolo viaggio di scoperta all’interno di noi stessi, mentre gli edifici, i cartelloni, i volti, il clima e l’atmosfera delle strade ci formano. Forse siamo fatti per andare a piedi anche in città? Camminare è un insieme di movimento, umiltà, equilibrio, curiosità, odori, suoni, luci e – quando si va avanti a lungo – anche di nostalgia. (…) Al mattino, quando devo spostarmi dalla dimensione domestica verso la città, nella mia testa si scatena un caos momentaneo. Pensieri e ambizioni devo trasferirsi dal letto, dalla cucina e dalla preparazione delle merende a una casa editrice piena di colleghi che producono e vendono libri. Sono due mondi diversi, ma quando vado al lavoro a piedi riesco a guadagnare quel tempo in più per spostarmi da una realtà all’altra. Posso fermarmi quando voglio. Guardarmi intorno. Poi riprendere a camminare. È anarchia in piccola scala. (cit. “Camminare. Un gesto sovversivo”, pp. 25-27).
Piuttosto che camminare per vedere, visitare o vivere Bolzano, Erling percorre il perimetro del cerchio che ha tracciato con il gesso intorno a Museion per raffinare le proprie doti di anarcocronista. Sono le coordinate spazio-tempo alle quali desidera opporsi, è il rapporto tra la città e la proiezione ideale del suo contenuto che vuole boicottare, il suo fluire, il suo scorrere, il suo diffondersi impeccabilmente, il suo inverarsi utopicamente. Troppo radioso questo luogo perché la mente possa nutrirvisi di sogni. In opposizione alla schiacciante tirannia del bello, Erling si ribella camminando. Il suo anarchico gesto in piccola scala gli consente di guardarsi intorno, di fermarsi quando desidera, di imbruttire la costante perfezione che lo circonda con la sola forza del pensiero, di abbruttire le eleganti persone che si aggirano per le strade calandole in un cono ottico che ne distorce la figura, di sporcare le facciate pulite, di infestare i bordi delle strade con la cenere di un’ultima abulica sigaretta anche se non fuma, di riempire di eco assordanti la bolla apatica in cui persevera il tutto al quale non è consentito essere nulla. Erling si ringrazia per essere ancora capace, dopo cinquant’anni, di scatenare momentanei caos nella propria testa.
Una camminata può durare una vita intera. Puoi anche andare in una direzione, per poi tornare dov’eri partito.
Uno dei miei primi ricordi d’infanzia è uno in cui io e mio padre distribuivamo volantini a Nordstrand, il quartiere in cui abitavamo. Lui era molto attivo nella politica locale. Passammo una serata a infilare fogli in centinaia di cassette della posta. Avevo già fatto quella stessa tratta in tram, ma facendola a piedi le distanze mi parvero subito maggiori. Ricordo quanto mi facevano male i legamenti delle ginocchia. Percorrendolo metro per metro, il mondo sembrava molto più grande di quando lo guardavo da dietro il finestrino del tram. Percepii in modo del tutto nuovo il collegamento fra il corpo, il mondo intorno a me e la mia fantasia. Continuai ancora a immaginare di fare lunghi tragitti a piedi, ma da quella sera capii meglio cosa sono le distanze e la fatica. (cit. “Camminare. Un gesto sovversivo”, p. 25).
Percorsi i diecimila passi per raggiungere i quattro estremi equidistanti dal centro esatto del cerchio tracciato intorno a Museion, Erling sente di aver decostruito la città. La sua anarcocronaca del luogo consiste nei piccoli collegamenti rilevati all’interno degli interstizi lungo le parti più ime del percorso. I tombini, il muschio sulle gambe delle panchine, le coste verde muschio dei pantaloni in velluto dei bolzanini, le grondaie, i battiscopa, le insenature dei piccoli rivoli d’acqua lungo i marciapiedi annegati nella pioggia, i fori nelle foglie, le screpolature dell’intonaco dei palazzi, i nodi degli arbusti, i nodi delle chiome folte delle bolzanine. Sono i piccoli difetti a custodire intatta l’umanità soffocata di questa città resa e che resta fastidiosamente radiosa. La re-azione di Erling, il suo desiderio di opporsi al rinnovarsi costante della tirannia del bello, avviene camminando. Solo così capisce in cosa consista la distanza tra il luogo e la sua immagine. Con fatica, lasciando che l’immaginazione insegni ai legamenti delle sue ginocchia l’importanza di provare dolore.
***
Per entrare ancora più a fondo nell’universo poliedrico di Erling Kagge, potrete visitare – appena il museo riaprirà – la mostra “Walking. Movements North of Bolzano” al Museion di Bolzano (fino al 14 febbraio 2021), nella quale Kagge – curatore e collezionista – ha selezionato oltre 60 opere di 30 artisti e artiste del Nord Europa.
Graphic design by Paula Boldrin
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