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November 3, 2020

Le teste tonde del design: lo studio
Debiasi Sandri

Allegra Baggio Corradi

Con la fuga da Londra di re Carlo I nel 1642 ebbe inizio la guerra civile inglese. L’Inghilterra si trovò divisa tra i sostenitori del monarca, i Cavalieri, membri dell’aristocrazia anglicana, e i reggenti del Parlamento, i Roundhead, così chiamati per via del corto taglio di capelli in stile puritano. Da allora, l’opposizione di cavalieri e teste tonde nella storia ha continuato a rinnovarsi, percolando dalla politica fino al design. Più che di uno scontro diretto si parla oggi di due binari paralleli lungo i quali viaggiano persone e pensieri che siedono nelle stesse carrozze, ma sono diretti verso mete ben distinte. I Cavalieri, paladini del più. Le teste tonde, crociati del meno. 

 Alla fazione dei Roundhead appartengono sicuramente Daniel Debiasi e Federico Sandri, fondatori dello studio di design che porta i loro nomi. Altoatesino il primo e veronese il secondo, Daniel e Federico si sono conosciuti presso uno studio milanese una quindicina di anni fa. Compresa la reciproca affinità progettuale, hanno deciso di allineare i propri sguardi iniziando a lavorare a quattro mani. Sin dall’inizio il lavoro è avvenuto da remoto poiché Daniel era di base a Londra e Federico nella sua Verona. Ora, Caldaro è la nuova Londra e Bergamo la nuova Verona. È tra questi due poli che lo Studio Debiasi Sandri progetta oggetti e spazi che forniscano soluzioni piuttosto che ripieghi, che tendano al meno piuttosto che al più, che rispondano sia all’emozione delle persone che alle necessità dell’industria. 

Il design come industria

“Gli aggettivi che attribuirei al design, questo oggi perché domani potrebbero non essere più gli stessi, sono ‘rigore’ ed ‘empatia’”, dice Federico. Inizia così la nostra intervista virtuale, con una riflessione sulla disciplina che rinnova il principio della riproducibilità tecnica senza disumanizzarsi.  

Per Daniel e Federico il design è prima di tutto industria, non solo perché si fonda sulla produzione e la distribuzione di oggetti su larga scala, ma perché è un ecosistema complesso che alimenta un’economia fatta di persone reali che vivono, lavorano, pensano, condividono, abitano, utilizzano e hanno dei bisogni e dei sogni. La concretezza di Daniel e Federico è pregnante e molto ben centrata.

Quando chiedo loro se credono nella possibilità che il design sia sostenibile anche quando è prodotto in massa, ricevo una risposta tutt’altro che scontata. Federico sostiene che le esigenze dell’industria siano difficilmente conciliabili con quelle dell’ecologia per come la intendiamo e vediamo svilupparsi oggigiorno perciò, piuttosto che concentrarsi sulla ricerca di materiali alternativi, essi progettando oggetti in grado di divenire dei ‘feticci’ ai quali le persone si affezionano a tal punto da non volerli gettare, come nel caso del set da the Collar disegnato per Stelton; oppure prolungano il ciclo di vita dei prodotti in maniera creativa, come nel caso delle poltrone lounge e ottoman Shift Wood realizzate per l’azienda svedese Offecct. Pensata per spazi pubblici come le lobby degli alberghi, Shift Wood può essere rivestita in diversi materiali e colori, con cuciture alterabili e sostegni adattabili, senza sostituire lo scheletro strutturale e dunque dotando la poltrona di una nuova vita tramite un sottile intervento. Più che teoretica e attivista, la sostenibilità di Federico e Daniel è emozionale e produttiva. Un approccio roundhead al disegno del prodotto che si allontana – e diremmo finalmente – dalle tendenze sciacquabocca del design contemporaneo.

CollarTeaSet_by_DanielDebiasi_and_FedericoSandri_01  Soluzioni, non ripieghi

“Quando ero al bar con gli amici da ragazzo, più che a bere il caffè ero interessato a vedere come erano fissate le viti sotto al tavolo”, dice Daniel. Continua così l’intervista virtuale, con una riflessione sul ruolo degli oggetti nella vita quotidiana dei designers e delle persone.

Quando chiedo se le esigenze abitative subiranno delle modifiche a causa del maggiore tempo che le persone trascorrono in casa causa pandemia, ricevo un’altra risposta ragionata. Daniel sostiene di non essersi mai sentito più inutile che in questo momento, dato soprattutto il nuovo orientamento dell’agenda globale, ma crede anche che le esigenze delle persone non possano radicalmente venire alterate da un fenomeno come quello attuale. Piuttosto, dice “ci sarà una redistribuzione dei pesi, ma non la nascita di nuovi bisogni. Dal punto di vista del designer non cambierà molto.” Dello stesso avviso è anche Federico che sostiene la necessità per il design di fornire delle soluzioni e non dei ripieghi. Dato che la situazione presente non sarà eterna, non ha senso produrre accorgimenti effimeri; meglio focalizzarsi su ciò che serve sempre, su ciò di cui non si ha bisogno solo ora. Anche in questo caso, un approccio roundhead al disegno del prodotto che preferisce la concretezza alla convenienza.

_DanielDebiasi-FedericoSandri-StudioPortrait

Del più e del meno

“Più che dai libri di teoria del design, imparo a capire le esigenze del design guardando la curvatura del collo degli idranti per strada”, dice Federico. Così si conclude la nostra intervista virtuale, con un’eclettica serie di riflessioni più aneddotiche che tecniche. “Se entrassimo in casa vostra”, chiedo, “troveremmo le stesse cose che disegnate oppure tutt’altro?”. Qui Federico e Daniel si dividono. Il primo dice di essere sempre meno attaccato agli oggetti con il passare degli anni, preferendo lo spazio vuoto per consentire alle mente di aprirsi, di respirare. Il secondo, invece, preferisce circondarsi degli oggetti che disegna per perseverare nel perfezionamento di quello che non sarà mai finito. Federico butterebbe via tutti i coltelli che non siano in grado di svolgere più funzioni. “A cosa serve un coltello per la mela, uno per la cipolla, uno per le patate, uno per il formaggio e oltre, quando si possono fare più cose con uno soltanto?”, chiede retoricamente Federico. 

Quando chiedo se per loro il design e l’arte hanno un nesso, Daniel parafrasa Munari sostenendo che mentre il design nasce protraendosi verso le persone, l’arte tende verso i musei. Federico dice, invece, che se è vero che il design in senso puramente classico guarda all’utilizzo degli oggetti, è anche vero che esistono opere d’arte riproducibili che potrebbero rientrare nella sfera del design. Ciò che accomuna le due discipline è il disegno, o meglio la penetrazione progettuale che un designer è in grado di maturare in base alla conoscenza che sviluppa dell’arte e degli strumenti che questa ha messo a disposizione nel corso del tempo. Ancora una volta, un approccio roundhead al disegno del prodotto che nasce dalla vita reale e vi si reimmerge in quanto soluzione, generando numerosi più con il minor intervento possibile.

Project_space_and Showroom_by_DanielDebiasi_and_FedericoSandri_213

Cosa ha in serbo il futuro per lo studio? Tornando a navigare in acque metaforiche, possiamo dire che le teste tonde la guerra civile la vinsero, mentre Carlo fu decapitato. Se andrà così anche questa volta, Debiasi Sandri, teste tonde del design, sconfiggeranno gli assolutisti cavalieri tramite il loro design d’industria sostenibilmente emotivo e produttivo, continuando a fornire soluzioni piuttosto che ripieghi. La concretezza è consapevolezza.

 

Immagini (credits Debiasi Sandri): 

1. Shift Wood, poltrone lounge e ottoman disegnate per Offecct
2. Collar set per il the disegnato per Stelton
3. Ritratto di Daniel Debiasi e Federico Sandri
4. Project space e showroom disegnato per Grassi Pietre 

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