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November 2, 2020

L’utilità dell’inutile_06. Fondamentale piangere

Michil Costa

“Inutile piangere”. Quanto volte ce lo siamo sentiti dire? E quanto volte l’abbiamo detto? “Piangono le femminucce, i deboli d’animo”. Quindi piangere è disdicevole? O tempora, o mores, mi verrebbe da dire. In una società in cui bisogna essere dalla parte del successo, dimostrarsi forti e resilienti, perché se lasci intravedere i tuoi punti deboli, come in guerra, sei spacciato, può ancora essere accettato l’inutile pianto? Si piange per dolore, rabbia, gioia e si può piangere per un torto subito? Ci si può piangere addosso e si piange sul latte versato, e si può perfino far finta di piangere. “Pianger miseria” si dice di chi continuamente si lamenta. E si può pianger per quel che fu? “Piansi la bella giovinezza, e il fiore De’ miei poveri dì, che sì per tempo Cadeva” ci dice il Leopardi.

Inutile piangere per un film o per un libro? Si piange come vitelli o piange il cuore quando una tragedia ci subissa? E cos’è una tragedia? Immenso Virgilio quando descrive il suicidio di Didone che si strugge dell’amore non corrisposto di Enea: “Con la destra strappò il capello: insieme si spense il calore del corpo, e la vita svanì nel vento”. Una profondissima tragedia umana. All’epoca i greci venivano pagati affinché assistessero alle tragedie che plasmavano gli uomini. Scuole di vita potremmo chiamarle. E quando infermieri e medici mettono a rischio la loro salute per la vita degli altri, scene alle quali assistiamo di continuo, non è un obbligo piangere? Chi determina quando è concesso un utile piangere o quando è solo un inutile frignare? Nell’epica greca gli eroi piangono: “Terra e lacrime, così nacque la stirpe umana”. Piange Odisseo, costretto ad andare a letto con la bellissima figlia di Atlante, tradendo così sua moglie. La dea immortale avrebbe donato a Odisseo l’immortalità a condizione che restasse con lui. Ma Odisseo vuole tornare dalla mortale Penelope e rivedere “salire il fumo della sua terra”. Ci potrebbe venir da ridere, pensandolo costretto ad andare a letto con la sempreterna bellezza, ma il nostro eroe non sopporta una relazione unilaterale, erronea. 

Josef Moroder Lusenberg
Piangono Achille, Agamennone, Diomede, Patroclo, Ettore, eroi leggendari che hanno combattuto le battaglie più dure e vinto i nemici più agguerriti. Gli dei ci invidiano terribilmente il nostro essere mortali, quello sì divino, che rende sacro il nostro agire, mentre terribile è l’immortalità che rende vacua ogni azione. Il re di Itaca piange. Lacrime per portare a termine un buon matrimonio. E cosa ci insegna il suo pianto? Per una coppia, la cosa più importante è una buona concordia. E piangerà ancora, tempo dopo, mentre ascolta le rielaborazioni artistiche della sua storia, invitato a un banchetto reale. Sì, si piange per quel che fu ma solo gli uomini e le donne che hanno la forza di non nascondere le proprie debolezze, possono vincere il nemico più odioso: la paura della propria mortalità.

Dovremo trasformarci, ripensare all’importanza di una cosa inutile e fondamentale: il pianto. Non serve inventarsi storie nuove. Ancora una volta e come sempre, ci vengono in aiuto gli eroi greci. “Gnothi seauton” -Conosci te stesso- ci ammonisce o ci insegna o ci guida l’oracolo di Delfi. Senza paura di piangere, senza frenare le lacrime che altrimenti si depositano nel cuore e lo incrostano come fa il calcare con la lavatrice. Sì, un uomo per diventare se stesso deve saper piangere.

 

Dipinto (immagine 1 dettaglio, immagine 2 totale) di  Josef Moroder Lusenberg

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