L’utilità dell’inutile_06. Fondamentale piangere

“Inutile piangere”. Quanto volte ce lo siamo sentiti dire? E quanto volte l’abbiamo detto? “Piangono le femminucce, i deboli d’animo”. Quindi piangere è disdicevole? O tempora, o mores, mi verrebbe da dire. In una società in cui bisogna essere dalla parte del successo, dimostrarsi forti e resilienti, perché se lasci intravedere i tuoi punti deboli, come in guerra, sei spacciato, può ancora essere accettato l’inutile pianto? Si piange per dolore, rabbia, gioia e si può piangere per un torto subito? Ci si può piangere addosso e si piange sul latte versato, e si può perfino far finta di piangere. “Pianger miseria” si dice di chi continuamente si lamenta. E si può pianger per quel che fu? “Piansi la bella giovinezza, e il fiore De’ miei poveri dì, che sì per tempo Cadeva” ci dice il Leopardi.
Inutile piangere per un film o per un libro? Si piange come vitelli o piange il cuore quando una tragedia ci subissa? E cos’è una tragedia? Immenso Virgilio quando descrive il suicidio di Didone che si strugge dell’amore non corrisposto di Enea: “Con la destra strappò il capello: insieme si spense il calore del corpo, e la vita svanì nel vento”. Una profondissima tragedia umana. All’epoca i greci venivano pagati affinché assistessero alle tragedie che plasmavano gli uomini. Scuole di vita potremmo chiamarle. E quando infermieri e medici mettono a rischio la loro salute per la vita degli altri, scene alle quali assistiamo di continuo, non è un obbligo piangere? Chi determina quando è concesso un utile piangere o quando è solo un inutile frignare? Nell’epica greca gli eroi piangono: “Terra e lacrime, così nacque la stirpe umana”. Piange Odisseo, costretto ad andare a letto con la bellissima figlia di Atlante, tradendo così sua moglie. La dea immortale avrebbe donato a Odisseo l’immortalità a condizione che restasse con lui. Ma Odisseo vuole tornare dalla mortale Penelope e rivedere “salire il fumo della sua terra”. Ci potrebbe venir da ridere, pensandolo costretto ad andare a letto con la sempreterna bellezza, ma il nostro eroe non sopporta una relazione unilaterale, erronea.
Piangono Achille, Agamennone, Diomede, Patroclo, Ettore, eroi leggendari che hanno combattuto le battaglie più dure e vinto i nemici più agguerriti. Gli dei ci invidiano terribilmente il nostro essere mortali, quello sì divino, che rende sacro il nostro agire, mentre terribile è l’immortalità che rende vacua ogni azione. Il re di Itaca piange. Lacrime per portare a termine un buon matrimonio. E cosa ci insegna il suo pianto? Per una coppia, la cosa più importante è una buona concordia. E piangerà ancora, tempo dopo, mentre ascolta le rielaborazioni artistiche della sua storia, invitato a un banchetto reale. Sì, si piange per quel che fu ma solo gli uomini e le donne che hanno la forza di non nascondere le proprie debolezze, possono vincere il nemico più odioso: la paura della propria mortalità.
Dovremo trasformarci, ripensare all’importanza di una cosa inutile e fondamentale: il pianto. Non serve inventarsi storie nuove. Ancora una volta e come sempre, ci vengono in aiuto gli eroi greci. “Gnothi seauton” -Conosci te stesso- ci ammonisce o ci insegna o ci guida l’oracolo di Delfi. Senza paura di piangere, senza frenare le lacrime che altrimenti si depositano nel cuore e lo incrostano come fa il calcare con la lavatrice. Sì, un uomo per diventare se stesso deve saper piangere.
Dipinto (immagine 1 dettaglio, immagine 2 totale) di Josef Moroder Lusenberg