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October 27, 2020
Zoom 18_Sandy Attia: comprendere e progettare le forme della vita
Cristina Ferretti
Sandy Attia è nata al Cairo da padre egiziano e madre americana e cresciuta in Kuwait fino al 1991 anno dell’invasione Irachena che ha spinto la famiglia a trasferirsi in Oregon USA, dove a completato il liceo nella città originaria di sua madre. Si è laureata in architettura presso l’università della Virginia. Dopo la laurea è tornata per alcuni anni con suo fratello in Egitto alla ricerca delle proprie radici e per ritrovare anche la propria lingua di origine, lavorando in uno studio di grafica e imparando di sera l’arabo. Ha così avuto l’occasione di conoscere meglio i suoi parenti e la loro cultura. Ritornata negli USA ha conseguito il Master in architettura ad Harvard University dove ha conosciuto suo futuro marito Matteo Scagnol con il quale ha avuto due figli. Nel 2000 si sono trasferiti in Italia ed hanno fondato lo studio “MoDusArchitects” a Roma ed ora hanno la loro sede a Bressanone. Lavorano a grandi progetti privati ed istituzionali, hanno vinto molti premi nazionali ed internazionali: ad esempio nel 2013 lo special jury prize per l’architetto italiano dell’anno.
Vieni da tante parti del mondo. Un giorno decidi di stabilirti in Alto Adige, cosa hai visto nella nostra provincia che ti ha convinta a piantare le radici?
Ho notato fin da subito che questa terra crede nella cultura alta dell’architettura. L’ho notato dalla qualità del processo delle grandi commesse e da come vengono concepiti i concorsi. In Alto Adige permettevano anche ai giovani professionisti senza un curriculum esteso ed una lunga esperienza di iniziare ad affrontare con responsabilità le sfide di un progetto, anche di grande complessità. In questa Provincia l’architettura è vista come portatrice d’identità e cultura. L’ambito pubblico viene valorizzato attraverso edifici di rilievo che consolidano il tessuto urbano ed elevano la qualità della vita e della società.
Che tipo di aspettativa ha la nostra provincia nei riguardi dell’architettura?
Il Sudtirolo è connotato da un dinamismo ed una tendenza propositiva verso la qualità e l’innovazione, partendo ad esempio dalle scuole simbolo del futuro per arrivare alle abitazioni le “case della tradizione”, che riflettono la visione architettonica del momento. Viene dato molto valore e peso alle singole scelte fatte per il rapporto che hanno con la storia e con l’identità del luogo e questo ci aveva affascinato entrambi.
C’è la tensione, quella sana, tra la conservazione dell’immagine del territorio ed allo stesso modo ci si pone la domanda su quale sia questa identità. Questa riflessione sul senso di appartenenza sono domande che ho sempre affrontato, anche per me stessa e quindi ne comprendo l’urgenza e l’origine. Si tratta anche di libertà mentale che si esprime attraverso l’architettura.
Quali sono stati i lavori che vi hanno dato molta soddisfazione?
Prima dei lavori di architettura la soddisfazione l’abbiamo avuta nell’insegnamento. Per diversi anni ci hanno chiamato, me e mio marito, ad insegnare come visiting Professors alla Princeton University. Quando possibile, abbiamo portato gli studenti americani a vedere la nostra realtà, visitando alcuni nostri edifici, ma anche ottimi lavori di nostri colleghi. Ricordo la visita al centro psichiatrico di Bolzano in via Fago dove il Dott. Luigi Basso ci ha raccontato con grande partecipazione come ora viene vissuto questo centro. Quando dopo molti anni ho visto l’edificio, pieno di vita e attività ho provato un enorme emozione ed un senso di soddisfazione, perché si è realizzato quanto desideravo nel progettare la struttura: vedere le persone che in questi spazi stanno bene.
Tutte le ambizioni dell’architettura sono quelle far star bene le persone e portare un plusvalore alla vita degli altri.
Agli studenti americani in questi anni abbiamo fatto fare molte esperienze progettuali, dal museo per Oetzi a Bolzano, ad un intervento per il post-sisma a Camerino nelle Marche, ed infine un intervento al CERN di Ginevra con due proposte progettuali per creare un data center sul sedime del primo acceleratore ora dismesso e un archivio di materiali sensibili. L’insegnamento ha a che fare con la scuola altro tema da me molto caro sia nella ricerca che nella progettazione.
Un esperienza determinante, ricca di soddisfazioni e che mi ha aperto nuovi orizzonti è stato l’invito da parte della Fondazione Agnelli di Torino ad essere consulente nel lungo processo di un percorso culturale per la costruzione di una nuova scuola pubblica finanziata dalla Fondazione. Una collaborazione durata 4 anni nei quali il valore della relazione tra apprendimento innovativo e quello dello spazio è stato determinante. Ho accompagnato questo progetto nella fase di ricerca e creazione. Lavorare con un gruppo molto preparato mi ha fatto crescere ed ho iniziato anche un progetto sulle scuole e sulle eccellenze: un dialogo a 360 gradi.
A quali lavori vi state dedicando?
Stiamo progettando ben cinque scuole di diversi ordini e gradi compresa una a Stoccarda in Germania. Stiamo costruendo il nostro primo albergo sull’Alpe di Siusi ripensando al delicato rapporto tra turismo e il paesaggio e la cultura alpina. Una serie di case private con committenti molto particolari, a Revò nel trentino per un committente che vive a Chicago, a Velturno per un ragazzo che vive in Germania e a Cornaiano una dimora di altri tempi. Negli ultimi anni abbiamo affrontato con fortuna il tema di edifici a servizio della comunità, quali ad esempio il centro turistico di Bressanone, l’Accademia Cusanus e il nuovo ingresso al museo dell’Abazia di Novacella.
Come si pone l’Alto Adige a livello dell’architettura internazionale?
Dal di fuori l’Alto Adige è sinonimo di Architettura con la “A” maiuscola, e questo lo posso confermare visto l’altissimo livello raggiunto da molti colleghi architetti, non solo premiati, ma anche pubblicati a livello nazionale e internazionale.
Usi maestranze locali quando fai progetti all’estero?
Certamente quando ho fiducia nel risultato finale. Sia per grandi progetti, ma anche in piccoli interventi, come ad esempio in una ristrutturazione di una casa che stiamo seguendo a Lugano in Svizzera, dove al cliente abbiamo richiesto che gli interni fossero eseguiti da una falegnameria locale che poteva realizzare quanto da noi previsto.
Cosa l’Alto Adige non ha ancora avuto il coraggio di fare?
La procedura di come vengono affidati i lavori. Le leggi europee e nazionali non premiano la qualità ma una certa mediocrità camuffata con l’economicità dell’offerta. La Provincia dovrebbe svincolarsi da tali sistemi normativi per ritornare al livello degli anni 2000 quando abbiamo iniziato noi a lavorare, dove non era pensabile suddividere e spezzettare la prestazione di progettazione tra diversi professionisti.
La provincia deve avere il coraggio di rintonare al valore del concorso in ogni sua opera, valutando proposte progettuali e non solo offerte e relazione metodologiche che descrivono un metodo ipotetico, ma non ombra di un progetto. Il valore della nostra società è il riflesso di ciò che noi costruiamo e del come lo facciamo, quindi tale processo deve essere custodito per il bene del progetto stesso; per salvaguardarne soprattutto la qualità finale.
In fase Covid bisogna rivedere tutte le regole. Voi avete costruito molte strutture pubbliche. Che ragionamenti avete fatto a casa nei confronti dei progetti sui quali state lavorando?
Sono diversi i livelli ai quali bisogna prestare ancora più attenzione. Innanzitutto, la consapevolezza che l’individuo e la sua sfera privata incidono enormemente sulla collettività, ma soprattutto l’importanza della sostenibilità, parola usata ed abusata, ma sempre più di vitale importanza. Ci vuole un cambiamento radicale, si inizia con piccoli steps. Bisogna proiettarsi verso il futuro per capire i valori e gli spazi al di là delle esperienze fino ad ora vissute. La sfida è sempre aperta verso nuove visioni. Ed è proprio questo che rende interessante ogni progetto e ogni nuovo incontro.
Foto Sandy Attia
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