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September 26, 2020

Cronacamminata 01_Camminare nella natura

Allegra Baggio Corradi
Dieci passeggiate di due ore ciascuna divise ognuna in quattro attività di trenta minuti. Un totale di 10,000 passi per tappa, 100,000 nel complesso, 20 ore in tutto. L’atto del camminare è al centro della cronacamminata a tappe di Erling Kagge, piedandante norvegese che si com-muove, cambia, ringrazia e re-agisce attraversando la natura, le città, il sé, l’arte, i libri e il mondo, con e senza una meta, da Oslo a Bolzano.

StampaI verbi norvegesi røre sig e bevege sig all’attivo significano “muoversi”, mentre al passivo (bli rørt e bli beveget) “commuoversi”.

 
Le poche migliaia di persone che risiedono qui temporaneamente d’estate esplorano e studiano. Nessuno sembra realmente vivere il luogo, nonostante tutti paiano giungervi per capire cosa significhi vivere. Ognuno di loro si muove cautamente, procedendo a passi brevissimi, rapidi e a cadenza regolare su una superficie di quattordici milioni di chilometri quadrati. Lentamente, attraversano i mesi estivi da dicembre a gennaio e percorrono distese eterne in due stagioni transitorie: una breve primavera da febbraio a metà marzo e un fuggitivo autunno dalla seconda metà di ottobre fino a fine novembre. Il sovrano inverno, invece, regna da marzo a ottobre ponendo davanti agli indomiti avventori non pochi ostacoli. 

Uno di loro proviene da lontano; dall’emisfero opposto della terra. È giunto qui solo, per scelta, per trovare il proprio polo, dice. In realtà, scoprirà presto di aver mentito a se stesso e di essere qui per com-muoversi; ma procediamo con dovuta lentezza. Il suo nome è Erling, nato ad Oslo nel 1963. Il suo viaggio è iniziato da pochi giorni e già i paesaggi tutt’intorno iniziano a sembrargli monotoni. Dove sono gli appigli, i punti di orientamento, i colori, le differenze, dove i contrasti? E le persone? All’orizzonte, distese desertiche e acquose, infuocate da più ore di sole della California meridionale. Non un singolo luogo per ripararsi, nessun passante, nessun rumore, nessuna voce, nessuna distrazione. Il paesaggio si impone alla vista, forse perché sono davvero pochissime le persone che trovano il coraggio necessario per confrontarvisi. I rari temerari che giungono vengono rapiti dal vento e agguantati dalle temperature rigide, ingannati dalla costante presenza in cielo di una palla infuocata che non sembra riuscire a imporre il suo calore, mai. 

Oggi è il ventesimo giorno. Fa molto più freddo del solito. Le dita dei piedi e delle mani di Erling si fanno sempre più bianche, continuando a perdere sensibilità. Erling non sa cosa fare, è impreparato, attende che il calore si riappropri lentamente del suo corpo, cosa che non accade, mentre lui, impalato, diventa un tutt’uno con l’ambiente circostante. Il tremore dura ore, ma nemmeno la percezione del tempo ha il coraggio di avventurarsi in questi luoghi, quindi Erling non può avvalersene. Si fa nuovamente carne, Erling, ma non per suo volere. È la natura a scegliere per lui. 

Recuperata una certa sensibilità, decide di continuare a camminare, deve dimostrare alla natura matrigna di essere forte, più di lei, di poter raggiungere i diecimila passi che si è prefisso di percorrere giornalmente. Ricorda chiaramente il pomeriggio in cui stabilì questo parametro. Era a Oslo, seduto a piedi scalzi sul pavimento della biblioteca in legno all’ultimo piano della sua casa. In lontananza il vocio delle sue figlie che giocavano a nascondino tra le cataste di legna da ardere in giardino. Già con il pensiero proiettato verso il suo futuro viaggio a Sud, Erling decise di allontanarsi, lasciandosi alle spalle il mondo per stabilire quanti passi ci sarebbero voluti per non udire nemmeno più un rumore. Oslo, a venticinque minuti a piedi da casa sua, era sempre troppo vicina, con i suoi suoni, i suoi odori, la sua ingombrante matericità. La foresta, a soli cinque minuti, muta, sembrava non esistere. Dunque, Erling uscì, diretto verso ciò che pareva non esistesse. Iniziò a contare e quando arrivò a diecimila si convinse finalmente di essere riuscito a farsi abitare dal silenzio. Fu così che decise che diecimila sarebbero stati i passi necessari ogni giorno per farsi conquistare dalla natura quando si sarebbe trovato solo in Antartide.

Riprendendosi dal congelamento, Erling ricominciò a camminare. Mancavano ancora più di cinquemila passi al traguardo quotidiano. Si toccò il volto per assicurarsi di percepire ogni parte del corpo. Nello sfiorarsi una guancia percepì delle piccole incrostazioni gelate, delle minuscole stalattiti protuberanti aggrappate alla sua pelle come fossero tentacoli. “Poco importa”, pensò Erling, “il solo fatto di essere in grado di percepirle significa che sono tornato in me.” 

StampaAffinché ciò che ci circonda non si limiti a essere bello ma venga elevato alla dimensione del sublime, deve avvenire un cambiamento nella nostra testa.

L’Antartide è il luogo più silenzioso in cui sia mai stato. Sono andato da solo al Polo Sud, e in quel paesaggio monotono che si estendeva innanzi a me a perdita d’occhio non si udivano altri rumori umani se non i miei. Da solo sul ghiaccio, circondato da un grande nulla bianco, riuscivo a sentire e a percepire il silenzio. (…) Tutto mi sembrava uniformemente bianco, chilometro dopo chilometro, mentre mi avvicinavo all’orizzonte e attraverso il continente più freddo del mondo. Sotto i miei piedi trenta milioni di chilometri cubi di ghiaccio premevano sulla superficie terrestre. Ero completamente solo. Col passare del tempo, iniziai però a notare che il paesaggio non era poi così uniforme. Il ghiaccio e la neve creavano formazioni astratte piccole e grandi. Il biancore omogeneo rivelava innumerevoli sfumature di colore. La neve era screziata di azzurro, di rosso, di verde e perfino di rosa. Mi sembrava che la natura mutasse sotto i miei occhi, ma mi sbagliavo. Il paesaggio rimaneva lo stesso, ero io che cambiavo. Nel mio diario, il ventiduesimo giorno, scrissi: “A casa mi godo solo i grandi bocconi. Quaggiù invece imparo a dare valore ai piccoli piaceri. Le sfumature di colore della neve. Il vento che si placa. Una bevanda calda. Le formazioni di nuvole. Il silenzio.” (…) A casa c’è sempre un’automobile che passa, un telefono che squilla, che fischia o che vibra, qualcuno che chiacchiera, sussurra o grida. Alla fine i rumori sono così tanti che li sentiamo a malapena. In Antartide era totalmente diverso. La natura mi parlava del silenzio. Più era totale, e più distinguevo i rumori. Ogni volta che facevo una pausa e che non c’era vento, avvertivo un silenzio assordante. (cit. “Il silenzio”, pp. 10-11).

Il ventiduesimo giorno Erling capì che ciò che cambia camminando in natura è il nostro rumore interiore. Non perché sia la natura a suggerirci di fare o rimanere in silenzio, ma perché finalmente siamo presenti a noi stessi, perché troviamo il coraggio di affrontarci. Appena si entra in natura, appena si esce da sé per scoprire il mondo, questo scompare. Non rimaniamo che noi. Noi che siamo silenzio, ma ci ostiniamo a inquinarci di zang-tumb-tumb pic-pac-pum-tumb cia-cia-cia-cia-ciaak zing-zing-sciaaack. Camminando cessiamo di nasconderci e affrontiamo, finalmente, noi stessi: il silenzio.

StampaQuando si abbandona un bivacco, ricordarsi di lasciare sul posto due cose. La prima: niente. La seconda: i ringraziamenti.

Successe il trentesimo giorno. Tanto ci mise Erling a comprendere cosa fossero quelle perle ghiacciate che attecchirono al suo volto quando rischiò per la prima volta il congelamento. Non appena capì, si fermò, smise di camminare, si gettò a capofitto tra le pagine del suo diario di viaggio per fissare l’intuizione. 

Giorno 22. A volte il vento e il gelo mi imprigionano in una morsa. È tale il freddo da farmi perdere totalmente la sensibilità. Il dolore si avverte quando le parti del corpo stanno per congelare, poi scompare. Ritorna quando iniziano a scongelarsi. Tutta l’energia che ho la uso per scaldarmi. Lo scongelamento è più doloroso del congelamento. Le lacrime ghiacciate lungo le mie guance il ventesimo giorno di cammino erano il mio ringraziamento di fronte alla concessione che mi fece la natura quando mi concesse di percepire com-muovendomi. Non me ne resi conto allora. Ci vollero dieci giorni perché capissi il vero significato del mio pianto. Quando chiamiamo dolore la nostra sofferenza, in realtà, abbiamo iniziato a guarire.

Erling chiuse il diario, lo ripose nello zaino e si rimise in moto. Da quel giorno in poi non dimenticò mai di ringraziarsi per aver finalmente trovato il coraggio di camminare in natura per scongelarsi più e più volte.  StampaUna camminata può durare una vita intera. Puoi anche andare in una direzione, per poi tornare dov’eri partito.

Al traguardo quotidiano mancava davvero pochissimo. Erling intercettò con la coda dell’occhio il contapassi che portava al polso cercando di resistere all’euforia della conquista. Sapeva che a obiettivo raggiunto, la tecnologia lo avrebbe celebrato al suono di tititititititititititititi, quindi, perché sentiva ancora la necessità di appurare con lo sguardo lo stadio esatto del suo progresso giornaliero quando poteva farsi natura fino a quando il silenzio non sarebbe stato interrotto dall’unico suono artificiale che si era portato con sé da Oslo? In realtà era stata la compagnia che lo aveva trasportato sino al margine più settentrionale dell’Antartico ad averlo obbligato a portare con sé un contapassi. Si era fidato affidandosi ad esso. Il trentesimo giorno, dopo aver capito il valore del ventesimo, Erling comprese anche l’inutilità dell’utilitarismo. Fu allora che ruppe il contapassi saltandoci sopra con gli scarponi. Udì stridere, come se il battito che animava quell’aggeggio avesse smesso di riprodursi da un istante all’altro. Solo allora, fu davvero pronto per farsi abitare dal silenzio. Non seppe mai di aver continuato a camminare ben oltre i diecimila passi che si era prefisso quel pomeriggio sul pavimento della sua biblioteca ad Oslo. Solo ascoltando i suoni interiori che aveva sopito capì che camminare nella natura è farsi polo del silenzio. 

 

***
Per entrare ancora più a fondo nell’universo poliedrico di Erling Kagge, potete visitare fino al 14 febbraio 2021 la mostra “Walking. Movements North of Bolzano” al Museion di Bolzano, nella quale Kagge – curatore e collezionista – ha selezionato oltre 60 opere di 30 artisti e artiste del Nord Europa. 

 

Graphic design by Paula Boldrin

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