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September 21, 2020

Stefano Torrione: fotografare in apnea

Allegra Baggio Corradi

Se per vedere la montagna bisogna guardare in alto, per pensarla bisogna guardare in basso.

La fotografia di Stefano Torrione è sguardo pensato. ‘Panmontismo’ lo chiama lui; un’elaborazione del concetto di ‘intramontismo’ sviluppato dal valdostano abbé Henry nel Settecento dopo che scalò il Gran Paradiso con un asino di nome Cagliostro per dimostrare l’accessibilità delle Alpi agli escursionisti che ancora non si sapevano tali. Se anche un ciuchino è in grado di scalare il dorso di un gigante roccioso, pensava l’abbé, perché non potrebbe farlo un uomo della specie sapiens sapiens? Eppure l’intramontismo del suo corregionale lascia Stefano insoddisfatto perché elide la tridimensionalità della montagna, ne considera gli interstizi piuttosto che le continuità, ne enfatizza i particolari piuttosto che il suo universale linguaggio affettandola con contorte cortesie per gli ospiti.

Dunque, il ‘panmontismo’: visione a tutto tondo della galassia-montagna, immutata nei secoli, incurante della forma, incurabilmente malata di coerenza, febbricitante perché arde di ardore. Una magia senza colore quella della montagna di Stefano. Alpimagia, come la definisce lui stesso.

I racconti alpimagici di Stefano sono a focalizzazione interna variabile. Il discorso indiretto libero dei suoi scatti solleva l’osservatore dal compito di voltare continuamente la testa a destra e a sinistra per osservare prima chi domanda e poi chi risponde, finendo per travisare il senso del discorso a discapito di un sofistico desiderio di persuasione. Stefano non tenta, non vuole convincere. Non c’è bisogno di forzature perché è la montagna stessa a far rimanere diritti, con lo sguardo fisso in avanti, affilando sempre di più la penetrazione del cono ottico come in un piano sequenza, conducendo dalla visione d’insieme verso il midollo delle vite pietrificate dall’obiettivo. La fatica di domandare e rispondere l’ha già fatta tutta Stefano fendendo coltri di neve che paiono marmo bianco durante la sua caccia all’homo selvaticus. 

Gli homini selvatici, quelli che Stefano insegue per dare corpo al suo panmontismo, sono montanari che “non sanno di essere frammenti di uno stesso sogno”. Ignorano i valdostani che l’iperico dei loro prati è lo stesso che si raccoglie in Sudtirolo. Non sanno i valtellinesi che i caprioli che sacrificano sono gli stessi che mangiano i friulani. Stefano lo sa. Stefano ha guardato in basso capendo che la vetta della montagna non si acquista, ma si conquista con l’umiltà di una prospettiva universale. “Stefano è uno di noi”, pensano i Krampus guardando dritto in camera. “È giunto perché anche lui, come noi, è qui per essere il primo uomo a vedere il primo inverno. Anche lui è un homo selvaticus”. 

Non poteva limitarsi al reportage Stefano, che per quindici anni ha immortalato l’uomo e l’animale per riviste di natura, scienza e viaggi documentando tantissime forme di vita diverse. Educato l’occhio all’altro lo ha poi rivolto verso ciò che conosceva meglio, forse talmente bene da non accorgersene più ed è così che è tornato da dove era venuto: in montagna. Fotografare ciò che si conosce meglio di qualsiasi altra cosa non può che venire dopo tutto il resto perché significa, in realtà, fotografarsi. “Sono un montanaro”, dice fieramente Stefano durante la nostra conversazione peripatetica per le strade del centro di Bolzano. Ed è per questo che dal reportage è passato al colportage, distribuendo visioni del “Panmontismo” in forma di foto, libri e mostre per di-mostrare la continuità e la matericità della montagna come organismo tutt’altro che dormiente; “un progetto mio” lo definisce semplicemente lui stesso, il cui nome, come tutte le migliori idee, gli è giunto mentre era in movimento: Alpimagia. Dalla sua natia Val d’Aosta al vicino Piemonte passando per la Liguria, la Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Sudtirolo: è un tutt’uno. Stefano ha smesso di viaggiare quando si è reso conto che i confini che separavano queste terre non mettevano fine ai luoghi. Questi continuavano a srotolarsi piano piano, come una fisarmonica che si distende da occidente ad oriente senza incepparsi; un unico suono lungo un unico suolo. I confini sono invenzioni, costrutti che vanno distrutti e Stefano lo fa con la fotografia.

Il panmontismo di Stefano ruota intorno ai contrasti. È femminile nello scatto di un’anziana donna con un mazzo di fiori di campo in mano, capelli della terra; maschile nei volti dei Krampus che esorcizzano la follia figlia dalla fatica con riti e ritmi forsennati. È stato brado quando si mostra nei panni di un uomo travestito da animale che si toglie la maschera per accarezzare un cavallo; è educato quando avvolge di silenzio una ragazza che si cala in acqua per nuotare. È fuoco quando brucia alla luce della luna e dei falò per inneggiare al tramontare dell’estate; è acqua quando si scioglie piano piano dopo il lungo inverno innevato. È sacra quando si riempie di magia incolore; è profana quando si inzuppa di lacrime alcoliche dimentiche del dovere. È alta quando fa sentire piccoli davanti all’infinito; è bassa quando schiaccia per ricordare di essere umili, per costringere a stare con i piedi per terra, per sentire quanto è duro il suolo, se solo si ha il coraggio di camminarci a piedi nudi.

Il suolo è duro perché la montagna fu prima mare. Ciò che ora è in superficie, un tempo era sommerso. Stefano non è dimentico. Per questo quando si immerge nel flusso vitale dei riti montanari fotografa come fosse in apnea, senza mai riprendere fiato perché è nello iato che si dissolve l’alpimagia. 

Wilder Mann urbano. Antropologo silvestre. Homo selvaticus. Stefano è nel suo habitat quando si trova nella terra di mezzo, sospeso tra il basso e l’alto. Un montanaro che repelle il folklore perché giudica la montagna senza conoscerla, la condanna ad un inferiorità ingiustificata, rendendola il prodotto fittizio di un pensiero astratto che non si sporca le mani con una realtà fisica e materica che accoglie solo chi cerca la propria libertà nella partecipazione. Si mimetizza completamente Stefano, per introiettare ciò che si conquista solo con la lotta. L’intellettualizzazione estetizzante è assente dagli scatti alpimagici di Stefano che con il suo grandangolo cattura il respiro universale della montagna tutta. In una sola parola, panmontismo. 

La mostra di Stefano Torrione, Alpimagia – organizzata dal CAI sezione di Bolzanoè visitabile presso il Museo Civico di Bolzano dal 19 settembre 2020 al 25 Aprile 2021, accompagnata dagli evocativi testi del Premio Strega Paolo Cognetti. Il catalogo della mostra è acquistabile presso le librerie Ubik e Cappelli di Bolzano.

Foto @Nicola Magrin

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