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September 9, 2020

Veronica Spano – Designerin, Aktivistin und Kulturproduzentin

Susanne Barta

Sie hat in Bozen an der Fakultät für Design und Künste studiert, sich an der Copenhagen Business School in Fashion Entrepreneurship vertieft, einen Master für Innovation in Bologna gemacht und am Central St. Martins in London einen Kurs zu Fashion Manufactoring absolviert. Aktuell arbeitet Veronica als Chief Commercial Officer bei SOFFA, der Social Fashion Factory in Athen, die Fiori Zafeiropoulou in den letzten Jahren aufgebaut hat. Veronica hat sich dort aufgrund des Interviews, das ich mit Fiori vor einem Jahre geführt habe, bei SOFFA beworben. Das hat mich sehr gefreut! Veronica ist nicht nur top ausgebildet, sondern auch sehr engagiert: In ihrem persönlichen Projekt „Fashion Guerilla“ zum Beispiel setzt sie sich mit sozialen und umweltbezogenen Aspekten der Modeindustrie mit den Mitteln der Performance auseinander.

2 Veronica @ work © Veronica Spano

Veronica, du hast in Bozen an der Fakultät für Design und Künste studiert. Welchen Zugang hast du zu Design?

Il mio approccio al design si è evoluto nel tempo. Sono passata dal considerarlo una pratica industriale, strettamente divisa dall’arte, a constatare l’efficacia del ‘design thinking’ in progetti altamente sperimentali nel sociale e nell’ambiente urbano. Paradossalmente, è da quando ho approcciato le scienze economiche per l’ambiente e la cultura, che ho capito il vero significato di Design, o meglio Progettazione/Gestaltung, e di quanto siano stati preziosi i miei studi a Bolzano. Il critico d’arte Giulio Carlo Argan ha descritto il mio approccio nella maniera più efficace, affermando l’imperativo: “Progettare per non essere progettati”. Questo è per me il design: un insieme di pratiche artistiche, progettuali e di management, che siano capaci di fondare il pensiero e l’azione concreta in tutti gli ambiti d’intervento della società e dell’ambiente – con l’obiettivo che un oggetto, un servizio, un’immagine e un’impresa, siano pensati per contribuire a un sistema economico, sociale e politico chiamato a dare forma a un futuro veramente condivisibile. In questo senso, il design è necessariamente Design Futuring (Tony Fry, 2009), la progettazione olistica, informata e creativa di un futuro sostenibile.

Wann ist dann die Beschäftigung mit nachhaltigen Praktiken in der Mode dazu gekommen?

È stata prima di tutto “Fashion Guerrilla”, la tesi svolta presso l’unibz, a insegnarmi le grandi potenzialità della moda in termini di emancipazione dell’individuo. È nata un po’ per gioco, ed è diventata una performance urbana che denuncia i conflitti tra cittadini e multinazionali attraverso i vestiti. Un mix di tessuti tradizionali e corporate identities delle multinazionali componevano degli outfits, o meglio ‘discussion pieces’, da indossare per provocare uno spazio di discussione sui diritti umani e dell’ambiente. Alla Copenaghen Business School mi sono poi immersa in corsi d’imprenditoria nella moda e nella sostenibilità e in analisi sulle filiere globali di cotone, filati, bamboo, caffè, ed ho capito che il design e la scelta dei materiali influenzano più di quanto crediamo i flussi economici e le scelte politiche mondiali. Da lì, mi sono sempre più interessata allo studio delle filiere della moda italiana, della crisi della moda globale, delle nuove tecnologie e scoperte scientifiche disponibili e dell’economia circolare. Ho quindi lavorato in start-ups e aziende che si occupavano di questo.3+4 Veronica @ work © Veronica Spano

Italien ist ein erfolgreiches Mode-Land, hinter den Kulissen der Modeindustrie aber spielen sich viele sehr unschöne Dinge ab. Du arbeitest gerade an einer umfassenden Recherche über Mode „Made in Italy“ und sagst, sie habe das Potential, die nachhaltigste und verantwortungsbewussteste der Welt zu werden. Was müsste sich dazu verändern?

La mia tesi magistrale “Chi sa fare, fa. Made in Italy Manifesto – Proving it is needed and possible to rethink the Italian business model and start a value-driven fashion business”, dimostra l’incredibile potenziale che risiede nelle tradizioni, nell’inventiva e nella conformazione del territorio italiano. Per produrre moda Made in Italy a un prezzo accessibile bisognerebbe sostituire l’economia di scala delle multinazionali (che hanno dislocato le proprie produzioni, non pagano le tasse in Italia e non contribuiscono a restituire valore al territorio), con l’economia di scala dei distretti industriali italiani e delle loro PMI e laboratori artigianali, organizzando il territorio in modo che le aziende coprano insieme la domanda interna ed esterna, e che si organizzino attorno ai principi dell’economia circolare: rigenerare, condividere, ottimizzare, creare il loop. Lo stato, poi, dovrebbe ricoprire un ruolo fondamentale: occorrono informazione e leggi a discapito di tutti quei prodotti che non prevedono di essere riciclati e rigenerati. Per quanto riguarda le materie prime, i filati, lo stato dovrebbe invece investire in macchinari e aziende capaci di chiudere i buchi mancanti delle filiere.

Du arbeitest seit einiger Zeit für die Social Fashion Factory SOFFA in Athen. SOFFA arbeitet mit Opfern von Menschenhandel, ihr bildet sie aus und bereitet sie auf eine selbständige Zukunft vor. Wie gelingt das?

SOFFA è una cooperativa sociale, che si occupa appunto della formazione e integrazione lavorativa nella moda sostenibile di donne vittime di tratta ed immigrati, al fine di permettere loro di garantirsi non solo la sopravvivenza, ma un futuro da esseri umani. Lavoriamo come una vera e propria manifattura a servizio di business nel settore moda, da giovani designers e imprenditori, a brands già conosciuti. Forniamo servizi di co-progettazione del capo, di sourcing dei materiali, di produzione e spedizione, reinvestendo i profitti nell’ampliamento dei nostri laboratori e pratiche di disseminazione della nostra conoscenza. Il business di SOFFA si identifica sotto il nome di imprenditoria sociale, ma in realtà per me questo è l’unico tipo di imprenditoria che dovrebbe esistere in un mondo giusto e prospero.

5 © Veronica Spano soffa team during a workshop on fashion design

Die Corona-Pandemie hat die Textilindustrie hart getroffen. Wie optimistisch bist du, dass sich in absehbarer Zeit die Industrie zum Besseren entwickelt?

Purtroppo non sono molto ottimista, per una questione di mancanza di cultura e fiducia verso altre forme di organizzazione della società, che non sia quella neoliberista. Gli investimenti da affrontare per modificare i business models delle compagnie tessili e di moda esistenti, in business models più sostenibili ed etici sono altissimi e snaturerebbero molte compagnie (vedi le compagnie di fast fashion). Inoltre, nei paesi in via di sviluppo, per i produttori è impensabile resistere ai dettami delle fast fashion value chains che, in gergo tecnico, si dicono ‘captive’, ovvero dove la governance, il controllo su costi e pratiche, è esercitato dalla multinazionale su tutti gli altri fornitori. L’unica speranza è un cambiamento della mentalità del consumatore, anch’esso comunque soggetto alla polarizzazione della ricchezza e che, temo, avrà sempre meno potere d’acquisto se non si adotteranno serie politiche a beneficio del welfare e del lavoro, soprattutto nel settore creativo e nella ricerca.

6 Fashion Guerilla © Veronica Spano

Was kann deiner Meinung nach jede*r einzelne von uns tun?

Allo stesso modo in cui abbiamo lentamente imparato che la carne, la frutta e la verdura non nascono belle che pronte al supermercato, penso che sia necessario ricordare a noi stessi, quotidianamente e con disciplina, che neanche un vestito nasce direttamente in negozio. Dobbiamo imparare a investire meglio il denaro che abbiamo a disposizione e sapere che non ogni euro, ma addirittura ogni singolo centesimo che spendiamo, costituiscono un voto, un voto politico che supporta il sistema che ha permesso a quel prodotto di arrivare sugli scaffali. Anche se il problema risiede a migliaia di chilometri da noi, ogni volta che paghiamo una maglietta meno di 30 euro dobbiamo sapere che in qualche punto del mondo e della filiera, abbiamo validato lo sfruttamento e la violazione dei diritti umani e dell’ambiente. E questo dato non è soggetto a dibattito o negoziazione, è la realtà verificata da numerosi studi. Occorre lottare contro la dissonanza cognitiva, che ci porta ad affermare pubblicamente di aderire al modello sostenibile affinché l’opinione pubblica ci possa giudicare positivamente, ma di non svolgere in concreto nessuna azione per modificare il nostro stile di vita. 

Deine nächsten Schritte?

Sto lavorando a un progetto di comunicazione di tutte le conoscenze, esperienze e sfide che contraddistinguono gli individui e le imprese nel campo della moda sostenibile. Anzi, se qualche giovane designer fosse interessat* a sviluppare dei contenuti originali e sperimentali sul mondo della moda, della sostenibilità e dell’economia circolare, non esiti a scrivermi per una collaborazione a veronicaspano@icloud.com! 

Fotos: (1 + 6) Fashion Guerilla © Veronica Spano; (2–5) Veronica @ work © Veronica Spano  

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