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August 14, 2020

designers made in BZ 11_Cinzia Damonte

Claudia Gelati

Illustratori, designer del prodotto, grafici, social designer, fotografi, esperti di comunicazione… Personalità diversissime tra di loro che oggi ‘fanno cose’ e lavorano nei settori più diversi sparpagliati per tutta l’Europa, con il comune denominatore di aver fatto di Bolzano la propria casa almeno per un periodo, abitando le vie della città, decifrando lo slang locale ma sopratutto progettando e studiando negli atelier e nelle officine della nostra Facoltà di Design e Arti di Unibz. Designers made in Bolzano, appunto.

Andiamo con ordine: chi è Cinzia Damonteda dove viene (e dove va) e cosa fa oggi nella vita per mettere in tavola la famosa pagnotta? 
Vengo da un paesino sulla costa ligure, un luogo tranquillo, un po’ come sono io. A scuola ero la persona silenziosa che passava il tempo a disegnare e ascoltare le vicissitudini e problemi dei miei amici. Alle superiori ho iniziato a fare disegni inizialmente per amici e conoscenti, poi su commissione, facendo ritratti a matita di animali domestici. La passione per il disegno mi ha portato quindi a volere un lavoro creativo, qualcosa che mi permettesse di migliorare le mie abilità e mettere in pratica le mie idee.

Oggi lavoro come designer di prodotto in Germania per Haba, un’azienda che progetta giocattoli e accessori per bambini. E’ un lavoro molto vario e stimolante che mi permette di realizzare molte illustrazioni e imparare a creare prodotti divertenti, di qualità e sicuri per i più piccoli, oltre che fare esperienza per quanto riguarda disegni tecnici, l’uso di software vari e i metodi di lavorazione del legno e della stoffa. 

Portrait picture frame for A4Da ex-studente della facoltà di Design e Arti di casa nostra: come sei arrivata a Bolzano e ci sono degli insegnamenti, dei valori o un metodo che hai acquisito in Facoltà e che ancora oggi trovi utili nel tuo lavoro di creativo/designer/progettista/illustratore? 
Dovendo scegliere un percorso universitario, Bolzano mi era sembrata parecchio interessante, in parte per la buona reputazione ed in parte per il lato più “internazionale” che mi avrebbe permesso di imparare e migliorare le lingue. Il tedesco mi piace e mi serve tutt’oggi per il mio lavoro, ma è stata una bella sfida! Penso i miei ex compagni di corso possano confermarlo. 

Una delle cose che ho imparato a Bolzano è il modo di pensare e guardare le cose intorno a me, un po’ fuori dagli schemi, cercando sempre opportunità di design. Mi è molto utile anche l’approccio molto pratico e multidisciplinare che mi ha permesso di esplorare e collegare diverse materie, dal disegno (sia artistico che tecnico) alla grafica, la fotografia, il design di prodotto, il lato psicologico/sociale/storico del design, l’esperienza con macchinari e la realizzazione di prototipi nelle officine del legno, metallo, tipografia etc. 
Infine il lavoro di gruppo, quello è sempre importante perché da designer raramente si lavora da soli.

1- KoordiCon la fine del percorso universitario come ti sei sentita? Sapevi già cosa avresti voluto fare e quali esperienze hai fatto nel mentre?
Ero un po’ in confusione devo dire. Mi interessano sempre diverse cose e decidere una direzione non è stato facile. Di sicuro sentivo il bisogno di specializzarmi e continuare a studiare. Bolzano fa un ottimo lavoro nel permetterti di fare esperienza in diversi ambiti e direzioni del design, ma appunto questo crea una preparazione più generica rispetto per esempio ad un corso tutto incentrato sul product design o sulla comunicazione visiva. 
Ho cercato quindi un master che potesse fare al caso mio e così sono approdata a Kolding, in Danimarca. Si chiama “Design for Play” ed è uno dei pochi corsi del suo genere che si focalizza sui benefici del gioco (per bambini e adulti), la psicologia che ci sta dietro e l’uso che se ne può fare nel design (durante il processo di progettazione, per trovare nuove idee o come parte del risultato finale stesso). Divertimento e creatività possono portare a soluzioni ed idee altrimenti difficili da trovare. 

Dai ora puoi anche dircelo, tanto non ci legge nessuno: cos’è il design per te e qual’è la tua visione, il tuo credo progettuale? 
Per me il design è un po’ come un percorso a tappe, da intraprendere con la giusta mentalità e portandosi dietro uno zaino piene di esperienze e metodi pronti all’uso. Ogni progetto è un’avventura nuova, ma avendo gli strumenti giusti non c’è nulla da temere. Si inizia esplorando il tema, informandosi, mettendosi nei panni di chi è coinvolto. Poi si individua il problema da risolvere o l’aspetto da migliorare e si va nella fase più creativa cercando soluzioni ed idee innovative. Infine si creano prototipi, schizzi, o quello che serve per testare il proprio concetto, ripetendo il tutto finché non si è soddisfatti del risultato.

In Danimarca ci dicevano sempre “trust the process” (fidati del processo di design) perché sebbene alle volte ci si ritrovi scoraggiati e a corto di idee, avendo pazienza e metodo eventualmente ci si sblocca e si arriva ad una buona soluzione.
In generale ho un approccio piuttosto pratico. Per me il design è innovazione e contribuisce a rendere il mondo un posto migliore: un po’ più bello (perché l’occhio vuole la sua parte), ma soprattutto più funzionale. 

Nagual SetTra i progetti e/o collaborazioni che hai seguito, raccontacene uno che ti sta particolarmente a cuore e che non possiamo non conoscere. Progetti futuri o al quale stai lavorando al momento? 
Ho avuto la fortuna di fare parte di progetti interessanti, è difficile scegliere! Direi che l’esperienza più significativa è stata la tesi del mio master. Insieme ad una mia compagna di corso volevamo esplorare il tema del gioco da un punto di vista interculturale, in particolare relativo a metodi educativi e apprendimento, argomenti che mi hanno sempre appassionato.

Grazie alla scuola di design danese, abbiamo iniziato a collaborare con la Lego Foundation, che è la parte non-profit dell’azienda che si occupa di ricerca e progetti per dare sostegno in ambito educativo in zone e paesi dove le risorse economiche sono limitate. Ci siamo così ritrovate su un aereo, in un lungo viaggio verso Johannesburg, in Sud Africa (dove la Lego ha un ufficio e dei progetti in corso). Lì abbiamo avuto modo di visitare diverse scuole in una “township”, un quartiere in zona semi-rurale dove purtroppo il governo non fornisce supporto adeguato nell’ambito educativo e ancora si vedono gli effetti della segregazione razziale avvenuta in passato. Con circa 40-50 bambini per classe e poche risorse, le maestre sono davvero in gamba a gestire la situazione, spesso usando canti e balli per far concentrare gli studenti ed insegnare numeri e colori.
In questo contesto abbiamo sviluppato Oh-Nine, un semplice kit/gioco educativo che ogni bambino può creare da materiali riciclati (senza nessuna spesa aggiuntiva) e usare sia in classe che in famiglia. Abbiamo poi realizzato un libro illustrato da rendere disponibile gratis (anche in formato digitale), dove si spiegano in modo semplice e visivo più di 80 attività possibili con il kit, per sviluppare la creatività e le abilità cognitive, fisiche e sociali. 
E’ stata un esperienza molto ricca sia per il lato culturale, sia per il fatto di riuscire ad avere un impatto positivo e immediato su problemi reali, che ci siamo ritrovati davanti ai nostri occhi. Spesso in università si fanno progetti in maniera più astratta e concettuale, che come esercizio sono davvero utili, ma le soluzioni ed idee sono molto più efficaci e mirate quando si inizia un progetto osservando e interagendo con i diretti interessati.

Al momento mi concentro sul lavoro, cercando nuove idee e realizzando schizzi per trovare uno stile di disegno semplice a simpatico che piaccia ai più piccoli. Non è un compito facile per me, avendo sempre amato disegnare in modo molto realistico. In più, insieme al mio ragazzo (game designer e programmatore) stiamo lavorando ad un app/gioco di tipo esplorativo che si chiama Catmosphere e un po’ come dice il nome, ha come protagonisti dei teneri gattini persi nello spazio. Niente di serio o remunerativo, solo un progetto divertente per metterci alla prova e combinare le nostre diverse abilità ed esperienze per creare qualcosa di nuovo. 

Oh Nine2Nei mesi scorsi abbiamo vissuto un’emergenza sanitaria senza pari, almeno negli ultimi decenni. Come è cambiato il tuo lavoro a causa del Covid19? Pensi che il design possa dare un contribuito importante in casi di crisi come questi e/o quale ruolo sociale può assumere? Raccontaci il tuo punto di vista. 

Come dicevo, penso che il processo di design possa essere molto utile per trovare soluzioni creative ed efficaci ai problemi. E con la pandemia si creano tante situazioni nuove per la società, dove sicuramente il design può dare un contributo positivo. Per esempio, ho letto di un’azienda belga che ha progettato un pezzo aggiuntivo da attaccare alle maniglie delle porte, permettendo di aprire e chiudere agevolmente con l’avanbraccio senza dover usare la propria mano (e quindi esporsi ad una possibile contaminazione).  

Il mio lavoro non è cambiato molto a dire il vero. Ho la fortuna di essere in un ambito non troppo colpito dalle conseguenze del lockdown, essendo i giocattoli per bambini piccoli spesso di uso domestico e ordinabili online. Con gran parte del team di design che lavorava da casa, ci si è dovuti abituare a comunicare in maniera remota, ma penso che questo abbia anche i suoi lati positivi fornendo più flessibilità nel gestire come (e da dove) si lavora. 

skills- visione generaleTi lasciamo tornare al lavoro o a guardare Netflix o ad accarezzare il gatto, ma prima dicci un po’ … Quel libro che non può mancare nella libreria di un designer/creativo
Non è strettamente legato al design ma mi sento di nominare “Esercizi di stile”(R. Queneau), un libro che contiene la stessa breve storia narrata in 99 modi diversi. E’ davvero interessante vedere (o meglio leggere) così tante interpretazioni, è un inno alla creatività e fa pensare a quanto per capire davvero le cose sia importante avere buona capacità di osservazione e mettersi dei panni degli altri, considerare che il nostro punto di vista è solo uno tra tanti. 

Nell’ambito della tipografia poi ho apprezzato gli aneddoti storici e la facilità di lettura di “Sei proprio il mio Typo” (S. Garfield). Sul design in generale consiglio vivamente “Guardare, Pensare, Progettare” (R. Falcinelli) per il collegamento tra design, psicologia e neuroscienze.

Due strumenti, un attrezzo, un aggeggio che non manca mai nel tuo astuccio o zaino
Adoro i post-it per buttare giù idee velocemente e poterle spostare, collegare, organizzare a piacimento. Poi ci vuole sempre uno sketchbook ed una buona penna (rigorosamente nera di tipo fineliner) perché scrivere e disegnare mi aiutano a elaborare e dare una forma più tangibile a quello che mi passa per la testa.

 Tre account instagram must-follow 
Su Instagram seguo principalmente illustratori e artisti, quindi posso nominare alcuni di loro. 

 – @kerbyrosanes:  adoro i suoi disegni a penna in bianco e nero, molto “ricchi” e precisi. Rendono un semplice sketchbook un’opera d’arte piena di vita

@digitalbobert: Bobby Chiu ha davvero talento, sia in digitale che su carta, le sue creature e ambienti fantastici hanno qualcosa di magico e speciale

@juliasart: una serie di minuscole illustrazioni sorprendentemente dettagliate, consiglio la pagina soprattutto a chi, come me, ama gli animali e apprezza il disegno realistico

 

Photo Credits:
1,2,3,5.  Cinzia Damonte 
4. Beate Luize Neimane

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