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July 30, 2020
Forno Vagabondo: impastiamo e inforniamo futuri desiderabili
Francesca Fattinger
Appena ho sentito il nome Forno Vagabondo è nata in me una scintilla che sempre più ostinata mi ha condotto a volerne sapere di più: un misto di curiosità, ricordi, domande, profumi e immagini. Flora Mammana e Matteo Pra Mio mi hanno raccontato cosa si nasconde dietro a queste due parole e come immaginavo il mondo che intravedevo attraverso una serie di lettere e pensieri, nasconde passione, persone, sogni di futuri più sostenibili, accoglienti, in cui sensibilizzazione e biodiversità siano posti al centro di un dialogo mai fermo. Un vagabondare di forno e di incontri, di pensieri e di pane, il tutto impastato insieme per conoscerci e riconoscerci sempre di più. Il Forno Vagabondo è in tre parole: un forno sociale itinerante. Il 30 luglio comincia il suo viaggio per i paesi dell’Alta Vallagarina e sarà a Calliano, mentre l’1 Agosto sarà il turno di Nomi, con un’attività di “forno aperto” in cui ognun* potrà infornare le proprie creazioni. Il forno si muove su una bicicletta elettrica, scelta sostenibile importante e in linea con l’etica del progetto, e creerà attorno a sé la possibilità di mettere letteralmente le mani in pasta, o meglio in pane! Il sistema pane è molto più complesso di quanto si possa immaginare, è composto di ingredienti, di ambiente, di tempo, di comunità, di trasporto, di storie e di persone, ma ha in sé anche quell’estrema immediatezza e vicinanza che ci può permettere di comprendere tanti elementi nascosti o che viviamo inconsapevolmente nella nostra quotidianità.
Scopriamo direttamente dai protagonisti come è nato il progetto, come hanno affrontato la quarantena e infine… come si fa una “pasta madre”.
Chi si nasconde dietro il progetto Forno Vagabondo e quando è nata l’idea di realizzarlo?
Il forno sociale, mobile nasce da una serie di esplorazioni che hanno avuto luogo nel territorio Roveretano dall’estate 2019 alla primavera 2020.
Durante una “Design Residency” presso l’Accademia di Comunità “La Foresta”, situata nella stazione ferroviaria di Rovereto, Flora ha voluto scoprire come la sua passione per la cottura del pane con il lievito madre potesse servire come mezzo di interazione con gli abitanti e i visitatori del luogo per coltivare nuove sensibilità e vedere con uno sguardo nuovo le relazioni tra esseri umani e non-umani. In questo periodo Flora ha visitato coltivatori/trici di cereali, associazioni socio-culturali e progetti artistici della regione che si occupano di pane o di fermentazione in senso lato, e ha tenuto laboratori per fare rete con la comunità. Attraverso queste esplorazioni emergenti e l’ampia rete della Foresta, abbiamo formato un gruppo interessato al pane e all’agri-cultura e abbiamo scritto una proposta progettuale.
Uno degli obiettivi principali alla base del concetto del Forno era quello di creare comunità nei luoghi pubblici tra persone, portando attenzione alle relazioni tra umani, microbi, insetti, cereali, la terra e molte altre creature che fanno parte del nostro ambiente e del “sistema pane” e ci permettono di realizzarlo e condividerlo.
Il Forno diventa quindi un veicolo per portare nelle piazze, attraverso il fare in comune, le tematiche legate all’educazione ambientale. Ciò avviene non attraverso lunghi discorsi, ma attraverso una politica prefigurativa, cioè vivendo e sperimentando un’utopia tangibile in prima persona, infilando letteralmente le mani in una nuova narrazione.
Il progetto è stato reso possibile grazie al sostegno della Fondazione Trentino del Volontariato e di 6 partner (Portobeseno, Italia-Nicaragua, Multiverso, Brave New Alps, La Foresta, Goever-Cerali del Trentino) e di numeros* volontar*.
Il vostro intento è quello di sensibilizzare chi incontrate nel vostro viaggio su temi complessi e quindi spesso difficili da spiegare con semplicità, come economia circolare, centralità della biodiversità e adattamento al cambiamento climatico. Per farlo avete scelto il pane. Quali sono le sue potenzialità?
Il pane è l’alimento umile per eccellenza. E’ uno degli alimenti che esiste in forme diverse in quasi tutte le culture umane e ha sempre avuto una forte componente unificante di costruzione della comunità. E’ un alimento semplice e complesso allo stesso tempo ma soprattutto è un alimento “povero” e ricco allo stesso tempo, è un simbolo di inclusione e comunità. Nella panificazione e condivisione del pane, cultura, passato, presente e futuro si intrecciano. Noi pensiamo che queste sue qualità uniche lo rendano un veicolo perfetto per “impastare” futuri desiderabili in comunità.
Il nostro lievito naturale fa il pane con noi da diversi anni. Attraverso la sua osservazione e numerosi esperimenti, il nostro punto di vista su come ci relazioniamo con ciò che non possiamo semplicemente vedere (microrganismi) o capire è cambiato completamente.
La fermentazione del pane è per noi un modo per renderci consapevoli delle molteplici e fittamente intrecciate connessioni tra esseri viventi e ambiente, poiché il successo di un fermento si basa sul mantenimento di relazioni armoniche con altri (microbi, temperatura ambiente, umidità dell’aria, …), spesso attori invisibili, ma fondamentali del nostro ambiente comune. Questo ha portato a chiederci: chi fa il pane in realtà? Come faccio a sapere quando la pasta è pronta? Quando il lievito naturale deve essere nutrito?
Per esplorare queste questioni dobbiamo decentralizzare la nostra posizione di esseri umani ponendo l’attenzione verso altri esseri viventi che sono fondamentali nella produzione di mezzi di sussistenza e di comunità. Cuocere il pane con il lievito è dunque, secondo noi, un modo pratico per entrare in contatto con questa visione in cui l’essere umano non è ciò a cui tutto ruota attorno, ma è soltanto uno degli elementi che compongono un sistema interrelato.
Per vivere in armonia con la nostra terra in molti casi gravemente danneggiata, dobbiamo impegnarci in altre forme di conoscenza, di azione e dello stare insieme. Queste forme devono essere radicalmente relazionali, cioè dobbiamo riconoscere che siamo interdipendenti non solo da altri esseri umani ma soprattutto da tutto il resto, che il nostro benessere individuale dipende dalla collettività e viceversa. La cottura del pane rende tangibili alcuni di questi ingredienti magici di cui abbiamo bisogno per un futuro sostenibile: tempo, buoni ingredienti, attenzione per gli altri anche più che umani, cura e preoccupazione, ritmi, ambienti sani, amore per gli alieni e un po’ di magia.
Apprendere e riflettere questi principi non è semplice, ma la materialità del fare il pane aiuta anche in questo. Attraverso l’uso delle mani e dei sensi, nel relazionarsi con questa sostanza, concetti apparentemente astratti vengono materializzati e sono esperibili in maniera trasversale da adulti e bambini di ogni cultura e background.
Il forno avrebbe dovuto viaggiare a bordo di una bici elettrica da carico fermandosi in sei diverse località dell’Alta Vallagarina per tre settimane ciascuna, ma a causa del lockdown il progetto ha preso una forma un po’ diversa, ce ne raccontate un po’ di più?
Abbiamo deciso che, durante questo periodo, quando i nostri movimenti fisici erano limitati, il forno avrebbe potuto partire ugualmente iniziando un viaggio narrativo attraverso i luoghi che avrebbe visitato in futuro. Ogni persona ed ogni luogo racchiude storie che illustrano le molteplici connessioni e dimensioni del pane. Abbiamo pensato di raccogliere queste narrazioni tramite dei formati digitali che abbiamo chiamato #racconti vagabondi e #storie lievitanti.
Le storie lievitanti sono storie fermentanti di appassionat* panettier* casalingh*. Possono essere racconti, testi, fotografie disegni che ci sono stati inviati dalle persone che abbiamo coinvolto nelle varie località.
I racconti vagabondi, invece, sono narrazioni o interviste di persone della Vallagarina e non solo, che hanno a che fare con il pane in senso lato, come gli apicoltori, i/le coltivatori/ici di cereali, i mugnai, un’antropologa dell’Università di Bolzano che si occupa di microbi ecc. Hanno la forma di registrazioni audio della durata di circa 15/20 minuti e servono per offrire scorci semplici ma interessanti. Queste storie sono importanti per dimostrare che l’economia non è solo quello che si legge sui giornali, ma è composta da molte altre cose che in una certa misura si svolgono inosservate. Il pane ha molti collegamenti essenziali con altre aree, che spesso rimangono invisibili. Inoltre, queste storie mostrano persone e iniziative che portano alla ribalta la diversità delle pratiche economiche, e la diversità delle possibilità di coinvolgimento con il territorio. Solo rendendo visibili questi attori possono essere presi in considerazione e inclusi.
Abbiamo l’agenda sotto mano per segnarci i prossimi appuntamenti, reali e virtuali. Quali sono i prossimi laboratori o eventi da non perdere?
Alla fine del mese di luglio inizierà il percorso fisico del forno. Il 30 luglio saremo a Calliano e l’1 Agosto a Nomi, con un’attività di “forno aperto” in cui ognun* potrà infornare le proprie creazioni. Cercheremo di riattivare un dialogo socio culturale nel rispetto delle normative che sono in vigore. La cultura dell’uomo, così come la coltura del lievito madre, dev’essere viva e vivace, fermentante. Per essere viva però necessita di momenti di comunità e condivisione che la nutrono.
Perciò dobbiamo ricominciare a sentirci uniti, anche con i microrganismi che spesso vengono visti, sbagliando, in maniera negativa, e il lievito madre ha molto da insegnarci sullo stare assieme.
Ultima domanda, una mia curiosità, ma che noto avere un ruolo centrale nel vostro lavoro, ci raccontate un po’ di più di “pasta madre”? Che cos’è? Come spiegarla a una grande inesperta ma molto curiosa, come me?
Il lievito madre in principio è una cosa molto semplice, “soltanto” un miscuglio di farina ed acqua.
Nelle condizioni ideali però inizia a fermentare grazie ai microrganismi che si trovano nell’aria, nella farina e nell’acqua che lo compongono, fino a diventare una sostanza attiva, viva. Come ogni essere vivente necessita poi di nutrimento e cura per poter sopravvivere.
Noi lo osserviamo, seguiamo i suoi ritmi e lo nutriamo, in cambio, lui nutre noi e ci aiuta fermentando e pre-digerendo il pane che mangiamo. Il lievito madre rende il pane digeribile, gli dona una consistenza unica, lo mantiene fresco a lungo e lo protegge dalle muffe.
Si chiama pasta madre, perché se ne usa soltanto un pezzettino (un figlio) come lievito per il pane, ma la parte principale, la madre, resta sempre la stessa e può generare altri figli finché ce ne prenderemo cura. Possiamo usare questi figli per fare il pane o donarli ai nostri amici, anche loro, se nutriti potranno diventare a loro volta delle madri. Nel curare una pasta madre bisogna fare attenzione a non produrne troppa e a non consumarla completamente, due principi fondamentali anche nella trasformazione verso una società sostenibile.
Il lievito madre quindi, pur nascendo da due ingredienti semplici è un essere vivente a tutti gli effetti, una preziosa compagna.
Foto di Forno Vagabondo
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