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July 23, 2020

Storia Notturna a Centrale Fies: un viaggio tra materia, mistica e tradizione

Stefania Santoni

Se ci si interessa su ciò che la città rifiuta, 
conviene innanzitutto interrogarsi su ciò che essa teme.
N. Loraux, Le madri in lutto  

La narrazione è uno strumento potentissimo: potremmo considerare le storie maestre di iniziazione perché le loro trame scandiscono i graduali passaggi di crescita dellʼesistenza di ciascuno. Leggende, miti, tradizioni folkloriche sono difatti strutture archetipiche che consentono unʼanimazione dal profondo: «animano lʼanima» – sostiene Maria Rita Parsi – «cioè danno anima allʼanima individuale lasciando che faccia emergere le tracce dellʼanima collettiva». Questo è possibile perché il DNA delle nostre anime è fatto di storie, cioè di quei racconti che vanno a costituire le prime tracce di ogni progetto di vita. 

È grazie a questa straordinaria valenza della narrazione che Storia Notturna, mostra collettiva curata da Simone Frangi e Denis Isaia, visitabile presso Centrale Fies dal 17 luglio all’8 agosto, riesce a farsi portavoce di nuovi codici e significati culturali così da conferire una luce allʼalterità, a ciò che per troppo tempo è rimasto nellʼombra.

Immergiamoci quindi nelle parole di Simone Frangi – che ho avuto il piacere di intervistare qualche giorno fa – e iniziamo il nostro viaggio tra le opere di Storia Notturna

Centrale Fies art work space_installation view Storia Notturna_ph Roberta Segata courtesy Centrale Fies8Partiamo dal titolo. Perché «Storia Notturna»?

Si tratta di un omaggio allʼomonimo saggio di Carlo Ginsburg, il celebre storico e accademico che ha dedicato molte delle sue ricerche allo studio del marginale: più precisamente, nella sua Storia Notturna si affronta il tema della stregoneria e del sabba. Si tratta del primo saggio che tratta questi contenuti in maniera laica, cioè attraverso un approccio privo di connotazioni religiose: quando si fa storia, antropologia o più in generale ricerca è fondamentale che lo studio non venga inquinato da categorie, etichette, pregiudizi. Nel saggio di Ginsburg emerge un metodo costruttivo e valorizzante che racconta le storie di uomini e donne accusati di stregoneria, di divinità notturne, di personaggi del mito e della fiaba considerati diversi: lo storico ne ricostruisce lʼidentità esaltandone le peculiarità e competenze, come ad esempio quelle alchemiche e farmaceutiche. Da qui nasce lʼidea di ripristinare tale visione per creare una mostra attenta alle questioni culturali, antropologiche, sociali: la nostra Storia Notturna è un racconto (il filone narrativo è intrinseco alla drammaturgia di questa mostra) sulla relazione esistente tra oggetto e performance, tra materia e mistica. È un percorso dove le opere (figure notturne e crepuscolari) hanno un tempo duplice: quello del riposo e quello della vita. 


Tra i personaggi marginali spesso considerati mostruosi dalla società abbiamo quelli femminili. Li ritroviamo in qualche opera?

Mercedes Azpilicueta, perfomer, scrittrice e scultrice, è unʼartista argentina che ha dato forma alle competenze delle figure subalterne femminili, come la strega: il suo intento è quello di riconsiderare in chiave rinnovata e proattiva tutte quelle mansioni affidate alle donne che spesso state screditate, come ad esempio il cucito. Mercedes ci propone una grammatica scultorea dei materiali, tutti di origine naturale o riciclati: lattice, cuoio, seta, cera diventano qui un concetto volto a stimolare una riflessione sia sulla subalternità che sullo sfruttamento economico dellʼuomo sulla natura. Nella sua opera si riscontrano delle assonanze con le parole della poetessa Massilia, appartenente alla letteratura argentina minore: il suo è un barocco magico che descrive il corpo e gli abiti che le donne hanno vestito nella storia della moda, insistendo sulla dimensione della seduzione e della privazione. 

Centrale Fies art work space_installation view Storia Notturna_ph Roberta Segata courtesy Centrale Fies7E quelli maschili, invece? 

Francesco Fonassi, ricercatore sonoro, ha creato a sua volta unʼopera sonora: appartenente allʼimmaginario delle figure archetipiche di molte culture, il suo “Om Selvarech” omaggia il vento, elemento cui spesso è associato. Il suo compito è quello di svelare segreti, quindi di raccontare la verità: la comunità in cui sopraggiunge lo mette infatti nella condizione di giudicare le questioni morali. Lʼintenzione dellʼartista è quella di sradicare il personaggio de lʼ“Om Selvarech” dallʼidea di figura abbietta e mostruosa conferendogli invece il ruolo di saggio e di voce autorevole. 

Parliamo di materia. Cʼè unʼopera in particolare che custodisce e al tempo stesso reinventa una sorta di tradizione materica?

Una sola parola: feltro. Si tratta di una tecnica antichissima, di origine persiana, che consiste nella produzione di tessuto a partire da fili infeltriti e mescolati al sapone. Materiale resistente, adatto sia per la produzione di abiti per gli uomini che di capanne per gli animali, il feltro è una scelta assolutamente non casuale da parte dellʼartista Darius Dolatyari-Dolatdoust, tedesco-polacco da parte di madre, ma franco-iraniano da parte di padre. Darius ha realizzato unʼopera non statica che è sintesi tra arti visive e perfomative-coreografiche: ha prodotto un abito paesaggio, cioè un cappotto dove si entra e si trova uno spazio che è quello dellʼantica Atene dellʼespansionismo. Si tratta di unʼiconografia che intende porre lʼaccento sullʼaspetto predominante dellʼOccidente. Anche lʼopera di Anna Perak, artista ucraina di origine israeliana, è sua scultura indossabile: è un costume, realizzato con la tecnica del tufting, fatto di tappeti (cioè quegli oggetti domestici che albergano il nostro quotidiano) che assumono forme antropomorfe e zoomorfe. Anna infatti, partendo da alcune riflessioni intorno al ruolo della narrazione nel mito e nel folklore, si interroga sugli effetti che gli oggetti hanno su di noi e sui ruoli di genere. Importante a questo punto ricordare che anche Ginsburg dedica nel suo saggio un approfondimento sul travestimento animale da parte dellʼuomo, parlando del rapporto uomo-natura e al tempo stesso della riattivazione di risorse primordiali. 

Quale opera invece può essere considerata più mistica?

Sicuramente quella di Luca Frei: si tratta di un filamento di bastoni e catenelle. È unʼopera ad alto contenuto simbolico: la sua forma non è mai la stessa e potremmo dire che si fa interprete dellʼidea di cambiamento continuo e al tempo stesso di trasformazione di energia. Infatti assume una morfologia sempre nuova ed è attivabile: il suo aspetto – e quindi significato – è nelle mani di che ne muta di volta in volta la posizione. 

Centrale Fies art work space_installation view Storia Notturna_ph Roberta Segata courtesy Centrale Fies11Ritroviamo nella mostra il concetto evoluzione materica

Le sculture oggetto di Chiara Camoni sicuramente si distinguono per tale aspetto: i suoi fischietti, smaltati con un intruglio di sabbia di fiume e ossa bruciate, raccontano il processo di evoluzione della materia fino a trasformarsi in oggetti come un vaso, vero paradosso della scultura. Altro tema centrale della produzione artistica di Chiara è la sororità: la sorellanza femminile traspare chiaramente nella scultura Sisters. Costituita da moltissime collane in ceramica, tale figura informe crea una strega con due candele che colano continuamente, attivando nellʼopera un processo di auto-alimentazione. 

Unʼultima domanda. Ricorre lʼidea di memoria in qualche opera? 

La produzione artistica di Raffaela Naldi Rossano ospita le tracce mnemoniche della sua terra: questʼartista partenopea fa rivivere nelle opere i ricordi della sua terra, come le rocce degli scogli, i limoni e le maioliche che da sempre distinguono la sua costa. Perché senza ricordo non cʼè costruzione del sé e nemmeno identità. Nei suoi lavori emerge un desiderio di riflessione intorno alle tematiche di genere, conferendo potere affermativo al femminile.  

 

Foto Roberta Segata

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