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June 23, 2020

Zoom_10_Paolo Carnevale: Alto Adige rocks! Sogni, musica e libri

Cristina Ferretti

 Paolo Carnevale nato a Bolzano, ha frequentato il Liceo Classico appassionato di libri e scrittura per 30 anni ha lavorato alla Biblioteca civica di Bolzano. Scrittore per passione ha vinto alcuni premi e la prima edizione del concorso Alto Adige/Cultura e territorio indetto dalla provincia di Bolzano. Ha scritto 7 libri di racconti e un romanzo a quattro mani con Daniele Barina. Il titolo più conosciuto è “Indagini e raffreddori di Manni Franzensfeste” del 2001 ed è quello con cui ha vinto il concorso e pubblicato da Sperling & Kupfer. Un suo libro (Panamericana) anche tradotto in tedesco col titolo Nadia Nebeski und andere Amerikas.

La tua ultima fatica, “Vinili (dolo)mitici” avrebbe dovuto essere presentata poco prima della quarantena Covid.  

Il libro è arrivato dalla tipografia in concomitanza con la proclamazione del lockdown ed è rimasto dall’editore fino a quando le librerie hanno riaperto. È un libro sugli LP e 45 giri incisi dai musicisti altoatesini dagli anni ’60 ad oggi. Privilegiando gli anni ’60, ’70 ed ’80. Il vinile è diventato ormai un oggetto di culto, la storia del vinile locale è alquanto sconosciuta ai più, ma ha un valore culturale molto significativo e fotografa appieno il movimento musicale dell’epoca. Attraverso vari incontri che ho avuto, ho pensato di riproporre la visione dell’epoca. Il vinile è anche un oggetto molto ricercato, soprattutto quelli di nicchia di cui per vari motivi si erano fatte poche stampe. Ve ne sono alcuni dei nostri che sono stati messi alle aste su Internet a dei prezzi altissimi, qualcuno pare sia arrivato anche a 2.000 €.

Come sei riuscito a ricostruire l’epoca delle band e del cantautorato altoatesino?

L’approccio iniziale non è stato semplice, benché conoscessi anche personalmente alcuni dei personaggi di spicco. Ho pensato di fare la cosa più completa possibile intorno alla scena rock e dintorni includendo il cantautorato e qualche genere derivato. Ho trovato le testimonianze della stampa locale e nazionale e parlato il più possibile con i cantanti di quel periodo. Non solo, sono riuscito a contattare le persone che lavoravano negli studi di registrazione che ancor più dei cantanti avevano in mano la scena e la produzione dei dischi. Gran parte del lavoro lo facevano le micro-etichette indipendenti spesso collegate a quegli studi, che consentivano la produzione del disco e poi la stampa su vinile.  La distribuzione e l’organizzazione erano fondamentali per l’uscita del disco.

Si parte dai Dedy Cemm, i primi a passare dall’aver avuto un seguito locale al contratto discografico con un’etichetta milanese, perché fino a metà anni settanta l’unico modo per fare dischi era andare fuori porta ed essere sotto contratto, con i pro e i contro che la cosa comportava. Poi ho raccontato di quelli che sono stati artisti nazionali e internazionali: non potevo non parlare di Giorgio Moroder oppure di Franco D’Andrea che la sua fortuna l’ha costruita andando via dall’Alto Adige diventando un importante musicista Jazz. A loro ho dedicato il capitolo “Via da casa”.

Secondo te cosa sono riusciti ad esprimere del nostro territorio?

A dire il vero non c’è una presenza del territorio nelle loro opere, forse l’unico che ha presentato Bolzano e l’Alto Adige è Klaus Tengler che in arte si faceva chiamare Klaus Levi (brani di allora: Brennero e Scalando l’Ortles) e adesso si fa chiamare Nicolas perché suona il flamenco. Ha rinnegato però l’Alto Adige. Vive a Las Vegas ed ha cambiato completamente genere musicale.

La musica che questi artisti producevano era abbastanza a 360°. Si andava dall’hard rock al progressive. Era una scena con del potenziale, negli anni ’60 era frizzante e fruiva dell’energia internazionale. Ci si rifaceva soprattutto ai modelli britannici ed il fermento era notevole anche se si produceva pochissimo di originale.

I ’70 di cui si tende parlare meno, sono stati invece anni molto creativi. I gruppi avevano un seguito strepitoso, capitava che suonassero davanti a 300 persone paganti. Oggi quasi inimmaginabile. Si organizzavano concerti con 600 persone ed univano 2/3 gruppi insieme.  Nella Bolzano del 1972 i concerti erano una novità totale, soprattutto quelli rock. Poi sono arrivati i DJ e i locali non ingaggiavano più gruppi; per una questione di costi. Invece, nei teatri cominciavano ad arrivare i cantautori che erano ancora di nicchia, magari schierati, personaggi come Alan Sorrenti, Claudio Lolli, Lucio Dalla. Comunque si contano sulle dita di una mano quelli che hanno transitato per Bolzano in quegli anni. Sono passati i Ten Years After, che avevano suonato a Woodstock, un evento molto significativo per la realtà locale. Avevano come spalla i Supertramp che erano ancora dei perfetti sconosciuti. 

Il libro prende le mosse da un disco che non è mai uscito. Come hai scoperto questa storia?

È sempre bello partire da un racconto per ricostruire un percorso. Nel 1979 Enrico Micheletti aveva registrato questo disco, con la sua Hard Time Blues Band era allora considerato una delle massime espressioni della musica rock di matrice americana in Italia e la sua fama gli aveva dato la possibilità di fare un disco tutto suo. Rispetto alla formazione originale con cui il gruppo era nato alla fine del 1978, il disco fu inciso in provincia di Vicenza con i concittadini Klaus Tengler e Mariano Keller. Ho avuto la fortuna e l’onore di ascoltare la bobina originale trasferita su CD: una grande emozione che raccoglie tutta l’idea che circonda il mio libro.

Sono riuscito a parlare con i protagonisti, ho recuperato le persone che avevano collaborato alla sua realizzazione. Ho trovato le testimonianze sui giornali nazionali per far capire il grande interesse che vi era intorno questo gruppo di persone. L’insieme degli incontri e delle conversazioni mi hanno permesso di fare questo viaggio all’interno della scena musicale del periodo e testimoniare il reale fermento della nostra provincia.

Chi ha pubblicato questo libro?

Paolo Izzo, lui ha una piccola casa discografica che si chiama Riff Records, tre anni fa anni fa avevo scritto un libro su Radio Tandem su sua proposta. Quando ho avuto questa idea è stato per me automatico di rivolgermi a lui.

Quando hai scoperto la passione per la scrittura?

C’è stato poco da scoprire, perché ho sempre scritto. Le prime storie le ho scritte alle elementari e poi non ho più smesso. La mia urgenza è quella del raccontare qualunque cosa; che si tratti di raccontare una storia inventata o storie che mi raccontava mia nonna o storie di altre persone. Mi piace raccontare e coinvolgere gli altri nei miei racconti. Anche ora che lavoro al Museo Civico di Bolzano adoro condividere gli aneddoti. Le persone sono grate di cogliere nuove sfumature e la passione in ciò che trasmetto. Penso che il ricordo della visita possa avere un valore maggiore per me, per loro e per la città in cui vivo. Le storie ed i racconti creano partecipazione emotiva che va oltre il contenuto trasmesso. 

A quale dei tuoi libri sei particolarmente legato?

Chiaramente l’ultimo, poi Panamericana e Makahity, quello scritto a 4 mani con Daniele Barina, e sono soddisfatto dei libri che sto scrivendo negli ultimi anni.

Un libro che avresti voluto scrivere tu?

Lo scrittore al quale sono più affezionato e che rileggo è John Steinbeck, in particolare Furore, John Irving poi è fantastico. Mi piacciono da matti i gialli, quelli italiani e stranieri. Degli stranieri forse amo di più i thriller e la scuola hard boiled, degli italiani ci sono dei giallisti come Manzini e Malvaldi che ultimamente mi prendono molto. Mi sento un progenitore di quei romanzi polizieschi ambientati nella nostra regione.

Penso a Luca D’Andrea e, al recentissimo libro di Marco Felder, ma c’è anche Umberto Gandini che ha all’attivo quattro gialli con bolzanini molto interessanti. Mi piace sostenere chi da qui è partito per realizzare il proprio sogno di scrittura. La nostra realtà letteraria non è semplice, farsi conoscere è molto difficile. L’impressione è che questi autori promuovano la cultura del nostro territorio. Una cultura che parla due, anzi tre, lingue e che mi pare emergere più nella letteratura in lingua italiana che in quella tedesca.

Sei nato e cresciuto a Bolzano, città che peraltro fa da sfondo ad alcuni dei tuoi libri. Ma il tuo amore per il capoluogo altoatesino sembra essere un tema ricorrente di molti altri tuoi libri. Cosa cambieresti di questa città e quali sono invece gli aspetti a cui sei più legato?

Bolzano è la mia città, il luogo in cui mi piace vivere. Mi fa arrabbiare che ci siano ancora molte persone che non vogliono capire che si può convivere senza darsi addosso. Mi fa arrabbiare chi ci marcia, chi ne fa ancora una questione politica. È un errore della politica che ci lancia dei segnali che non sono veri. Per anni si sono visti giovani in fuga da Bolzano, ma io in Alto Adige sto bene, non credo di essere fatto per le grandi città. E tutto sommato ho travato la mia realtà, legato alla famiglia ed agli amici.

L’Alto Adige cosa dovrebbe avere il coraggio di fare?

Dovrebbero farne tante di cose. Ma manca la base. Se ancora c’è tanta gente che dà il voto ai partiti di destra, sia essa germanofona, sia quella italiana, pensando sia la soluzione, già si intuisce il percorso tortuoso che ancora dobbiamo affrontare. La testa della gente non si cambia, e quella che si definisce opposizione non fa nulla per opporsi. La sinistra non combatte ed è molto elitaria. Così chi fa populismo facile finisce per avere il sopravvento…

A quale progetto stai lavorando?

Sto collaborando ad un progetto veramente interessante, un’esperienza umana che mi arricchisce. Si tratta di uno scambio epistolare fra sconosciuti, che è stato iniziato dalla Literaturhaus Vorarlberg ed ha coinvolto lo scorso anno Roberta Dapunt, massima espressione della poesia della nostra provincia, i cui libri sono pubblicati da Einaudi.

Durante il periodo Covid l’idea è stata ripresa dall’Unione Autrici e Autori sudtirolesi di cui faccio parte da 24 anni. Sono stati loro a propormi di fare una replica di questi scambi prendendo lo spunto che siamo in una situazione particolare del lockdown. Il progetto prevede 5 lettere con Barbara Ladurner.

Le lettere vengono pubblicate man mano che scriviamo sul sito della Südtiroler Autorinnen-und Autorenvereinigung (http://www.saav.it/de/aktuelles?category=briefe).

Cosa hai scoperto di te con questo progetto?

Di esser in grado di raccogliere una sfida. Barbara ed io siamo stati scelti da un’urna. Non ci conosciamo. Ho scoperto che sono in grado di farmi coinvolgere. Lei è un po’ più riservata e filosofica, io invece mi aggancio a quello che scrive lei e poi faccio emergere storie ricordi e considerazioni. Ognuno ha il suo stile, ma si riesce a creare qualcosa di veramente interessante. 

Vinili (Dolo)mitici si trova in tutte le librerie a Bolzano, nei negozi di dischi e a Merano. A breve attraverso il sito delle edizioni Riff.

 

Foto di Michael Leitner

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