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June 15, 2020

Il Museo della quarantena: un raccoglitore urbano dei nostri compagni di lockdown

Abram Tomasi

Si ferma il treno, sono arrivato a Trento, scendo, apro l’ombrello e mi avvio verso piazza Duomo. Un filo percorre le mura del Museo Diocesano Tridentino, mi ricorda quello di casa sul terrazzo, dove stendo i vestiti ancora bagnati e  lascio che il vento li asciughi. Qui invece sono stesi tantissimi pannelli, ci scivola sopra la pioggia prima di cadere in pozzanghere. Mi avvicino un po’ di più, e noto il primissimo, quello da cui parte tutta la serie, o l’epopea. Leggo: Il Museo della Quarantena

C’è una breve descrizione e capisco che mi trovo davanti a un museo en plain air che raccoglie tantissime fotografie. Ci sono libri, scarpe, cappelli, puzzle, film, dipinti, animali, orologi, cavatappi, giochi, cibi, pianti, fiori, abiti, attrezzi ginnici, computer, luoghi, immagini ironiche, preghiere, poesie. Finisco qui l’elenco, ma potrebbe continuare ancora. Il fil rouge che avvicina un cavatappi a una preghiera è il sentimento e la (ri)scoperta. Durante il lockdown ognuno di noi si è privato della realtà esterna e si è circondato di oggetti e di rituali, accorgendosi dell’importanza dell’esperienza tattile. Una volta chiuso un portatile e spento un cellulare, non rimane granché. Se appendi un quadretto rimane l’emozione.

L’esposizione è nata sui social in versione digitale. Durante la Quarantena non poteva essere altrimenti. Intende raccogliere oggetti di uso quotidiano, quelli che sono stati i nostri più degni compagni di viaggio durante l’epopea che ci ha portato a resistere a un momento surreale eppure reale. Le fotografie sono state inviate al Museo Diocesano che ha scelto di accompagnare ogni opera con una breve didascalia che riporta “autore” dell’oggetto scelto, data di realizzazione, stato di conservazione e motivo della scelta.

Mi trovo davanti a un contenitore narrativo, dove ogni cosa racconta qualcosa del suo proprietario, una storia personale, una relazione, un passatempo, un ricordo, un sogno… e mi restituisce un quadro unico del lockdown, spiegato attraverso gli oggetti e il loro legame con noi soggetti.

Con questa iniziativa il Museo racconta un momento storico, quello della “detenzione forzata” e lo fa in modo personale e sentimentale, in modo singolo e collettivo. In realtà, a farlo siamo noi: quello della Quarantena è un museo partecipativo che non potrebbe esistere senza le nostre storie. E a guardarle tutte, ricordo di quanto siamo simili e vicini. Di quanto abbiamo bisogno di raccontare storie, e di ascoltarle.

Ma è anche un dibattito sulle criticità e le opportunità che la pandemia ha generato: io ho riscoperto il giardino di casa, che un sacco di pellet e un’aspirapolvere possono trasformarsi in pesi per fare un po’ di ginnastica e che disegnare mi piace e mi rilassa.

Mi sento più pesante, un po’ perché l’ombrello ha lasciato scorrere la pioggia sul mio impermeabile, un po’ perché mi sembra di conoscerle tutte quelle storie, perché sono storie che assomigliano alla mia ed è come tenerle, ancora, nelle tasche.

Foto: Abram Tomasi

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