People + Views > More

May 21, 2020

Zoom_05_Loredana Romolo: per il cambiamento? Ci vuole entusiasmo

Cristina Ferretti

Loredana Romolo, avvocatessa di Vipiteno,  vive attualmente a Bolzano. Si è laureata in Giurisprudenza presso la Libera Università degli Studi di Padova, ha concluso un master in International Business Transaction alla London University. Dopo i primi anni di pratica ho intrapreso la carriera in private practice in uno studio italo americano a New York, spostandosi poi a Londra per intraprendere la carriera in-house presso la Kimberly-Clark. Da alcuni anni è tornata in Italia insieme alla sua famiglia ed assunto il ruolo di responsabile Legale Italia per RWE (energia). Oggi è socia fondatrice dello Studio Legallab a Bolzano e si occupa prevalentemente di diritto commerciale societario e compliance in ambito nazionale e internazionale. Madre di tre bambine, é anche fondatrice della Onlus “Nemo”, ed insieme agli iscritti  sta raccogliendo fondi per la costruzione di un padiglione-serra per l’ospedale di Bolzano, dedicato ai bambini in day hospital con malattie croniche complesse.

Quando hai deciso di diventare avvocato?
Dopo avere fatto il corso in preparazione all’esame di magistratura. Mi sono resa conto che caratterialmente avrei vissuto male questo ruolo, soprattutto, in ambito penale e così da subito ho intrapreso un a carriera che mi consentisse di restare più sul piano economico. 

Tanti anni passati fuori dall’Alto Adige e all’estero. Cosa pensavi di trovare quando sei partita? Che valore ha l’avvocatura negli altri paesi?
Dovevo andare a in Olanda a fare un master, ma poi mi sono innamorata e insieme a quello che oggi è mio marito siamo andati negli stati Uniti. L’esperienza a New York mi ha arricchita, sia professionalmente, che a livello umano. Naturalmente avere avuto a fianco una persona che mi ha spinta e supportata è stato importante e ha facilitato alcuni passi determinanti per la mia professione. L’America ti da l’opportunità di costruire qualcosa. Il valore che ti viene dato anche quando stai apprendendo la professione non è paragonabile alla situazione italiana. Ognuno ha e ottiene il diritto di potersi affermare. Le opportunità non ti vengono negate, ma le puoi abbracciare e farle tue. Questa fiducia ed entusiasmo hanno contribuito a rafforzare anche il rapporto di coppia e ci ha dato la forza di costruire insieme i nostri percorsi anche se totalmente differenti.

Come si decide poi di tornare in Alto Adige?
I miei spostamenti, a dire il vero, sono correlati alla mia disponibilità di accogliere anche le opportunità di mio marito. Abbiamo un’intesa in questo senso. Valutiamo insieme la convenienza per la famiglia e non solo del singolo. Ho assecondato in alcune fasi della vita le aspettative professionali di mio marito, perché il suo ruolo era più vincolato alla posizione fisica in cui avrebbe dovuto operare. Quando da New York ha avuto l’opportunità di trasferirsi a Londra, anche se per me non semplice, è stata un’occasione per mettermi nuovamente in gioco, a partire dalla lingua, Londra e New York sono due mondi diversi. Questa apertura al nuovo, che posso oggi dire mi caratterizza, è stato un elemento di crescita e di accogliere positivamente le opportunità. A Londra ho avuto modo di crescere ulteriormente grazie ad una bellissima e stimolante posizione alla Kimberly Clark, una multinazionale americana in cui la professione di in-house counsel ha un altissimo valore. Le esperienze fatte sul campo (Europa, Africa e Medioriente)  e le relazioni costruite mi consentono oggi di fare la libera professione in Alto Adige avendo uno sguardo sul mondo. La pioggia di Londra, e l’inizio dell’allargamento della famiglia hanno influito sulla nostra decisione di avvicinarci a casa.

Durante la tua carriera sei sempre stata considerata alla pari dei colleghi o ti sei sentita in dovere di dimostrare qualcosa di più? Quanto è difficile essere donna e avvocato?
All’estero non c’è mai stata la percezione di sentirmi meno apprezzata. All’estero chi è bravo va avanti. In Italia, è diverso, anche se io personalmente non ho avuto esperienze negative. Nella libera professione ci sono ancora delle sfumature tra maschio e  femmina che fanno notare una percezione diversa della professionalità. Spesso ci si rivolge all’avvocato donna con “dottoressa” mentre il collega è “avvocato”. Quando però ne sei consapevole lo puoi usare a tuo vantaggio nel gioco dei ruoli.  

#iolavorodacasa è uno degli hashtags più diffusi in tempo del Covid-19. Quanto il carico famigliare continua a gravare sulle donne e sulle donne professioniste? Lo smart working richiede una grande disciplina personale, la ricerca di una postazione di lavoro tranquilla e isolata, orari determinati – tutti aspetti non facili da mettere in atto in un momento di convivenza familiare forzata. Tu che sei in casa con un marito professionista e 3 figlie quali consigli trasmettere o ti sei ritrovata inceppata nel sistema casalingo italiano?
È inutile nascondere che si è creato un sistema di full engagement. Sei sempre li a dover fare qualche cosa. Sia per lavoro che per la famiglia. Lo smart working essendo di tutti ha accelerato il lavoro. Tutti sono in smart working sempre pronti a rispondere e portare avanti le cose. Io sono abituata a lavorare per obiettivi e ovviamente scadenze. Questa situazione per me in parte è una fonte di stress. Fortunatamente ho un marito generoso e disponibile. Anche lui si adopera a seguire la famiglia e la casa. Ma come mamma, donna e madre sento comunque il peso delle responsabilità e fatico a trovare il giusto equilibrio. Ho assegnato ruoli casalinghi a tutte e tre le mie figlie e cerchiamo di adattarci alle esigenze di tutti cercando di non sfuocare i ruoli. 

In un Paese come l’Italia, in cui si è iniziato a parlare di diversity solo da poco e in cui la strada per l’uguaglianza di genere è ancora lunga, come si fa a comunicare e promuovere le pari opportunità all’interno di uno studio legale? Il cliente accetta in egual modo le parcelle?

C’è una componente che può impattare con il cliente. Avere un avvocato donna aiuta soprattutto se ci sono tensioni tra le parti. La donna riesce a trovare compromessi e a mediare. La figura dell’uomo è più determinata e rigida. Per quel che riguarda le parcelle per me non è mai stato un tema. 

Come sei arrivata a fondare insieme agli altri membri NEMO? Da dove nasce l’obiettivo che vi siete prefisse?
L’iniziativa é nata per caso. Avevo sempre cercato di adoperarmi con mio marito ad aiutare i bambini. Non volevo solo donare, ma fare parte di qualche cosa che io stessa potessi gestire e monitorare. Parlando con il primario del Reparto di Pediatria di Bolzano sono emerse reali esigenze pratiche del reparto. Creare uno spazio per i bambini in day hospital con malattie croniche complesse. La difficoltà grande è stata inizialmente la raccolta di fondi. Ci sono moltissime Onlus e attività, l’Alto Adige, per fortuna, è molto sensibile nell’aiutare il prossimo. Avere un progetto di spazio architettonico è stato più difficile da comunicare che non la raccolta fondi a favore di chi soffre di certe terribili malattie. Siamo però a buon punto, abbiamo avuto anche il sostegno dell’imprenditoria altoatesina. E a breve il progetto avrà visibilità. Di questo, noi socie fondatrici, sono molto felici ed orgogliose.

Esiste ancora la questione linguistica in Alto Adige?
Purtroppo si, in parte anche per pigrizia dell’una o dall’altra parte. Se non sei padrone delle due lingue fai molta fatica ad entrare i certi ambienti. Il problema del bilinguismo ha creato molta mediocrità. Sapere le lingue è più importante della preparazione, e a mio avviso questo oggigiorno non è accettabile.

Rispetto alla politica altoatesina, che protegge molto il territorio, come si pongono invece le visioni delle aziende che segui che danno respiro ai mercati internazionali? La visione locale è un limite o una forza imprenditoriale?
Grazie alla mia professione ho potuto apprezzare delle vere eccellenze imprenditoriali. Chi si proietta oltre i propri confini lo fa sempre con apertura e ampie vedute culturali e strategiche. Il fatto di avere la propria impresa in AA è certamente un plus perché si è più disponibili verso ciò che è differente o semplicemente distante dalle nostre abitudini e idee. L’imprenditore va oltre le visioni politiche. 

Cosa l’Alto Adige dovrebbe avere il coraggio di fare?
Coraggio di dare una svolta alla tutela dei gruppi. Creare scuole multilingue e ambienti multilingue. Promuovere e accrescere questo vantaggio per tutti, poter conoscere da vicino le due culture e non solo a livello linguistico. Creare un substrato comune; valorizzarlo e coltivarlo per sempre.

Cosa il covid-19 può avere insegnato o cosa ci porteremo dietro?
Che non siamo su un’isola felice, che siamo tutti sulla stessa barca. È il sistema che deve funzionare in pieno. È fondamentale avere coordinamento a livello nazionale e avere il privilegio di prendere decisioni e responsabilità verso il territorio con la consapevolezza di doverlo fare in un´ ottica di uniformità nazionale. A volte in Alto Adige, già la parola nazione genera conflitti di pensiero che limitano l’espressione e la soluzione di molte problematiche.

 

Foto Loredana Romolo

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.