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May 4, 2020

I racconti delle balie #02

Stefania Santoni

In effetti gli antri erano considerati [come simbolo] del mondo sensibile, 
per il fatto che sono oscuri, petrosi, umidi; e tale è il mondo, 
a causa della materia di cui è costituito, che è resistente [alla determinazione] 
e fluida. Ma anche dellʼintelligibile, perché non cade sotto il dominio del senso, 
e per la solidità e la stabilità dellʼessenza.

Porfirio,Lʼantro delle ninfe

 

Lʼansia di non avere un piano o un copione scritto da seguire. 
La paura dellʼignoto, di quel che saremo domani. 
Lʼincapacità di vivere a pieno la dimensione del qui e ora.  

Da sempre lʼuomo è tediato da quesiti che riguardano il suo destino. E forse per questo, fin dai tempi più antichi, ha cercato di trovare risposte nei modi più svariati: dal volo degli uccelli agli esperti di mantica, dai sogni premonitori alle pratiche di divinazione. 

Nellʼantichità – in Grecia e a Roma – esistevano delle figure femminili in grado di rispondere ai quesiti degli uomini che riguardavano il loro destino: erano le Sibille. Di natura febbrile ed ispirate dal dio, le Sibille si distinguevano per la capacità di predire le cose future. In che modo? Comunicando attraverso una voce enigmatica, come vuole la tradizione dei responsi oracolari: il dire profetico è un canto, un soffio, una musica che attraversa le zone visibili e invisibili, perché i vaticini sono suoni indistinti, confusi, difficilmente incomprensibili. Gli antichi Greci assimilavano questo genere di suoni al linguaggio degli uccelli, alla lingua dei barbari, nonché al linguaggio femminile: la lingua barbara era per loro un suono confuso, proprio come quello degli uccelli, e in particolare disarticolato come quello delle rondini.

Tracce di questa tradizione si ritrovano anche nelle nostre foreste, a seguito del processo di romanizzazione nella terra trentina. Ed è proprio grazie a questo continuo trasmigrare che la cultura è (e sarà per sempre) bellezza senza eguali: il suo perenne trapiantarsi e contaminarsi, il perdere qualcosa per poi divenire qualcosʼaltro fanno sì che – come un fiume carsico – riemerga, vestita di una nuova luce, nel presente. Ma torniamo alle nostre Sibille. 

Sul Monte Bondone – racconta una storia dei nostri monti incantati – viveva in una grotta nascosta una donna che aveva più di settecento anni: era una Sibilla. Conosciuta da tutti gli abitanti di Garnica, uomini e donne si rivolgevano a lei per conoscere la loro sorte. Molti contadini infatti desideravano sapere se avrebbero ricavato un bel raccolto dalle loro terre, mentre le donne solitamente interrogavano lʼanziana per sapere se avrebbero mai avuto della prole. 

In che modo questi abitanti si rivolgevano alla Sibille? Sussurrando i loro quesiti tra le fessure delle pietre che componevano la sua grotta. E da qui lei, a sua volta, emetteva i suoi responsi, ricevendo in cambio una costola di crescione ben pulita. Si raccontava che per ogni costola ricevuta la Sibilla avesse in dono un anno in più di vita.

Un giorno, un giovanotto curioso di conoscere e interrogare la Sibilla, ma del tutto ignaro del “dono” dei crescioni, si recò da lei: voleva infatti sapere in che modo sarebbero andati i suoi affari in città. Ma essendo privo dei crescioni, la donna gli ordinò di tonarne indietro per recuperarne tre. Così scese nel ruscello poco lontano dalla grotta, prese tre costole grosse di crescione ma, mentre camminava per rientrare, ne mangiò un pezzettino: il giovane non si era affatto preoccupato di mantenere intatto il dono per la Sibilla. E così, quando glielo consegnò smangiucchiato, lei andò su tutte le furie: offesa per il poco decoro e rispetto da parte del giovanotto, la donna lo allontanò urlando. 

Ma lei, tutta intenta a liberarsi di quellʼinsolenza, non si accorse che alcune rocce del suo antro si erano spostate, rendendo il rifugio più visibile. E fu così che il giovane si accorse che nella grotta di quella che pensava essere una vecchia strega cʼerano tesori di ogni tipo: pietre e gemme preziose, oro, argento, diamanti. Era tutto un luccichio!

Decise allora che quella stessa sera, a mezzanotte, avrebbe fatto ritorno nella caverna per rubare il tesoro della Sibilla. Quando arrivò, non trovò nessuno: la donna stava dormendo in un cunicolo riparato. Con la torcia il giovanotto illuminò la grotta e vide tutta bellezza di quei tesori. Ma proprio in quel momento un raggio di luce balenò dal buio: lʼantro della Sibilla prima si fece tutto oscuro e poi si accese di rosso fuoco, sprofondando nel centro della terra, insieme al giovane ladro. 

E fu così che della Sibilla non restò che la sua leggenda: scomparve nel nulla. Di lei rimase una cosa soltanto: una traccia indelebile nei cuori degli abitanti di Ganiga, puniti per lʼavidità del giovane forestiero che non aveva saputo onorare la ricchezza della sapienza della Sibilla. 

La nostra storia ci insegna che lʼantro della Sibilla è uno spazio per pochi. È un luogo di alta concentrazione simbolica: a chi sta fuori spetta il compito di saper interrogare, carpire la risposta e poi riuscire a farne tesoro, senza oltrepassare la soglia divina e celeste.

 

 Photo by Pexels

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