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April 20, 2020

Annamaria Gelmi: un’arte fatta di semplicità, rigore e impegno politico

Francesca Fattinger

La quarantena continua, e con essa anche le occasioni di scoperta e approfondimento. Per questo rieccomi a parlare con un’artista originaria di Trento e di fama internazionale. Per me un onore potermi confrontare e chiacchierare con lei. Si tratta di Annamaria Gelmi che con i suoi oltre cinquant’anni di carriera artistica, con una formazione nelle Accademie di Milano e Venezia degli anni Sessanta, è andata alla ricerca di un’arte semplice ed essenziale. Le sue opere sono sempre state caratterizzate da ritmo, linee e spazio, che come leggerete sono stati gli elementi cardine attorno a cui si è sviluppato il suo lavoro. Uno sguardo ancorato alle dimensioni spaziali, influenzato e ispirato dal mondo dell’architettura che l’ha portata, fino alle installazioni più recenti, a ragionare sul rapporto tra spazio, osservatore, visione quotidiana, normalizzata e straniamento. Ma anche un’arte politicamente impegnata la sua, volta a raccontare la donna “non come un mito consumistico e propagandistico, ma come presa di coscienza autentica e sofferta”.

Ombre 1977 china su acetato cm. 180x80

Nel suo sito spiccano le parole che Mario Radice, nel 1973, ha usato per descriverla: “nell’oceano del caos contemporaneo di idee, falsi artisti, dilettanti, profittatori, mecenati, frodi e critici incompetenti o disonesti” la sua arte emerge per la sua “estrema semplicità e pulizia” anche grazie alla sua “serietà, onestà e testardaggine”. Come risuonano in lei queste parole oggi?

 A distanza di tempo leggo in questo scritto, una visione attenta al lavoro di quegli anni e una profonda verità, che si è concretizzata lungo il mio percorso artistico. In quel periodo avevo iniziato a semplificare al massimo le forme, fino ad arrivare alla geometria pura: la forma e lo spazio erano per me gli elementi base e con essi ho lavorato nello sviluppo delle mie opere. 

duomo Innsbruck 2016

Proprio quell’estrema precisione e semplicità, di cui Radice parla, è stato un tratto che l’ha sempre caratterizzata nella sua lunga carriera artistica, pur evolvendosi nel tempo. Ha sperimentato svariate tecniche e altrettante dimensioni e linguaggi, dalla pittura all’installazione. Che ruolo ha avuto per lei il legame con il mondo dell’architettura e quale invece la sperimentazione?

I miei elementi essenziali sono sempre stati: linea, ritmo, spazio.
Guardando il Suprematismo di Malevic, il Neoplasticismo di Mondrian e del gruppo di De Stijl, o il Funzionalismo del Bauhaus, il tutto filtrato in seguito da artisti come Max Bill o Josef Albers e, in tempi più recenti, dall’Arte Programmata e dalla Minimal. Tutto questo mi ha avvicinata all’architettura, una disciplina che ha ispirato tutto il mio percorso artistico. 
Cerco di realizzare i miei lavori (installazioni) col preciso scopo di aprire un dialogo con lo spazio in cui essi vanno collocati, creando dei percorsi dove le opere interagiscano con l’ambiente circostante.
Mettere un’opera in un luogo significa rompere il punto di vista dell’osservatore, catturandone l’attenzione mediante lo spostamento (straniamento) prospettico dato dall’elemento sintetico-allusivo che si sovrappone alla visione abituale. 

Oltre il Tempo 2011 ACCIAIO CORTEN+BRONZOcm. 450x480x140

Il titolo della sua monografia “Rigore e passione nella misura del mondo” è molto evocativo e mette in gioco un aspetto che appare imprescindibile nel suo essere artista: l’impegno civile legato a una convinta adesione alle ideologie femministe. Cosa ricorda di più degli anni ’70 e come si è trasformato il suo impegno oggi?

Il ’68 penso abbia significato molto per tutti quelli della mia generazione, e in particolare per le donne.
Si sono sviluppati differenti linguaggi espressivi che però erano accomunati dalla voglia di lanciare un messaggio di sovversione. Sono nati collettivi femminili, di cui io facevo parte, spazi espositivi femminili, importante è stata per me la galleria Intak di Vienna gestita da donne molto politicizzate e anche eversive nell’iconografia.
Con Vittoria Surrian editore di Ejdos ho realizzato vari libri d’artista presentati alla biennale di Venezia nella mostra “Identità e Differenza”. All’epoca il mio lavoro si inseriva nel contesto politico, nel fermento che poneva l’uomo e la donna al centro del dibattito culturale, quindi un’evidente denuncia, dissacrazione, la donna nella società non come un mito consumistico e propagandistico, ma come presa di coscienza autentica e sofferta.

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Il momento che stiamo attualmente vivendo è apparentemente ancor più caotico rispetto a quello descritto da Mario Radice, ma in qualche modo mette in evidenza la stessa necessità di un’arte onesta, seria e semplice. Qual è o quale dovrebbe essere, secondo lei, il ruolo dell’arte e delle artiste e degli artisti oggi? 

Domanda complessa, molti sogni sono stati infranti! Il mondo è cambiato totalmente con la globalizzazione, internet, il rapporto umano è difficile. L’arte oggi vuole dire “mercato” e il “mercato” è in mano a pochi. Credo, comunque, che le cose importanti conquistate dalle donne siano quelle che ancora esistono e forse le più giovani non se ne rendono conto, dando tutto per scontato.

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Foto courtesy of the artist; Loom Gallery, Milano; Mart di Rovereto e Comune di Albiano

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