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February 3, 2020

“Socrate il sopravvissuto”. Come le foglie:
se una sera a teatro lʼeducazione

Stefania Santoni

Lʼaddome era già quasi freddo. Allora si coprì
la faccia – sʼera già coperto – e parlò. Furono le ultime
parole: «Ah, Critone, abbiamo un debito con Asclepio;
un gallo. Pagateglielo, non dimenticatevi». 
 

Platone, Fedone, 118

 

Le Metamorfosi di Ovidio sono un poema mitologico monumentale; di genere epico da un punto di vista formale (perché il metro è lʼesametro), sul piano dei contenuti presentano invece una notevole rivoluzione perché non hanno un eroe come protagonista, bensì un concetto: quello di trasformazione, di metamorfosi appunto. Concepita come un carmen perpetuum, questʼopera raccoglie le storie di celebri personaggi del mito che, assumendo nuove fattezze rispetto a quelle originarie, vengono mutati in piante, animali, pietre, fiumi, costellazioni e molto altro. 

In che modo avvengono questi mutamenti? Preservando i lineamenti essenziali – e quindi lʼidentità – del loro status di partenza anche a seguito del cambiamento: i personaggi ovidiani vengono infatti ripensati senza perdere il tratto fondamentale che contraddistingue la loro essenza. Mi spiego meglio. Prendiamo il caso di Dafne, la celebre fanciulla amata da Apollo e tramutata in alloro: ciò che prima era parte del corpo della ninfa, ora si ritrova nel nuovo aspetto, nella nuova forma da lei assunta. I suoi capelli divengono infatti fronde, le sue braccia rami: i piedi si inchiodano in radici, il volto si trasforma in una chioma che conserva lʼantico splendore della fanciulla. Le parti del suo corpo quindi mantengono non solo la stessa collocazione nella metamorfosi vegetale, ma anche le analoghe funzionalità. Capiamo quindi che lʼidentità di Dafne trasmigra diventando qualcosa di altro, ma preservandosi. Perché i personaggi ovidiani non muoiono mai: loro sopravvivono in altre forme. 

A questo punto vi starete (legittimamente) chiedendo il perché di questa premessa. Io trovo che Anagoor riesca ad attuare il medesimo processo di cambiamento, ri-codificazione e mutazione con il repertorio classico: il motore delle Metamorfosi sembra essere lo stesso Leit-motiv che consente a questa straordinaria compagnia di far rivivere ininterrottamente una tradizione che ci arriva da millenni addietro. Ma veniamo al nostro spettacolo, che andrà in scena a Bolzano, al Teatro Comunale Studio, martedì 4 febbraio. 

Socrate il sopravvissuto si snoda attorno ad un tema cardine: lʼeducazione. Come in altre rappresentazioni di Anagoor, anche in questo caso la narrazione ha unʼimpronta carsica: come i fiumi che per certi tratti si fanno sotterranei ma che dopo ricompaiono in superficie, così anche questo spettacolo si immerge nella contemporaneità, fa capolino nellʼantica Grecia per poi tornare ai giorni nostri. 

Come si evince dal titolo, la drammaturgia omaggia il romanzo di Scurati vincitore del Premio Campiello 2005, Il Sopravvissuto: ambientato nel 2001, è il racconto di un giovane studente, Vitaliano Caccia, che il giorno della sua maturità si presenta a scuola munito di una pistola per  eliminare tutti i membri della commissione dʼesame. Il solo docente che viene risparmiato è quello di filosofia, che è anche il narratore della vicenda, in quanto unico sopravvissuto alla strage. Il professore Andrea Marescalchi avvia quindi unʼindagine: cerca di capire le ragioni che hanno portato il giovane a compiere un simile gesto e si chiede se dal canto suo avrebbe potuto fare qualcosa per impedire questa carneficina. Anagoor, che a differenza del romanzo colloca al termine dello spettacolo il massacro e non allʼinizio, recupera gli interrogativi, le riflessioni e i tormenti del professore attraverso tre monologhi. 

ANAGOOR Socrate il sopravvissuto Ph Giulio Favotto_stretta_monitorQuelle del sopravvissuto sono parole che sviscerano e attraversano nel profondo alcuni dei principi fondamentali dellʼeducazione: qual è il ruolo di ogni insegnante? Didattico, formativo, etico e di depositario della cultura? È uno solo fra questi o la sua sintesi? Come stimolare il desiderio di conoscenza ed elevare le giovani menti? Come si può essere di buon esempio per i propri allievi? Ma soprattutto: qual è il grado di colpa e responsabilità della scuola – e quindi anche del corpo docente – nella carneficina messa in atto da Vitaliano? 

 Lo spettacolo si snoda e modula tra quesiti che, rievocando il tipico approccio socratico della domanda, raggiungono gli antri più nascosti dellʼinteriorità del pubblico: perché solo perturbando e instillando la continua riflessione è possibile mettere in dubbio il sistema e far luce sulla realtà delle cose. 

La scena viene così scandita in tre momenti che vanno a ritroso nel tempo: ognuno di questi si fa portavoce di un racconto esemplare. Il primo è una lezione di storia sui genocidi del Novecento; il secondo invece tenta di esplicare lʼantitetico rapporto fra lʼidealismo dellʼetà romantica e la durezza della realtà; il terzo, infine, ci catapulta nella Grecia antica rievocando il celebre episodio della morte di Socrate – fondatore del pensiero occidentale – che troviamo nel Fedone.

 Andrea Marescalchi diventa quindi emblema dellʼinsegnante erede di tutte queste storie e quindi schiacciato dal macigno della tradizione e dallʼonere di mantenerne viva la memoria. Il nostro maestro – come tutti i maestri di oggi – si trova in balia di imprese titaniche, come quella di educare ragazze e ragazzi in una scuola che negli anni ha subito (e sta continuando a subire) rovinosi mutamenti e impoverimenti. Evocative sono le scene in cui gli studenti si fanno interpreti di questo pensiero: come se fossero la cornice di un racconto, gli alunni prima scivolano dai banchi come liquefatti, poi danno fuoco ai libri di scuola e dopo ancora li impregnano dʼacqua, come per salvarli. Questi studenti ci comunicano ribellione, senso di inadeguatezza verso una scuola che li vuole passivi limitandoli nellʼordinario e non carpendone il potenziale.  

Ad un certo punto il nostro insegnante si sdoppia: la sua figura viene rievocata da quella di un altro maestro, Socrate. Siamo ad Atene, nel 399 a.C. Per condurci in questo scenario classico, Anagoor sceglie di ricorrere allʼuso di un video: narrazione nella narrazione, come una mise en abyme, si tratta di un video doppiato dal vivo, dove Andrea Marescalchi e i suoi studenti divengono rispettivamente Socrate e i suoi discepoli. La reciprocità di questi personaggi genera inquietudine, illusione e al tempo stesso immedesimazione: chi fra noi non si è mai sentito come quegli studenti o come quel maestro?

Le maschere e i costumi allʼantica aiutano il pubblico a calarsi nellʼimmaginario classico e a rivivere, come una vera e propria diretta, gli ultimi istanti di vita del grande pensatore. Qui il pathos raggiunge i suoi livelli più alti: il dialogo fra Socrate e il suo prediletto Alcibiade, gli ultimi insegnamenti lasciati ai discepoli intorno al corpo, allʼanima, al significato di una vita votata allʼesercizio continuo della ricerca e la gestualità sacrificale della morte del più sommo dei maestri danno vita ad una carica di commozione che travolge tutti gli spettatori. 

Dal cerimoniale della morte di Socrate si passa alla strage per mano di Vitaliano, che viene affidata ai ragazzi attraverso le magistrali parole di Scurati. 

La tragedia si è compiuta.  

Cʼè un solo sopravvissuto, anzi, una sola sopravvissuta: la filosofia. Lei, che è lʼunica tra le scienze che garantisce la relazione, lʼincontro, lo scambio e quindi la crescita. Lei, che è la sola che arriva diritta allʼanima partorendo pensieri che smuovono il mondo. Lei, che con la sua dialettica ci consente di approdare alle più efficaci e valide forme di educazione.  

 

Foto: Giulio Favotto 

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