Culture + Arts > Visual Arts

January 21, 2020

Luca Coser tra controllo e abbandono, tra frammento e totalità

Francesca Fattinger

Continua la nostra caccia agli artisti trentini di successo nel mondo e oggi tocca a Luca Coser, nato a Trento nel 1965 e docente di ruolo di Disegno all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. La sua è una pittura fatta di tracce accavallate, di equilibri svelati e interrotti, è un invito a guardarsi dentro, trovarsi ma anche necessariamente perdersi. In ogni suo lavoro si sentono intimità e ossessione, ma anche necessità di condivisione di una nuova esperienza di visione e di interpretazione. È decisamente un artista del suo tempo, o meglio del nostro tempo, e ci mostra la nostra ansia famelica di afferrare immagini, di trovare agganci, impigliarci, resistere, annegare in mezzo a impulsi visivi che ci accecano. E così tra controllo e abbandono Luca Coser dipinge nascondendo, e nascondendo mostra, e chissà se mostra se stesso o noi, o entrambe… dipende, probabilmente, da che sguardo di volta in volta vogliamo abitare. 

Lo abbiamo intervistato per addentrarci di più nel suo mondo.

Elegia (1) 2019 - acrilico su tela, cm 50x40

Luca, film, romanzi, saggi sono implicati nelle tue opere per la loro potenza narrativa ed evocativa, il tuo è, come l’hai definito in altre occasioni, “un impossessamento vorace ed egoista”. Questo tuo atteggiamento è cambiato nel tempo? Che ruolo ha nel tuo processo creativo?

Qualcosa è cambiato, ma non molto. L’elemento della citazione come oblio, come maschera, come sottrazione, si è sviluppato nei procedimenti del mio lavoro molti anni fa in seguito alla progressiva presa di consapevolezza di un mio modo di essere, e lo ha fatto non tanto come “idea” quanto come “ossessione”, una sorta di fantasma che mi insegue. Per questo ho l’impressione, pur nelle (a tratti) profonde differenze, di aver dipinto sempre lo stesso quadro. Di certo la pratica messa in atto si conferma invariabilmente, come dici tu, vorace ed egoista, in quanto risponde ha una fame, una necessità quasi elementare, e poi risponde a un bisogno di soddisfazione altrettanto elementare che riguarda sostanzialmente me stesso, il desiderio di fare una cosa specifica senza che questa debba essere necessariamente condivisa. Voglio dire, la condivisione è implicita, ma in un secondo momento. Ciò che condivido è quello che rimane, la conseguenza estetica di un processo lavorativo che parte da lontano, niente più che una traccia, indefinita tanto quanto le ragioni che la precedono.

Quarto di quattro Re - 2019 - acrilico su lino - cm 100x110 Il tuo lavoro viaggia da una dimensione privata, si frammenta, si nasconde e poi riemerge in una dimensione sovra-personale, collettiva, seppur mantenendosi nella dimensione della traccia. La dimensione personale e quella collettiva sono continuamente in gioco, come descriveresti la loro relazione nel tuo lavoro?

Una delle caratteristiche che più amo nel lavoro di molti artisti moderni e contemporanei è la capacità di sviluppare equilibri tra momenti di controllo ed altri di abbandono. Faccio, a modo mio, la stessa cosa. Nella mia ricerca il collettivo e il personale sono due momenti che mi permettono di caratterizzare l’opera attraverso la convivenza di elementi opposti in gioco dentro la stessa manifestazione. Questa attenzione a elementi molto diversi se non addirittura opposti, che non si escludono vicendevolmente ma che dialogano tra loro trovando un particolare e di volta in volta fragile equilibrio, è tipica della modernità. Mi ci riconosco. E poi c’è sempre questa cosa che mi affascina, lo stupore nel provare un’esperienza dello sguardo (personale) un attimo prima che questa acquisisca un senso razionale e divenga un linguaggio condivisibile (collettivo). Vivo la prima parte come un mistero e come condizione necessaria alla definizione/in-definizione dell’opera e la seconda come possibilità di preservare questo mistero, sembra una contraddizione ma credo fermamente che non lo sia: un poeta ha detto che le parole sono come alberi, ci si nasconde meglio dietro a molte parole che dietro a poche. Cerco di fare la stessa cosa con il mio lavoro, più questo si addentra nella dimensione pubblica più le ragioni essenziali che lo giustificano rimangono nell’ombra, più parlo più mi nascondo. 

Io sono la lotta - acrilico su lino grezzo - cm 190x190

A cosa stai lavorando ora? Dove possiamo vedere tue opere?

Ho da poco concluso una personale in una galleria di Firenze, e una collettiva a tre, con Davide Galliano e Pietro Finelli, in uno spazio pubblico in Piemonte. Attualmente espongo, in collaborazione con la galleria che mi rappresenta a Milano, un lavoro di grandi dimensioni nella prestigiosa sede milanese della Banca di Asti, poi ho in programma sempre a Milano la partecipazione a un progetto espositivo curato da un giovane e bravo curatore sul tema del grigio, inteso come colore e al tempo stesso come ragione poetica. In aprile, il mio lavoro è stato selezionato per una mostra dedicata all’Arte Italiana moderna e contemporanea che si terrà alla National Gallery di Chișinău, in Moldavia. Sempre in primavera sarò a una collettiva sul disegno italiano contemporaneo in collaborazione con il Festival di Poesia di Mantova. In autunno ho in previsione una mostra personale negli spazi di una galleria torinese.

Elegia (2) 2019 - acrilico su tela, cm 50x40

Una curiosità, poco tempo fa hai partecipato con un tuo divertente racconto alla pubblicazione “La Trento che vorrei” facendoci ritornare in una città che fu. Come consideri il tuo essere artista trentino? Ti ha aiutato, limitato, come vivi da artista la città di Trento?

Trento è una città perfetta dove “tornare”, avendo la necessità di allontanarmi molto spesso. Mi sento profondamente legato per molte ragioni, non ultima una ragione caratteriale: credo di riconoscermi nel suo carattere storico e contemporaneo, ruvido e montanaro ma non troppo. Mi riconosco anche in molti aspetti estetici determinati da una certa sobrietà, che mi sforzo di non fare apparire noiosa. Insomma, fino a che posso andarmene spesso, Trento è una città che sento mia, la trovo confortevole, ottimale anche per lavorarci. Milano, l’altra città dove vivo e lavoro, insegno all’Accademia di Belle Arti di Brera, è una città che amo ma che mi distrae con facilità.
Credo che il carattere del mio lavoro sia emerso chiaramente anche nella partecipazione a questo bel volume dedicato alla Trento che vorrei. Dopo aver scritto un faticoso testo di carattere politico sulla mia personale visione della città contemporanea, ho stracciato tutto e in pochi minuti ho scritto un racconto fatto di racconti recuperando la mia memoria personale li dove questa si intreccia con quella collettiva. Il titolo è Tutto, e non è un titolo a caso. E’ solo applicando queste procedure, di scrittura, di pittura, che riesco a definire la mia “indefinita” idea di totalità, ri-mescolando le carte, lavorando su frammenti che lentamente e autonomamente diventano racconto.

 

Foto di Luca Coser
Luca Coser, Quarto di quattro Re – 2019 – acrilico su lino – cm 100×110
Luca Coser, Elegia (1) 2019 – acrilico su tela, cm 50×40
Luca Coser, Quarto di quattro Re – 2019 – acrilico su lino – cm 100×110
Luca Coser, Io sono la lotta – acrilico su lino grezzo – cm 190×190
Luca Coser, Elegia (2) 2019 – acrilico su tela, cm 50×40

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.