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October 14, 2019

Tutta quella brava gente: l’Alto Adige a tinte fosche

Mauro Sperandio
Incontriamo Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa, autori di Tutta quella brava gente, romanzo che già dal titolo promette un'interessante visione dell'Alto Adige...

Parlare di libri è un po’ come parlare di cucina: ci si può profondere in mille descrizioni, infiniti dettagli e fantasiose metafore, ma, alla fin fine, solo l’esperienza gustativa diretta può dare giustizia alla qualità del piatto. Certo, quanto riguarda la corretta esecuzione tecnica (la forma) e la scelta di materie prime di qualità sono criteri sostanzialmente oggettivi, ma lontani dall’essere sacrosanti.
Il caso (sic!) di Tutta quella brava gente, che è sapido romanzo e non piatto piatto, merita lo scrupolo di un’aerea descrizione, di qualche accenno ai protagonisti e alla trama, ma, soprattutto, un caloroso invito all’acquisto e alla lettura. La fisicità del maschio Tanino e dello “informale” Karl, i sentori di una Sicilia ormai lontana e di un Alto Adige persistente e zuppo della sua controversa storia, il mistero che prende letteralmente la gola e si insinua per una controversa Bolzano ed una muscosa periferia prenderanno corpo nel susseguirsi delle pagine e offriranno un’esperienza di sicura presa.
Incontriamo gli autori Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa, che firmano Tutta quella brava gente (edito da Rizzoli) con lo pseudonimo di Marco Felder,

L’occhiello del vostro Tutta quella brava gente riporta questa citazione da un brano di Nick Cave “Tutta quella brava gente lungo Jubilee Street, dovrebbe mettere in pratica quel che predica”. Questi versi, come lo svolgimento della storia, mi sembrano porre un forte accento sulla questione dell’essere e dell’apparire di questa provincia. È così?

Jubilee Street, come Push the sky away, l’album che la contiene, ci hanno fatto da colonna sonora nella costruzione dell’intreccio e nella stesura del romanzo. Stavamo mettendo assieme vari elementi e tirando i fili della trama e la musica ci è venuta in soccorso, in quei suoni e in quelle parole c’era parte della soluzione che stavamo cercando per far collassare la storia e la Storia. Dovevamo unire i puntini della detection con le vicende storiche legate al territorio e, inaspettatamente, Nick Cave ci ha dato una mano… Lo abbiamo citato in esergo e quando è arrivato il momento di scegliere il titolo, mentre ci dibattevamo tra varie ipotesi, una peggiore dell’altra, ci siamo accorti che era lì fin dal principio. In quella locuzione c’era tutto quello di cui avevamo bisogno. Qualcuno all’ufficio marketing ci ha detto che era un po’ “giudicante”, “moraleggiante”, ma come annotava Wittgenstein: “una volta che l’ego viene al mondo deve assumersi il peso della morale” e lo stesso vale per i romanzi, per lo meno per quelli che piacciono a noi sia da lettori che da scrittori e che una volta finiti devono farsi carico di certe questioni. Il resto è rumore bianco. Anzi giallo.

marco felder tutta quella brva gente

Cosa vi ha portato a scegliere di ambientare qui il vostro libro?

Escludendo a priori ambientazioni standard sfruttate, per quanto suggestive e forse più facili da vendere come Milano o Roma, rimanevano i nostri luoghi d’origine e di adozione: Messina, Bolzano e Bologna. Dei tre, ci sembrava che Bolzano fosse quello meno raccontato e, dunque, con più storie e più Storia da raccontare. Romanzi ambientati in Sicilia ce ne sono tantissimi, anche e soprattutto gialli, negli ultimi anni. Bologna e l’Emilia in genere sono state anch’esse raccontate in varie forme e stili, dal Sarti Antonio di Loriano Macchiavelli al gotico rurale di Baldini. Per Bolzano c’era stata molta meno attenzione, soprattutto riguardo alla sua dimensione strettamente urbana e ai conflitti identitari che l’hanno attraversata nel corso degli anni. Ci sembrava doveroso e interessante lavorare su questa tessera del puzzle.

È nata in voi prima l’idea di scrivere un giallo oppure qualcuno dei protagonisti o delle “visioni” della storia stessa?

L’idea è nata in modo un po’ bizzarro. Con il collettivo : Kai Zen : e da solisti abbiamo fatto dell’ibridazione e della scarsa identificabilità narrativa un marchio di fabbrica, anni fa, quasi volessimo metterci alla prova,  abbiamo cominciato ad accarezzare l’idea di scrivere un giallo con tutti i crismi del caso. Un modo per portare un po’ d’ordine nel caos e per divertirci. Sul tavolo c’erano pochi elementi oltre al genere: l’ambientazione, fin da subito doveva essere quella sudtirolese e l’escamotage della strana coppia. Volevamo due punti di vista diversi, lontani tra loro, ma complementari. Ci interessava raccontare una storia dall’interno e dall’esterno. La questione dell’alterità, dell’altro da sé, ha sempre fatto parte della nostra riflessione poetica ed etica. Bolzano è un luogo dove questa condizione umana è particolarmente presente nella vita delle persone. Gli altri sono un’unità di misura, un termometro morale, a cui i bolzanini sono abituati fin dalla nascita. Negli ultimi anni i fenomeni migratori hanno contribuito a cambiare (anche se poco, molto meno di quanto viene sbandierato) alcune dinamiche cittadine e i rapporti tra la gente. La copertina del libro mostra una montagna dai colori sgargianti, ma girando il volume, ci si imbatte in una superficie nerissima con una frase tratta dal romanzo che illumina il concetto come un faro: «Terroni, tedeschi, italiani, zingari, immigrati… Ognuno è il negro di qualcun altro…». È uno dei tanti cardini attorno a cui ruota questo giallo, che piano piano è emerso dai nostri cassetti e che nel corso del tempo è mutato. Ci siamo mantenuti entro i binari del genere, ma le sfumature sono aumentate e si sono affastellate. C’è un po’ di noir, un po’ di thriller e persino un po’, ma proprio un po’ eh, di commedia in questa piccola tragedia contemporanea. Diciamo che volevamo uscire a pesca con la dinamite e che per qualche strano motivo ci siamo ritrovati a scandagliare certi abissi.

Schema tutta quella brava gente

In che modo organizzate il vostro lavoro?

Viviamo a 1.056 km di distanza, ma è dal 2003 che lavoriamo assieme; l’alterità per noi non è solo materia di riflessione, narrativa, ma è anche pratica narrativa. In questo caso abbiamo strutturato la trama, delineato i personaggi e scritto una scaletta dettagliata dei capitoli insieme, poi ce li siamo divisi equamente e siamo andati avanti come un treno alternandoci nella scrittura e nell’editing. Alla fine abbiamo rivisto, tagliato, aggiunto, riscritto e rimontato. Sembra complicato, e lo è, ma ormai siamo artigiani scafati e viaggiamo quasi con il pilota automatico. Ascoltare più o meno la stessa musica poi probabilmente ha contribuito anche a sintonizzarci su certe frequenze emotive.

rizzoli editore

Jadel, cosa apprezzi e cosa rifuggi del messinese Tanino Barcellona?

Come personaggio Tanino mi piace senza se e senza ma. Quando lo abbiamo creato avevamo un’idea abbastanza precisa di come dovesse essere, poi come tutti gli esseri di carta e inchiostro che si rispettino ha cominciato a fare di testa sua e in molte situazioni ci ha spiazzato. Ha la schiettezza del proverbiale elefante in una cristalleria, eppure è in grado di uscirne senza aver scheggiato neanche un bicchiere. Mi piace la sua ironia disincantata che però non lo spinge mai a rinunciare a stupirsi. Amo il suo essere alieno, straniero in terra straniera, che gli dona il privilegio di vedere le cose in modo “altro” come solo un bambino, un forestiero o uno psiconauta sotto DMT sanno fare. E, infine, lo apprezzo soprattutto perché è perfettamente imperfetto. Come persona, non credo passerei molto tempo in sua compagnia. Siamo molto distanti l’uno dall’altro. Non abbiamo la stessa visione del mondo, per quanto entrambe siano abbastanza ondivaghe.  Sempre che là fuori ci sia un mondo, naturalmente. Ecco, questo lui non se lo chiederebbe mai, ma anche se succedesse e scoprisse di essere un personaggio di un romanzo, cosa potrebbe mai fare? Lo stesso vale per me. Uhm, forse non siamo poi così diversi. Maldetto Tanino, mi ha fregato di nuovo.

Guglielmo, quali caratteristiche pensi che il personaggio di Karl Rottensteiner possano attirare il lettore “non altoatesino”?

Karl Rottensteiner è un personaggio molto più sfaccettato di quanto sembri a prima vista. In principio appare come una specie di John Wayne, un cowboy altoatesino, un brusco uomo tutto d’un pezzo. Ma col proseguire della storia, che progressivamente scava nel suo passato, si svelano pieghe inattese del suo essere e quella tenebra densa che sembra incombere sulla sua anima si scopre non essere poi così uniforme; ci sono motivi e ferite, voli e cadute. Non è semplicemente un montanaro scontroso e poco attraente, se non addirittura respingente, bensì un uomo con sensibilità fuori dal comune e nervi scoperti, che cerca di proteggere chiudendosi in un guscio. Uno così mi pare interessante a qualsiasi latitudine e forse ancor di più per chi, come il suo collega Tanino, proviene da luoghi nei quali la socialità si vive in modo più aperto.

I co-protagonisti di Tutta quella brava gente hanno pressoché tutti delle identità forti. A chi di loro vi piacerebbe concedere maggiore evidenza o, addirittura, dignità di un’opera propria?

Giulia Tinebra e quella faccia da schiaffi di Gabriele Freni avrebbero meritato molto più spazio, ma 379 pagine non sarebbero bastate. Ci sarà modo di conoscerli meglio in futuro… Il nostro desiderio proibito è uno spin-off sul Faina. Nei nostri sogni mostruosamente proibiti, il nostro si trova a indagare su un caso in cui si imbatte per caso (il calembour è voluto) mentre è in vacanza nella sua amata Scardovari.

Le figure femminili del vostro libro si mostrano forti, risolute e capaci, ma non solo… Salvo mio fraintendimento, si percepiscono anche di un certo fascino, come se ci fosse da parte vostra una certa “simpatia” nei loro confronti. Sbaglio?

Nella nostra vita quotidiana siamo circondati da donne, compagne e figlie, e proviamo a uscire da determinati schemi e automatismi socioculturali che non sempre riusciamo a disinnescare se non addirittura a riconoscere. Abbiamo sempre cercato di dare vita a personaggi femminili “importanti” e di evitare per quanto possibile gli stereotipi (compreso lo stereotipo di evitare gli stereotipi), ma non è affatto semplice: in fondo siamo esponenti del “sesso stupido”, per cui solo le lettrici potranno dirci se Giulia, Angelica, Barbara e Daniela, tra le altre, sono personaggi credibili. Noi vogliamo molto bene a tutte loro, anche quando dobbiamo metterle in situazioni poco piacevoli… Di sicuro tutte sanno cavarsela benissimo anche senza Karl e Tanino, anzi sono loro che senza donne non se la cavano, e sono destinate a ruoli molto più centrali.

Da lettore, non posso che augurarmi di trovare presto in libreria un seguito. Quali timori avete nei confronti della scrittura di un eventuale Tutta quella brava gente II?

Nessun timore. I nostri (anti)eroi sono quasi pronti a tornare sulle strade di Bolzano con tutti i loro casini personali e professionali…

Foto ©: (1) + (2) franzmagazine; (3) Guglielmo Pispisa & Jadel Andreetto; (4) Michele Lapini

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