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July 12, 2019

Dentro l’ipernatural di Centrale Fies: intervista a Virginia Sommadossi e Paola Tassetti

Maria Quinz

A Centrale Fies, alla sua XXXIX edizione (dal 19 al 27 luglio 2019)  è di nuovo tempo di performance e nuovi sprofondamenti immersivi in scenari inediti, conturbanti e misteriosi – questa volta – del mondo naturale, in alcuni dei suoi territori di senso ancora in parte inesplorati. Territori che si fanno via via tanto più ampi e complessi, nel momento in cui lo sguardo sa arrivare a zoomare sui particolari, anche i più microscopici.

Quei dettagli soltanto apparentemente insignificanti e piccoli che, al contrario, sanno spalancare visioni inusitate e pregnanti, a molteplici latitudini e angolazioni, sulla sempiterna e sempre in fieri  relazione tra Uomo e Natura.

 Ne parliamo con la head of communication di Centrale Fies, Virginia Sommadossi e con l’illustratrice Paola Tassetti che, assieme a Virginia, ha partecipato quest’anno, con un intenso lavoro di ricerca, al progetto di comunicazione del Festival.

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Virginia, il tema degli ultimi due anni di Festival si “è evoluto” da Supercontinent  in IpernaturalQuali sono gli elementi di continuità, mutazione ed eventualmente rottura tra le due diverse prospettive di approccio alle arti performative?

Il lavoro a Centrale Fies non finisce mai, è un flusso che scorre anno dopo anno.

Ho pensato alla continuità dell’identità visiva degli ultimi tre anni di festival, come fosse il movimento di una macchina da presa: in Supercontinent  – nome di una nuova Pangea ricucita dalle tratte migratorie così come dalle nuove tecnologie- c’erano 5 nuovi trentini, nuovi indigeni, abitanti o attraversanti il Trentino – Alto Adige.

Indossavano oggetti sciamanici personalizzati in grado di mischiare le culture e potenziare le personalità. Raccontavano di mescolanze culturali come di personalissimi strumenti identitari e di sopravvivenza.

L’anno successivo – Supercontinent2 – un dispositivo concettuale e visivo si sdoppiava in un movimento capace di portare in due direzioni contemporaneamente, verso l’alto e verso il dentro: i “nuovi trentini” si sono fatti “carte du tendre”, una mappa delle passioni, dei desideri, delle nature, fino a fondere il fuori col dentro, a confondere il “landscape” con l’umano.

Quest’ultimo anno Ipernatural è un nuovo movimento dello sguardo: uno zoom su un particolare della mappa di Supercontinent2, prima solo sfiorato.

In questi ultimi anni ci siamo addentrati nella ricerca, nelle pratiche e nelle modalità di curatela avvicinandoci sempre di più al particolare, dimenticando piano piano il contesto che ci costringeva a separare le categorie di danza, teatro, performance. 

 Un avvicinamento tale ai dettagli dei lavori che ci ha permesso di scoprire forme diverse e incredibili molteplicità di visione. Da sempre Centrale Fies lavora per preservare la complessità, evitando le scorciatoie che portano a un’inevitabile semplificazione che non farebbe altro che inaridire i terreni.

Dido Fontana

Biodiversity strives for high visibility. Questo è il sottotitolo del Festival. La domanda sorge spontanea: in che modo e con quali potenzialità espressive, la biodiversità può arrivare a imporsi in modo incisivo nel panorama artistico, politico e non solo?

 Non imponendosi. Il lavoro che tutte e tutti dovremo fare potrebbe trovare ispirazione da una frase bellissima di Rosi Braidotti: “se il potere è complesso, diffuso e produttivo, così deve essere la nostra resistenza ad esso”.

 Anche i filosofi Emanuele Coccia e Bruno Latour ci stanno dando l’opportunità di scoprire il mondo vegetale insegnandoci a vedere cose che prima non sapevamo distinguere, perché perdute in una sorta di macro categoria che contiene il mondo delle piante. Con i loro scritti ci suggeriscono metafore diverse da quelle praticate fino ad oggi di animali preda/predatori e alle quali siamo abituati ad accostarci.

Allo stesso modo la ricerca artistica di Mali Weil, che sfocia nella filosofia politica, è attivatrice di un pensiero che ristabilisce regole diverse attraverso un nuovo concetto di “foresta”. 

 L’idea di un ecosistema fatto di specie diverse che si completano producendo complessità e mandando avanti l’intero pianeta, ristabilisce un concetto di “natura” e del rapporto con essa, ben più ampio e inclusivo di quello che una visione mono-culturale, antropocentrica, caucasica o patriarcale possono darci.

Foto roberta segata

 Quali “immaginari ipernatural” ci stupiranno all’interno del programma del Festival?

Ipernatural sarà una mezcla di immaginari forti e storie tenere, di prese di posizioni potenti (come il “to be or not to be” che campeggia sui nuovi stendardi di Centrale Fies) e di domande ancora aperte.

Nelle opere in programma troverete fragilità e forza sempre in modo inaspettato e vi accorgerete che ogni artista è proprio a voi che sta parlando. 

 Virginia e Paola, come sono nate le suggestioni visive che accompagnano la comunicazione di quest’ultima edizione del Festival?

Virginia: Da qualche tempo abbiamo intensificato gli scambi di libri, saggi, testi per costruire un codice collettivo e condiviso, siamo tante/siamo tanti (complessi, diffusi, produttivi).

 A volte non ci conosciamo nemmeno di persona ma non smettiamo di nutrirci a vicenda, in segreto, spesso con testi appena tradotti di un convegno, altre con capisaldi di una letteratura o di una filosofia che si sta rendendo sempre più necessaria.

 Con Paola è andata esattamente così: per esplodere e articolare un immaginario che faceva già parte di entrambe ci siamo scambiate testi e letture.

Poi una telefonata per sentire le nostre voci dal vivo e per capire che avevano il medesimo linguaggio. Tutto il resto è arrivato da solo. 

Paola: La germinazione delle nuove “fisionomie ipernatural” è avvenuta quasi naturalmente in entrambi le nostre menti. Abbiamo immaginato forme “aliene” che si sono rivelate fin da subito essere terrestri al 100%.

 Il nostro fulcro? il “fossile inter-specifico” è stato testimone e punto di partenza della nostra combustione etica ed estetica. In seguito alla nostra profonda unione di pensiero, ho visionato, disegnato e riversato su carta i nuovi organismi “guida” che ho classificato con diverse Fisionomie chiamate:

Fisionomie Marocche, successivamente digitalizzate secondo nuovi canoni ed inglobate in diversi “habitat”.

Pensate come “nuove forme in natura”, con caratteristiche morfologiche che variano notevolmente, con diversi caratteri litologici derivanti dalle formazioni che li contengono, che testimoniano il loro ambiente biologico passato e la loro evoluzione in termini di natura che non è mai esistita.

 Ipernatural  difatti è una simulazione esagerata di una natura che ancora non è mai esistita.

Fossili Guida. Fossili Rimaneggiati. Fossili Infiorescenti. Sembianti Carnivori. Sembianti Vegetativi.

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 Come è avvenuto il processo ideativo/creativo tra voi?

 Paola: La genesi formativa dei nostri linguaggi visivi Ipernatural  è stata fluida e di grande complicità tra noi. Immaginare una “mezcla” biologica, di nuove morfologie ibride, formate da organismi e fossili, ci ha fatto interagire con la nostra parte più visionaria ed abbiamo condiviso l’esigenza di riscrivere le regole tassonomiche e slargare i confini del reale per approdare alla completa immaginazione di forme antropomorfe e animali.

 Paola, che tipo di esperienza è stata per te lavorare al progetto grafico per Centrale Fies?

 Mi nutro di paesaggio, riconosco in esso chi sono.

Percepire qualsiasi stato di coscienza provenire da elementi vegetali è sempre stato il mio “modo sensibile” di abitare gli organi di senso (occhio, orecchio, vestibolo, mucosa olfattiva e mucosa gustativa).

 Abitare gli spazi del Centrale Fies, il silenzio “solenne” della Forgia, le Marocche, le prospettive rocciose, le alberature, la raccolta di forme elementari, mi ha profondamente aperto alla spiritualità di quel contesto, di quel paesaggio di quella energia da rimescolare.

ph Roberta Segata

 Lavorare al progetto grafico, è stato come consacrare il mio cammino verso questo habitat da rispettare ed interiorizzare. Profondo, seguendo i miei influssi interni. Immaginare nuove fisionomie come oracoli millenari capaci di sviluppare sensi e forme antropomorfe e animali. Spingere a liberarsi dal pensiero della solitudine della specie umana contemporanea del “tutto e subito” ed invitare ad AMMETTERE che c’è una continuità con le altre creature, da cui dipendiamo.

 Sostituire il mito della solitudine portata dal liberalismo economico con quella dello scambio della condivisione reale. SONO IN QUANTO ABITO.

 Credits: foto 1, 2, 5 Paola Tassetti; foto 3 Dido Fontana; foto 4, 6 Roberta Segata

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