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July 3, 2019

Broken Nature: Chi salverà il pianeta-terra?

Maria Quinz

Quando si affronta il tema del rapporto tra uomo e natura, proiettato nella prospettiva di un futuro prossimo o remoto, difficilmente si riuscirà a trovare delle risposte certe, oltre che rassicuranti.

Sono più le domande che affiorano alle labbra, come anche le previsioni distopiche e spesso catastrofiche. È vero anche che immagini inquietanti e stereotipate di un mondo soffocato dalla plastica, ingrigito da fumi neri, cemento dilagante e alienazioni varie, ci opprime già da molti decenni. Dall’universo immaginifico della letteratura e delle arti, a quello del cinema e delle serie televisive…e molto altro ancora.

Ma forse, al giorno d’oggi, è arrivato il momento di correre concretamente ai ripari.

La prospettiva distopica non è più soltanto frutto di visionarie proiezioni futuribili.

È ora di lanciare un S.O.S.

Chi salverà il pianeta-terra?

È vero anche che se riusciamo ancora a riporre, nonostante tutto, una sana fiducia nell’Uomo e nelle sue risorse di adattamento, oltre che nelle sue capacità immaginifiche e tecnologiche, possiamo forse, ancora, ben sperare.

Forse il mondo non sprofonderà in un ineluttabile e tragico destino di distruzione.

E chi o cosa ci potrà venire in aiuto? Sarà forse il design e più in generale, la creatività umana, a salvare il mondo?

Questa è la domanda-chiave che sottende la XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano attualmente in corso (inaugurata l’1 marzo e che terminerà l’1 settembre).

L’urgenza e la potente rilevanza di tali questioni trova risposta in una grande mostra che vuole portare l’attenzione su tematiche contemporanee molto diversificate e altrettanto complesse, voluta dal Presidente della Triennale Stefano Boeri, con un evidente intento di coinvolgere un pubblico vasto e variegato di cittadini, non di soli cultori del design o dell’architettura.

L’evento comprende una mostra tematica, curata da Paola Antonelli, dal titolo Broken Nature: Design Takes on Human Survival, un’installazione intitolata The Great Animal Orchestra, ad opera del musicista, specializzato in bio-acustica Bernie Krause e dal collettivo inglese United Visual Artists; la mostra speciale La Nazione delle piante, curata da Stefano Mancuso e infine ventidue partecipazioni internazionali ospitate in altrettanti padiglioni.

 Per un design “ricostituente”

Numerosissimi sono gli spunti di riflessione, le centinaia di proposte avveniristiche di designer e creativi, i progetti innovativi e virtuosi in chiave green che si potranno cogliere e visionare.

La mostra trasuda il suo primario intento di celebrare la forza rivoluzionaria dell’inventiva umana, soprattutto nel momento in cui vengono messe in gioco macro-realtà come la sopravvivenza di ecosistemi e ambienti naturali, il rischio di estinzione di specie animali o anche i fondamenti per lo stato di salute dello stesso essere umano.

Nell’intenzione della curatrice di Broken Nature, Paola Antonelli, si riconosce la primaria idea di mostrare al pubblico un “design ricostituente”: progetti, oggetti o strategie che riflettano sugli “umani” e il loro rapporto con il contesto ambientale e naturale, in un’ottica progettuale consapevole, sostenibile, virtuosa e con una prospettiva a breve e a lungo termine.

 All’interno della mostra non mancheranno, tra le numerosissime proposte, progetti che potrebbero toccarci più da vicino di altri, secondo le nostre personali sensibilità.

 Ognuno le sue. Ce n’è per tutti.

Il focus potrebbe andare a centrare l’ecosistema montano proprio dei nostri luoghi d’origine, per esempio. Oppure potrebbe capitarci di incontrare riflessioni e lavori di progettisti che conosciamo e seguiamo nelle loro produzioni e visioni, provenienti dal nostro territorio così green e spesso – con orgoglio – più virtuoso di tanti altri.

 Abbiamo scelto di raccontare due progetti e quindi due proposte di riflessione, a nostro avviso, particolarmente interessanti.

 Il riciclo secondo Martino Gamper

Un tema di riflessione che serpeggia nella mostra è sicuramente quello del “riciclo”.

Un tema caldo e fondamentale per la tutela ambientale e il reinserimento in un processo virtuoso di materiali e oggetti ritenuti “spazzatura”, ma che in realtà possono “dare” ancora molto. Ci sono tante “cose” ritenute desuete e inutili che possono ancora racchiudere in sé una preziosa linfa vitale, assieme a nuove storie da raccontare.

 Il designer altoatesino Martino Gamper da sempre ha fatto sua questa pratica, “rianimando” complementi di arredo e scarti di varia natura, trasformandoli in oggetti di design di grandissimo pregio sulla base del recupero, ricreati a nuova e miglior vita.

In mostra ci capiterà di incontrare le sue inconfondibili sedie.

Qui si potrà visionare il progetto, ormai storico di Martino, noto agli amanti del design: 100 Chairs in 100 Days (2007-2017).

Lo dice il nome stesso: l’obiettivo di Martino Gamper è stato realizzare 100 sedie originali e uniche in un periodo di 100 giorni. E ci è riuscito con sorprendenti esiti.

Tramite il recupero e l’assemblaggio di vecchie sedie o mobili trovati per le strade di Londra e a casa di amici, Gamper ha creato composizioni estrose ed estetiche contemporanee basate su un pastiche unico e consapevole che sa riflettere sulla storia del design e i differenti lasciti del passato.

Perché correre alla ricerca di nuovi modelli futuribili, quando esistono prodotti di qualità ancora validi e d’ispirazione? Questa potrebbe essere stata la sua fondamentale domanda.

 Almeno così pare a noi…

Confini in movimento: un progetto di Studio Folder

Altro tema, altra domanda che “tocca con mano” il nostro territorio.

Cosa succede ai confini tra le diverse nazioni quando l’instabilità climatica rende incerte anche le conformazioni geografiche? Se fino a non molto tempo fa i confini nazionali erano disegnati da elementi naturali definiti e precisi, ora che tali condizioni si stanno modificando che ne sarà di ciò che finora era dato per acquisito?

A tali domande, il duo milanese di architetti di  Studio Folder , Marco Ferrari ed Elisa Pasqual, cerca di trovare da qualche anno delle risposte con il progetto di ricerca Italian Limes , iniziato nel 2016 e presentato alla XXII Triennale con un’installazione interattiva e un libro Moving Border: Alpine Cartographies of Climate Change (Columbia Books on Architecture and the City, 2019) .

La pubblicazione si propone di mappare gli spostamenti dei confini nazionali in seguito al fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai nelle Alpi.

È risaputo il fatto che il confine italiano si conformi allo spartiacque che separa i bacini ideografici dell’Europa settentrionale e meridionale. Si snoda principalmente ad alta quota, attraversa nevai e ghiacciai, che si stanno sciogliendo – e non così lentamente – a causa della sfida dei cambiamenti climatici. Con lo spostamento dello spartiacque, anche il confine arriva a discostarsi dalla sua rappresentazione sulle carte ufficiali. Italia, Austria, Svizzera e Francia, hanno quindi dovuto introdurre un nuovo concetto giuridico di “confine in movimento”, che deve riconoscere la presenza di tratti di “volatilità” delle caratteristiche geografiche un tempo ritenute stabili.

L’installazione presentata in Triennale ripropone il progetto avviato al confine tra Italia e Austria, presso alcuni ghiacciai tra cui quello nostrano del Grafferner nelle Alpi dell’Ötztal e che attraverso una serie di sensori – alimentati a energia solare e ancorati a un ghiacciaio – monitorano ogni forma di trasformazione nell’ambiente circostante. I dati vengono trasmessi in tempo reale, mediante avanzatissimi sistemi GPRS/GSM e rielaborati attraverso un pantografo che realizza mappe del confine. Le mappe risultanti rispecchiano appieno la mutevolezza di tali limes (dove limes è il termine latino che sta per confini).

Come volevasi dimostrare: le mappe che si definiscono via via sono una diversa dall’altra. Inesorabilmente mutevoli.

Viene da chiedersi cosa ne sarebbe di Ötzi oggi, se fosse stato ritrovato di questi tempi, alla luce delle recenti ricerche di Studio Folder. Lui che è stato conteso tra Austria e Italia, in un acceso dibattito sulla definizione dei confini tra i due stati, che scopriamo oggi approssimativi, ondeggianti, soggetti alle diverse convenzioni e tecnologie utilizzate per rappresentarli e quindi ancora più sfuggenti di un po’ di anni fa.

Meglio non riscrivere la storia: siamo contenti che Ötzi, l’uomo più vecchio del mondo, sia tra noi! Non ci resta che andare avanti continuando a credere nelle straordinarie risorse dell’Uomo Nuovo in un paese senza confini. Con la benedizione di Ötzi. 

Foto credits: Delfino Sisto Legnani

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