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April 4, 2019

“The Fate of Empires” a Trento tra Studio d’Arte Raffaelli e Cellar Contemporary

Francesca Fattinger

I vostri musei militari spariranno, i vostri venerati campi di battaglia saranno scavati per costruire centri commerciali e i monumenti al vostro passato glorioso saranno distrutti da forze straniere di occupazione…

Questa la citazione di Andrew Gilbert che apre il catalogo della mostra “The Fate of Empires” che sarà inaugurata fra poche ore nelle due gallerie di Trento Studio d’arte Raffaelli e Cellar Contemporary.  
Cosa succederà al nostro passato, come è stato letto, e a volte stravolto? Cosa si nasconde dietro alla parola “narrazione storica”? Andrew Gilbert, Umar Rashid e il duo Jarmila Mitríková & Dávid Demjanovič, rispettivamente nati a Edimburgo, Chicago e Bardejov, sono stati invitati a esporre insieme in un’unica mostra in questa primavera trentina, per riflettere e farci riflettere su cosa sia la storia e su come sia sempre più urgente una sua reinvenzione e rinarrazione. Si tratta di una riflessione ormai sempre più urgente non solo su cosa ci è stato tramandato, ma anche su come e perché. Si parte in Gilbert da una considerazione delle pratiche artistico-estetiche degli artisti coloniali dell’Otto-Novecento, si passa in Rashid a una presa di coscienza della marginalità della cultura negra nell’impero occidentale francese e inglese, a partire da leggende che ne parlano e ne mostrano possibili variazioni, fino ad arrivare, con Mitríková & Demjanovič, all’ex Unione Sovietica e alla manifestazione visibile dell’intreccio tra regime, cultura di massa, religione e tradizione.

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Quando arte, storia, estetica e riflessione critica si incrociano nascono nuovi punti di vista: lasciamoci ispirare! Mi raccomando non perdetevi l’inaugurazione oggi 4 aprile alle 17:30 con preview a Cellar Contemporary e alle 18:30 allo Studio d’Arte Raffaelli. E se oggi proprio non ce la fate, la mostra durerà fino al 31 luglio.

E adesso la parola alla curatrice: abbiamo chiesto a Camilla Nacci di parlarci un po’ della mostra, degli artisti invitati, e della collaborazione tra i due spazi espositivi. 

La mostra intreccia visioni e opere di tre artisti, accomunati da un forte interesse per la storia e, come enuncia il titolo, per il destino degli imperi. Ci spiegheresti come mai la scelta di questi tre artisti e come questo interesse si declina in un ognuno in modo diverso?

Si tratta di tre artisti che, pur vivendo in parti del mondo lontane e non conoscendosi direttamente, hanno intrapreso una ricerca ricca di affinità e richiami tematici; Andrew Gilbert aveva già esposto allo Studio d’Arte Raffaelli alcuni anni fa, ed è stata proprio una conversazione con lui – che aveva avuto contatti con Umar Rashid (in arte Frohawk Two Feathers), dopo aver visitato lo studio di Jarmila Mitríková & Dávid Demjanovič – a suggerirci l’idea di questa mostra. Tutti gli artisti fanno riferimento al concetto di “reinvenzione della storia” attraverso un’ironica lotta all’imperialismo e ai totalitarismi, ma ciascuno fa libero uso del proprio materiale iconografico: Andrew Gilbert è più legato a battaglie coloniali realmente accadute, ma poco conosciute, Umar Rashid costruisce interi sistemi narrativi basandosi sulla riabilitazione storica delle popolazioni di colore, Mitríková & Demjanovič lavorano sul controllo sovietico e sul remix culturale di tradizioni antichissime e di usanze collettive imposte dal regime. In un certo senso si può pensare a un’unica “ideologia di impero” che attraversa in modo lineare tutta la storia per essere interrotta dalle sue stesse reinterpretazioni.

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 Se dal punto di vista contenutistico storia, pratiche sociali e usanze sono alcuni dei temi caldi, per quanto riguarda le tecniche c’è una grande eterogeneità. Di che si tratta?

Sarà una mostra che indaga tutti gli aspetti del lavoro dei tre artisti. Andrew Gilbert e Umar Rashid lavorano su carta, ma in modo molto diverso: Gilbert completa il lavoro con installazioni site-specific in cui i suoi personaggi diventano tridimensionali, Rashid con i testi che raccontano le opere, come fossero “capitoli” di una storia. Mitríková &Demjanovič realizzano particolarissime pirografie su legno, una tecnica tradizionale in cui gli artisti si alternano nelle fasi di lavorazione a partire da un’idea comune. Inoltre utilizzano anche la ceramica, per realizzare sculture policrome.

Storia e arte si incontrano per interrogarci direttamente e parlare del nostro presente, è questa la vera sfida della mostra?

Certamente, la mostra è stata pensata come uno spettacolo in cui il pubblico è protagonista: la ricchezza di riferimenti culturali al passato vuole stimolare curiosità, ma soprattutto coinvolgimento diretto. Riconoscendo ed entrando nelle narrazioni evocate dagli artisti, non possiamo fare a meno di interrogarci sul periodo che stiamo vivendo.

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Infine due parole sugli spazi: Cellar Contemporary e Studio d’arte Raffaelli dialogheranno creando un continuum espositivo, come funzionerà la mostra?

Cellar Contemporary ha un fortissimo legame con lo Studio d’Arte Raffaelli, ma ha sua sede in uno spazio fisico molto diverso e più underground: non è la prima volta che le due gallerie espongono opere degli stessi artisti, ma è la prima volta in cui la stessa mostra le coinvolge entrambe, abbiamo quindi voluto che le opere evidenziassero le particolarità dei due spazi; da Cellar opere di minori dimensioni, in alcuni casi vere e proprie “chicche”, come le tavole dipinte di Umar Rashid o il lightbox “God of War” di Mitríková & Demjanovič, che si prestano a uno spazio più sperimentale. Da Raffaelli saranno presenti opere di più grandi dimensioni, i cui colori dialogano, come da tradizione, con gli affreschi seicenteschi che adornano il Palazzo Wolkenstein, dinanzi ai quali il confronto tra antico e contemporaneo diventa inevitabile.

Foto: Studio d’arte Raffaelli e Cellar Contemporary

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